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Diario di luccicanza – 1a parte

Articolo. Sabato 20 giugno (ore 21) su Bergamo Tv e sul canale Facebook di Eppen la trasmissione del videoracconto de La Festa delle Luccicanze. Ovvero l’ultimo atto del progetto “Sei la benvenuta” durato ormai nove mesi, giusto il tempo della gestazione di una bimba

Lettura 4 min.

Doveva essere una festa in teatro, pensata l’8 marzo per onorare storie autobiografiche scritte al femminile, racconti di quel caleidoscopio di donne che è il tessuto del nostro territorio. Racconti raccolti come mazzi di fiori, molti con le spine.
Ma il periodo di quarantena ha fermato le lancette, il tempo si è appeso, sospeso.

I racconti, ben collocati in ordine di narrazione secondo una scaletta definita per l’evento teatrale, si sono fermati negli scritti affidati a 80 donne. Donne dai 10 agli 80 anni: si erano presentate a gennaio negli incontri che avevamo chiamato “casting”, in un gioco condiviso di una comunità che desiderava dare il proprio contributo ad un tema importate, quello dell’accoglienza, declinato in tre parole: donne, pace e sicurezza.

Narrazioni intrecciate a danze e performance artistiche nella cornice dell’hashtag #casadolcecasa formavano la drammaturgia di una festa che avrebbe riempito il Teatro del Centro Congressi Papa Giovanni XXIII: già dieci giorni prima era sold-out.

Un team di lavoro pronto a presentare un gran lavoro di sartoria: Daniela, Luca, Marta, Giulia, Fabrizio della redazione di Eppen; per la parte artistica Vera, Ferruccio, Angelo, Adriana; e ancora le educatrici delle associazioni Aghatà e Kairos, a cui si sono unite quelle di Casa Mater e Casa Sofia.
La Festa adesso diventerà un videoracconto.

Se il teatro non può riempirsi di presenze, le nostre presenze riempiranno il teatro. Una vera e propria maratona che grazie a Sesaab e Bergamo Tv vuole dare testimonianza di tutto il lavoro raccolto e per farlo in questi giorni si sono riattivati incontri, sguardi, presenze, sorrisi e tantissimi “grazie”.

Una nuova drammaturgia da ricomporre ha riacceso gli entusiasmi nel mio animo e dei miei collaboratori. Non vedevamo l’ora. Ma ci sono ancora tutte?

I telefoni cominciano a lavorare: ci sono ancora tutte, artiste comprese. Mancano le africane: qualcuna di loro ha lavorato in strutture sanitarie, non se la sente. Tre donne non si presenteranno: aspettano referti dal tampone. Se ne aggiungono di nuove, contagiate dalle amiche, contagiate dal desiderio di riprendere a giocare. Sono le benvenute.
Il programma di lavoro diventa un nuovo allestimento con un nuovo copione per quanto riguarda le azioni e i luoghi.

Primo atto: lunedì. Ritorniamo in teatro. Vuoto, ma chiamato ad essere riempito. Gli spettatori saranno lì il giorno della messa in onda, seguendoci dallo schermo. Non è la stessa cosa, lo sappiamo. Ma PER ORA niente è più la stessa cosa.

Tre telecamere, la scenografia luccicante di Angelo Andreoli: sagome di vestiti bellissimi e una passatoia di trenta metri dorata. L’oro è quello delle coperte termiche che abbiamo visto tante volte abbracciare gli arrivi dal mare, i feriti, i disperati. Un oro tessuto e carta che non si strappa, leggero ma tenace.
Luci e suoni. Prova microfoni. C’è James che coordina. Come se l’evento dovesse partire da un momento all’altro.

Simona Befani conduce con la sua eleganza quello che sarà il filo della serata. È brava, crede nel progetto. Fa subito sentire vicinanza. Mauri, Renato sono disponibili e instancabili; al banco regia Nicola non perde un’inquadratura.

Nel teatro si esibiscono le artiste: sul palco, in platea, nelle nicchie Awa canta il suo ritmo di gioia, Shilpa muove passi d’arte nella danza indiana, tre donne boliviane “fanno” incanto nei ricchissimi costumi; il trio Hemiolia di giovani donne del Conservatorio suonano un Adagio. Tutti contributi che si impasteranno con la raccolta di racconti.

Ultima scena del primo atto: la ripresa delle porte della sala che si spalancano e invitano ad entrare, “facciamo entrare le donne. Naturalmente non entra nessuno, ma li vediamo, nel nostro immaginario, li vediamo i passi delle donne attraversare la passatoia dorata, il “golden carpet”

Siamo tutti soddisfatti: c’è vita. L’evento teatrale è accaduto, tra noi, pochi, ma è accaduto. Gli artisti e il pubblico sono coincisi.

Secondo Atto: martedì. Nel parco. È il momento di far entrare le donne. Il parco diventa un grande palcoscenico. L’associazione Agathà ci apre un giardino dal sapore ottocentesco: fa parte di un palazzo nobile di Colognola che ora appartiene alle Suore Sacramentine.

Lo riallestiamo con la luccicanza e creiamo tanti piccoli set dove far leggere le donne che sono ritornate. Più di ottanta da riprendere in tre giorni: arrivano scaglionate, in ordine, mascherate. Mi incuriosisco sulla foggia e il tessuto delle mascherine. Ci facciamo persino i complimenti.
Alcune sono cariche di tristezza e di lutti, altre spumeggianti e festose con la voglia di ricominciare.

Le storie che leggono non le hanno scritte loro, appartengono ad altre donne silenziose e fragili, ma ora anche loro avrebbero storie da raccontare, quelle di chi ha attraversato l’uragano del Covid.

Sono belle le nostre donne, molte ci ringraziano. Stiamo distanti, imbarazzate e ironiche, vorremmo abbracciarci, sentirci vere e vive. Chi era timida e pudica nel casting ora appare più serena, libera e liberata. Viva.

Paola ha perso il marito e ha gli occhi piccoli dal pianto. Cinzia ondeggia sui suoi tacchi, Michela ha il vestito da fata: l’ha cucito lei e sono morte cinque persone della sua famiglia.

Una di loro ringrazia il cielo per non aver mai smesso di lavorare, un’altra ha scoperto che è bello star a casa e fare il pane. Laura ha passato tre mesi con il figlio affetto da autismo che era stato sempre in una struttura: è commossa.

C’è chi ha preso un permesso al volo dal lavoro, chi si siede tra le piante e non se ne vuole andare; una di loro il giorno prima ha fatto la chemioterapia e non ha voluto rinunciare ad essere lì.

C’è una bambina con la sua mamma: ha portato un gioco per non annoiarsi. Ma non gioca, entra subito a far parte della nostra danza di sorellanze. Il suo gioco è una casetta con la porta che si apre: ci sarà anche lei nel nostro racconto. Con la sua casetta che si apre.
Il violino di Klelia fa danzare parole di storie albanesi: alcune non si sentono benvenute.

Arrivano anche gli uomini: a loro ho affidato parole di vita sofferta delle donne di casa Sofia. Sono eleganti, delicati, in punta di piedi.

Marta fotografa ogni dettaglio, Vera accoglie, sale sui cancelli e sugli alberi e con Ferruccio costruisce angoli dorati per le riprese. Davide l’operatore impazzisce alle mille richieste che gli faccio.

C’è Giulia che accoglie, spunta i nomi, misura la febbre e dà “la benvenuta”. Fabrizio vigilia che le procedure vengano rispettate. Enrica ci offre il caffè. Daniela arriva per respirare profumo dorato.

C’è garbo e serenità in questi giorni. Facciamo teatro anche qui: l’accadere tra noi restituisce il valore dell’incontro in forma poetica. Che bello.

Il secondo atto si chiude al tramonto di giovedì: un canto struggente di tre donne stupende accompagnate dalla Bandura ci commuove. Sono ucraine, testimoni di storie di Badanti raccolte da Adriana Lorenzi.

Abbiamo finito, per oggi.
Alla prossima, in montaggio. Inizieremo a scegliere tra tanta vita impressa nella telecamera.

Mini-sito Sei la benvenuta

(foto Marta Belotti)

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