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Ballare insieme fa bene al cervello, al cuore e alla comunità

Articolo. Ballare in gruppo è molto più che muoversi a tempo: è comunicare senza parole, sentirsi parte di un ritmo comune, sciogliere le corazze interiori e riconnettersi con un’energia che cura, accoglie e trasforma

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In Città Alta, sotto al Palazzo della Ragione, dove c’è la famosa meridiana, fra le varie colonne che reggono l’edificio ce n’è una a cui sono particolarmente affezionato. Ogni colonna ha un capitello diverso e quella in particolare ha come decorazione delle figure umane che si tengono per mano. Una catena che, credo, prima di esser rovinata dal tempo, probabilmente circondava tutta la colonna, una sorta di abbraccio, o, più probabilmente, un girotondo.

Dico questo perché quelle persone, in quella posizione – più che una delle moderne iniziative di abbraccio collettivo di monumenti e simili – inevitabilmente mi ricorda una danza di gruppo. Inevitabilmente per me, che da anni sono appassionato di balli popolari, ma credo che a chiunque ci faccia caso, non possa non ricordare la danza più antica della nostra storia individuale: il girotondo appunto. Parlando di storia umana, invece, sembra rappresentare una danza in cerchio (o in catena: possiamo solo ipotizzare che il cerchio si chiudesse), una sorta di branle , una famiglia di danze, ballate solitamente in cerchio, della tradizione francese e europea.

La presenza della rappresentazione di una danza popolare in una piazza, la piazza centrale del centro storico, richiama probabilmente un tempo in cui il ballo avveniva soprattutto in luoghi pubblici ed era un fenomeno collettivo, un tempo in cui le piazze erano vissute e non solo visitate. Capita raramente di trovare fenomeni simili e spontanei, ora, al di là di eventi organizzati e che probabilmente hanno più a che vedere col folklore, la rievocazione anche in costume di una tradizione, che con il folk: parola che significa semplicemente «gente» e che rimanda a una tradizione popolare e non regolamentata. Fortunatamente esistono ancora momenti di aggregazione libera e gratuita, nati più o meno spontaneamente e non calati dall’alto e quindi rinchiusi da rigide regolamentazioni. C’è chi si ritrova a ballare danze popolari, sudamericane, il tango. Forse, in una certa misura, anche i famigerati rave posso esser fatti rientrare in questa categoria.

Dal mio punto di vista psicologico, sono manifestazioni della necessità umana di fare un’esperienza piacevole e collettiva. Barbara Ehrenreich, giornalista, scrittrice e attivista statunitense, ha scritto di questo in «Storia della gioia collettiva», evidenziando anche come nel corso del tempo il potere abbia tentato di reprimere questa tendenza. Il libro nasce dopo l’analisi svolta in un volume precedente, «Riti di sangue», sulla tendenza umana alla distruttività, qualcosa di simile all’istinto di morte che Sigmund Freud definì «Thanatos». È evidente la contrapposizione fra il ballare insieme, che può portare alla gioia collettiva descritta da Ehrenreich, e il «marciare insieme», che porta inevitabilmente a destinazioni opposte e meno piacevoli.

Comprensibilmente, il sistema attuale, centrato su logiche capitalistiche e illogici residui patriarcali, non può che essere contrario, opporsi ad attività che portano all’estasi, a una felicità e a un senso di unione universale accessibile a chiunque, senza necessità di mediazione tramite device da acquistare. La gioia collettiva descritta, inoltre, è legata ai riti di inversione, diffusi in molte culture e di cui possiamo vedere sopravvivenze nel Carnevale, in cui chi stava in classi sociali inferiori poteva diventare nobile per un periodo limitato e circoscritto di tempo. In passato i Carnevali sono stati occasione di partenza per rivoluzioni e non a caso, probabilmente, ora Carnevale e Halloween sono stati istituzionalizzati e commercializzati. Sebbene un’inversione di ruoli, specialmente dall’alto averso il basso, sarebbe necessaria: quanto farebbe bene alla società se chi ha un ruolo dirigenziale, provasse a vivere in ruoli suoi sottoposti? Questo credo valga dalle situazioni più minimali nel mondo del lavoro, a quelle più elevate della politica.

Danzare insieme è un forte legante per la società. Ne scrive approfonditamente, prendendo spunto proprio dal libro di Ehrenreich, Laura Antonella Carli in un recente articolo pubblicato su Il Tascabile. Carli scrive che la danza è anche un mezzo di comunicazione non verbale eccezionale per le emozioni, e questo mi riporta alla mente un libro che ho amato: «Zorba il Greco» di Nikos Kazantzakis, che racconta l’amicizia fra un intellettuale e Zorba, uomo più corporeo e terrigno che, quando non sa come dire qualcosa, lo balla! La mia personale esperienza di questo romanzo è una sorta di narrazione del difficile rapporto che a volte ho avuto (e molte persone hanno) fra corpo e mente. In questo, il mio percorso di psicoterapia corporea prima, e successivamente il ballo, sono stati fondamentali a migliorare questa comunicazione interiore fra “alto e basso”.

Da qualche anno ho iniziato a introdurre elementi di alcune danze tradizionali molto semplici nel mio lavoro psico-corporeo con gruppi. Trovo infatti che sia un’esperienza molto formativa e curativa poter provare allo stesso tempo sensazioni estatiche e un legame solido: in alcune danze si ruota vorticosamente restando in contatto con le persone vicine con una stretta di mano (o addirittura, per chi frequenta le danze bretoni, con i mignoli!).

Sempre su Il Tascabile, Grazia Battiato approfondisce i benefici psicologici del ballo. Individualmente, ballare fa bene in quanto mette in moto il corpo e questo, in modo apparentemente paradossale, aumenta la nostra energia. L’esperienza dell’analisi bioenergetica insegna infatti che spesso sviluppiamo, per difenderci delle tensioni muscolari che diventano croniche, quella che già Wilhelm Reich – allievo di Sigmund Freud e fra i primi nell’Occidente moderno a considerare corpo e mente parte di un’unità funzionale e a intuire l’importanza del corpo in psicoterapia – definiva «corazza caratteriale». In pratica, facciamo un sacco di fatica per non muoverci. Si può sperimentare facilmente questo irrigidendo un braccio alzato di fronte a noi: è perfettamente immobile, ma lo sforzo è notevole! Muovendoci, e soprattutto facendolo in un’attività piacevole, sciogliamo parzialmente queste tensioni, sgravandoci almeno momentaneamente, del peso della nostra “corazza”. Questo spiega, secondo me, come si possa ballare per ore (e notti, e giorni) di fila, senza usare sostanze eccitanti.

Come scrive Grazia Battiato: «Nella sua apparente inutilità, la danza ha insegnato a piccoli gruppi di umani a diventare comunità. E a ricordarsi che, anche senza parlare, si può risuonare all’unisono». Il ballare insieme, aggiunge al già potente atto della danza la dimensione del gruppo, della comunità, legando verosimilmente anche a livello viscerale e neuronale chi si muove allo stesso ritmo. Come nella marcia, ma con una direzione decisamente diversa, più piacevole, gioiosa e, probabilmente oggi quantomai urgente e necessaria.

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