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«Quando attraversi l’inferno, non ti fermare». Sebastiano Gavasso porta in scena «Corri»

Articolo. Alla vigilia della «Papa Gio Run», stasera alle 21 l’auditorium dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII ospita «Corri. Dall’inferno a Central Park». Uno spettacolo prodotto da Loft Theatre, tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Di Sante. Una storia di rinascita, chilometro dopo chilometro

Lettura 6 min.
Sebastiano Gavasso in ’Corri’ (Foto Ivan Nocera)

Una mattina d’aprile di cinque anni fa ho avuto il mio primo, improvviso, attacco di panico. Per due mesi ho smesso di frequentare le lezioni in università. Chi mi è stato vicino allora sa quanto uscire di casa mi facesse paura. E sa anche che quello che mi ha salvato, accanto alla terapia, è stato mettere, costretta da un’amica, un paio di scarpe da trekking ai piedi. Sono partita per una settimana di cammino lungo la via Francigena. A poco a poco, mi sono resa conto di come affrontare ogni giorno la fatica di uno zaino sulle spalle mi rendesse forte. Proprio quando credevo di non essere mai stata così debole.

Non conoscevo Roberto Di Sante e la vicenda al centro di «Corri. Dall’inferno a Central Park». Ma quando comincio a leggerla non smetto più. Forse perché, sebbene la storia di Aldo Amedei (dietro cui si cela l’autore del romanzo, ex giornalista al Messaggero) sia molto diversa dalla mia, vi ritrovo quel percorso di rinascita compiuto a piccoli passi. Di cammino, per me. Di corsa, per Roberto.

Nelle prime pagine di «Corri» c’è un uomo che precipita dal quarto piano di un palazzo di Roma, nel pozzo buio della depressione. Nelle ultime c’è lo stesso uomo sul ponte di Verrazzano, pronto ad affrontare la Maratona di New York con i suoi 42 km e 195 metri. In mezzo gli allenamenti nel parco sotto casa, le prime fatiche, sostenute dall’amore della compagna Teresa, le prime gare. «Quei tre chilometri di fuga a Villa Torlonia mi hanno annientato. Però non mi dispiace. Perché questo dolore mi conforta, dandomi l’illusione di aver spostato fuori un po’ della mia sofferenza».

Pubblicato nel 2018, «Corri» è diventato dopo poco anche uno spettacolo teatrale. Un atto unico di 75 minuti prodotto dalla compagnia Loft Theatre e adattato e diretto da Ferdinando Ceriani. Sul palco, Sebastiano Gavasso, attore romano noto nel mondo del cinema, del teatro e della televisione, oltre che runner appassionato, accompagnato dalle musiche dal vivo della violoncellista di fama internazionale Giovanna Famulari.

Stasera alle 21 «Corri. Dall’inferno a Central Park» andrà in scena nell’auditorium Lucio Parenzan, all’interno dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII (prenotazioni qui). Domani alle 16 si terrà invece la terza edizione della « Papa Gio Run », la corsa-camminata di beneficenza per l’Associazione Paolo Belli onlus organizzata dal gruppo Podisti Insonni di Zanica in collaborazione con Asd Runners Bergamo.

Un incontro che cambia la vita

Stasera salirà sul palco, domani invece correrà la «Papa Gio Run». Eppure Sebastiano Gavasso da bambino non sognava né di recitare né di correre. Me lo racconta al telefono, tra una prova e l’altra. «Non avevo mai pensato che il teatro potesse diventare un lavoro. Certo, da bambino ci giocavo. Nel corridoio di casa a Roma, io e mio fratello avevamo un baule pieno di vestiti, che venivano scartati oppure racimolati qua e là, a nostra disposizione trecentosessantacinque giorni l’anno. Quindi tutto sommato era sempre carnevale, coriandoli esclusi!». La recitazione è arrivata a poco a poco, accanto alla passione per i viaggi. «Il mio interesse principale è lo studio del comportamento umano, delle emozioni, dei pensieri. Prima di fare l’Accademia mi sono laureato in Storia e Filosofia: il teatro e la recitazione per me hanno quella valenza. In questo momento sto lavorando anche tanto come formatore, come professional coach».

Gavasso incontra il romanzo di Roberto Di Sante nel 2019. «Avevo scelto, dopo diversi spettacoli con teatri stabili, di tornare a puntare su Loft Theatre, la compagnia da me fondata e di cui sono direttore artistico. Volevo riprendere a fare qualcosa che potesse essere maggiormente mio, che mi rappresentasse di più. Inoltre, stavo inseguendo una modalità espressiva artistica simile al monologo, perché per me quella era una grande novità. In quel periodo, avevo cominciato a correre, avevo fatto alcune gare ed ero venuto a conoscenza del libro “Corri” tramite Instagram. Avevo letto alcuni spunti, ho rimediato il libro e l’ho trovato una storia perfetta da poter raccontare anche a teatro, motivo per cui ho cercato di mettermi in contatto con Roberto, scrivendogli proprio su Instagram».

I messaggi, per qualche strano motivo, non vengono visualizzati. Ma l’occasione di contatto non tarda ad arrivare. «Decido di correre una Roma-Ostia, una 21 km. Al diciassettesimo chilometro sento un dolore alle gambe. Ho continuato comunque a correre dopodiché, finita la gara, mi tolgo le ginocchiere, torno zoppicando a casa e vado da un medico sportivo. Questo medico aveva la passione per i libri e mi dice “Sai che ho un amico runner che ha scritto un libro?”. Roberto Di Sante era un suo paziente».

Basta una telefonata perché il libro si faccia spettacolo. Una prima presentazione di qualche estratto in forma teatrale a Pantelleria nell’agosto del 2019, poi un vero debutto nel 2020. Il monologo si accompagna al violoncello di Giovanna Famulari. E la passione per la corsa cresce. «Io sono una persona molto sportiva, ho fatto per tanti anni calcio, pallavolo, nuoto, apnea, vela. Però ecco, a calcio giocavo in porta, quindi neanche lì ero abituato a fare chilometri. E invece pian piano la corsa mi ha trascinato anche a livello umano, chiaramente per le connessioni che vengono create. E poi perché credo che sia un’altra forma di preghiera laica. Ti dà la possibilità di pensare, di stare bene, di stare con te stesso, di gestirti i tempi e gli spazi».

Correre. E recitare

Nel novembre del 2019 Sebastiano Gavasso corre la maratona di Atene insieme a Roberto Di Sante. «Volevo entrare nel personaggio di Aldo Amedei. Mi sono detto che se voglio raccontare questa storia in maniera quanto più possibile autentica, al di là delle capacità interpretative, al di là delle capacità attoriali, devo sapere quando utilizzo determinate parole o quando racconto determinate stanchezze, ma anche quali sono le gioie che si provano quando si taglia il traguardo».

Sebastiano non smette più. Accanto a lui, corrono anche Giovanna Famulari, la violoncellista, e Ferdinando Ceriani, il regista. Chiedo a Gavasso cosa hanno in comune recitare e correre. La risposta mi sorprende: «La prima cosa che mi viene in mente è l’idea del qui e ora. Nel senso che quello che sta succedendo durante una corsa è quello che succede durante uno spettacolo, quando lo spettacolo è in scena. Ogni momento è vero, reale, unico e irripetibile. Questo anche a differenza di quello che può essere il cinema o la televisione, dove comunque durante le riprese puoi interromperti, oppure mentre vedi il film puoi mettere pausa. Ecco, nella corsa ti puoi fermare, ma la corsa sta comunque andando avanti; nello spettacolo teatrale puoi prendere un bel respiro, ma la pausa è parte integrante del teatro». E poi c’è la fatica, «la fatica sacra che viene fatta verso un obiettivo, che è sempre un obiettivo molto alto perché è un obiettivo dell’anima e dell’essere umano, quindi anche dello spirito, oltre che del corpo».

La scenografia di «Corri» è una scenografia essenziale. «Nella mia macchina entra tutto, quindi non c’è da immaginarsi un castello» scherza Gavasso. Esosport, società ambientale nata da un’idea di Nicolas Meletiou, ha messo però a disposizione della compagnia del materiale ben preciso. «Abbiamo una sorta di quadrato fatto da quadrati a loro volta, come fossero delle mattonelle di cinquanta centimetri per cinquanta centimetri. Queste mattonelle sono realizzate con scarpe riciclate, scarpe da corsa che sono state buttate e recuperate. Esosport utilizza il recupero e il riciclo per creare in tutta Italia giardini per bambini e giostre».

Chiedo a Gavasso che effetto gli faccia portare «Corri» in un ospedale. Non ha dubbi. «Il motto della nostra compagnia, che è una compagnia che trasforma da sempre libri in spettacoli teatrali, è quello di andare a realizzare spettacoli che possono, come nella poetica manzoniana, avere il vero come soggetto, l’utile come scopo e l’interessante come mezzo. Quella che facciamo a Bergamo è una replica che non solo è vera, perché racconta una storia vera e si lega a vicende reali (tra l’altro in un luogo che ha sofferto molto durante la pandemia); utile senz’altro, perché lo scopo è più che utile, e interessante perché è interessante da un punto di vista umano, di condivisione e di volontà di unirsi, di creare rete. Ed è anche e soprattutto per fare beneficenza».

L’uomo oltre l’atleta

Nel libro, Aldo Amedei corre, «perché mi sono svegliato morto ma so che tornerò a casa vivo. Perché mi crescono i muscoli per fare a botte con i miei incubi». I «nemici» sono sempre lì, che lo inseguono. Perché dalla depressione non è facile guarire. E anche dopo New York, Berlino, Londra, non c’è un finale. «La mia vita è ancora una bozza da correggere» scrive l’autore nelle ultime pagine.

Spesso, quando seguiamo in televisione maratone, corse, Olimpiadi, ci dimentichiamo che ogni atleta è innanzitutto un essere umano. Nel 2016, Sebastiano Gavasso ha interpretato il ciclista Marco Pantani, il «pirata». Una figura a cui l’attore ha voluto restituire tutta la dignità di uomo, compromessa per sempre da quei controlli antidoping del 1999, ancora oggi oggetto di dibattito. «Dell’atleta ne parlano molto di più e meglio le immagini. Parliamo di un artista del ciclismo: è meglio vedere le immagini piuttosto che una compagnia, per quanto brava, capace e volenterosa. Insomma, c’è chi ne parla molto meglio. Quello che abbiamo fatto è stato andare a immaginare cosa direbbe oggi Marco, quale sarebbe stato il suo punto di vista. Questo ti permette di farlo solo e soltanto il teatro. La sospensione della realtà è un patto che il pubblico accetta nel momento stesso in cui mette piede a teatro, e quindi c’è questa possibilità di sentire dei fantastici fantasmi artistici e raccontare il punto di vista di chi non c’è più».

Marco Pantani, Roberto Di Sante, Aldo Amedei. La storia di chi corre o chi si allena, cadute comprese, è una storia di vita. L’obiettivo di Sebastiano Gavasso è continuare a raccontarla, mentre sogna di partecipare un giorno alla maratona di New York o di recitare, come ha già fatto in passato, nella Grande Mela.

«Quando attraversi l’inferno, non ti fermare. Continua a correre».

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