Con l’arrivo dell’estate, e con questa primavera dalle temperature a volte anomale, proteggerci dai raggi solari è essenziale per la salute della pelle. Negli ultimi anni la consapevolezza sull’impatto ambientale dei cosmetici è cresciuta, portando consumatori e media (tv, social e riviste) a prestare sempre maggiore attenzione alle creme solari. Perché non tutti i filtri solari hanno lo stesso impatto sul pianeta: per limitare – limitare, sia chiaro, purtroppo è impossibile escluderli del tutto – i danni agli ecosistemi marini, la scelta di solari eco-friendly sta diventando prioritaria.
Filtri solari: cosa c’è sul mercato?
Sugli scaffali del supermercato sono comparse sfilze di creme e doposole: c’è davvero l’imbarazzo della scelta. A un primo sguardo i contenuti sembrano tutti simili, mentre i contenitori spiccano per forme e colori: sono quelli a catturare l’attenzione del consumatore! Ma se provassimo a indagare un po’ oltre le apparenze? Se ci sforzassimo di capire che cosa si cela sotto la superficie? Questo articolo non si pone l’obiettivo di essere un vademecum esaustivo, ma un leggera infarinatura in termini ambientali sull’argomento creme solari. Un argomento che può – deve! – essere approfondito, grazie però alle direttive di chi ha le giuste competenze in campo cosmetico e dermatologico. Per partire, vi lasciamo due documenti fondamentali: il riassunto della Commissione Europea sui rischi dell’esposizione alla luce solare, verificati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e un testo riguardante i danni provocati dall’eccessiva esposizione solare, sottolineati dalla Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro.
I filtri solari si differenziano in due categorie: i filtri organici, molecole organiche che assorbono i raggi UV, trasformandoli in calore (ossibenzone, octinoxate e avobenzone) e i filtri minerali (in particolare ossido di zinco e biossido di titanio), che creano una sottile patina sulla pelle e agiscono come uno specchio: riflettono i raggi solari anziché assorbirli. Dal punto di vista ambientale è ormai chiaro che molti filtri organici, una volta dispersi in acqua, sono dannosi per gli ecosistemi marini.
In alcuni Stati (come Hawaii e Isole Vergini) dal 2021 sono stati persino vietati i solari contenenti ossibenzone e octinoxate, per limitare uno dei loro effetti ambientali più tristemente conosciuti e dannosi: lo sbiancamento dei coralli. Uno studio pubblicato su Ecotoxicology prova che queste sostanze producono suscettibilità allo sbiancamento, danni al DNA, crescita anomala dello scheletro delle forme larvali del corallo Stylophora pistillata.
I filtri solari minerali sono in genere considerati più sicuri per gli ecosistemi, rispetto ai filtri organici, ma anche loro lasciano una piccola impronta sull’ambiente: quando entriamo in mare o in piscina, parte della crema solare si stacca dalla pelle e finisce in sospensione nell’acqua, dove – nel caso del mare - può venire ingeriti da organismi marini. I filtri solari minerali possono avere effetti negativi soprattutto quando utilizzati in forma di nanoparticelle (ossia quando presentano una dimensione inferiore ai 100 nm): questi componenti nano sono infatti vietati in Europa dal Regolamento sui cosmetici. I solari etichettati come reef safe in commercio dovrebbero usare filtri minerali non nano. Studi recenti confermano che anche i filtri minerali dispersi nel mare, nel tempo, ostruiscono gli spazi vitali di piccoli organismi invertebrati e modificano l’habitat di specie più complesse. Non esiste quindi una protezione solare al cento per cento amica dell’ambiente. Ad oggi, indipendentemente dai filtri, i solari più eco-friendly sono quelli con alta resistenza all’acqua. Texture più ricche e aderenti restano più a lungo sulla pelle e, uniti a un uso consapevole delle creme, evitano che particelle dannose si disperdono in mare durante il bagno.
Creme solari e ambiente: cosa possiamo fare noi?
Qualsiasi tipologia di crema solare ha qualche effetto indesiderato sull’ambiente, per questo a un buon prodotto dovremmo unire anche un comportamento virtuoso quando siamo in spiaggia o in piscina. Sono in effetti le nostre azioni a evitare ulteriormente che una grande quantità di particelle indesiderate raggiunga la flora e la fauna acquatica. Dopo aver fatto un bagno in mare, dovremmo imparare a riapplicare la protezione solare solo dopo esserci asciugati, anziché spalmarla su spalle e dorso quando siamo ancora in acqua. Così il prodotto rimane sulla pelle anziché sciogliersi e disperdersi in mare. I dermatologi ricordano che l’applicazione deve essere abbondante e regolare: servono circa 2-3 ml di crema per ogni mano piena di prodotto su una zona grande come braccia e viso, per non sminuire l’SPF indicato.
Cerchiamo di evitare l’esposizione diretta al sole tra le 11 e le 15, quando i raggi UV sono più intensi. L’ISS e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ricordano di soggiornare all’ombra nelle ore centrali della giornata per ridurre il rischio di scottature e invecchiamento precoce. Potremmo considerare anche un abbigliamento protettivo nelle ore più calde, come cappelli a tesa larga, occhiali da sole con filtro UV e magliette a manica lunga. Bere regolarmente acqua fresca aiuta a mantenere l’idratazione cutanea e generale, se stiamo molto all’aperto fare pause in luoghi ventilati o ombreggiati dà sollievo alla pelle e al corpo. Neonati, bambini piccoli e anziani hanno una pelle più sensibile: per loro è imprescindibile scegliere solari delicati, privi di profumi, e limitare il più possibile l’esposizione diretta ai raggi del sole.
In piena crisi climatica, con temperature in rialzo che non ci daranno tregua nemmeno questa estate, imparare a proteggere la propria pelle è imprescindibile. Buone pratiche e un briciolo di attenzione aiuteranno anche a tutelare – un po’ di più – anche il pianeta.