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Un anno senza Mahsa, un anno con Mahsa

Articolo. Domani, 16 settembre, sarà passato esattamente un anno da quando Mahsa (Jina) Amini è stata uccisa dalla polizia morale iraniana. In quest’anno almeno 537 cittadini, tra cui 71 bambini e adolescenti, sono stati uccisi da proiettili, corde e manganelli delle forze repressive della Repubblica Islamica. Decine di migliaia di persone hanno sperimentato il carcere, la tortura e la mancanza di tribunali

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Una manifestazione a Bergamo

Nel corso di quest’anno il governo, attraverso una propaganda ingannatrice e bugiarda che ha presentato i manifestanti come pazzi e manipolati, è riuscito nel suo intento di contenere le proteste che ora contano molti meno partecipanti. Nonostante ciò, la resistenza delle donne contro l’obbligo dell’hijab e il sostegno dei giovani alla causa del contenzioso e della libertà hanno dato un colore diverso alle città dell’Iran. Ripercorriamo un anno senza Mahsa, ma un anno con Mahsa, in nome di Mahsa, in nome della donna, della vita e della libertà.

Nel settembre 2022 il nome di Mahsa è diventato uno slogan di speranza . Tutto comincia lunedì 13 settembre, quando la giovane ragazza arrivata a Teheran con la famiglia per un viaggio viene arrestata dalla polizia morale per «aver indossato l’’hijab in modo sbagliato». Giovedì 15 settembre si sono verificati assembramenti di persone davanti all’ospedale, dove Mahsa era in coma per un’emorragia cerebrale causata da un pestaggio. La pubblicazione della foto di Mahsa nel letto d’ospedale con i tubi del respiratore in bocca ha suscitato rabbia e tristezza nel cuore del popolo iraniano.

Il 16 settembre i medici hanno detto alla famiglia di Mahsa che per la ragazza non c’era più speranza: i dispositivi sono stati tolti e Mahsa Amini è morta. Sono iniziati raduni pubblici nelle strade intorno all’ospedale e le forze di sicurezza hanno iniziato a usare manganelli e gas lacrimogeni. Il 20 settembre, il corpo di Mahsa è stato sepolto nel cimitero alla presenza di donne e cittadini curdi che protestavano. Lo slogan « Donna Vita Libertà » e le donne che roteano il velo in aria sono stati tra i principali simboli utilizzati dai manifestanti in città. È stata pubblicata una foto della lapide di Mahsa, in cui era scritto in curdo: «Mahsa, non morirai, il tuo nome sarà un codice». Un codice segreto, che ancora oggi riunisce le persone che si oppongono al governo iraniano.

Un autunno di sangue per strada, a scuola e all’università

La sparatoria contro i manifestanti è iniziata il 21 settembre. Fawad, cittadino curdo di 40 anni e padre di due figli, è diventato la prima vittima delle proteste nate al grido di «Donna Vita Libertà». In seguito, migliaia di persone in diverse città dell’Iran sono scese in piazza per protestare contro l’omicidio di Mahsa Amini. Di fronte alle forze governative hanno frenato i cittadini che protestavano con armi da combattimento, fucili, manganelli e tutti i mezzi di repressione. Adolescenti come Nika e Sarina e giovani donne come Hadis, uccise nei modi più violenti, sono state tra le vittime degli ultimi giorni di settembre.

In seguito, mentre le scuole e le università riaprivano dopo due anni di chiusura a causa della pandemia, questi luoghi sono diventate nuove arene per la lotta contro la tirannia. Le studentesse sono apparse nelle scuole protestando, togliendosi il velo e cantando lo slogan di «Donna Vita Libertà», strappando l’immagine di Khamenei e Khomeini, rispettivamente Guida Suprema ed ex Guida dell’Iran, dai loro libri di testo e bruciandole. Di conseguenza, le forze di sicurezza hanno attaccato le scuole e hanno cercato di reprimere le proteste minacciando, arrestando e usando violenza sugli studenti.

Per la città di Zahedan, capitale della provincia del Baluchistan, il 29 settembre è stato un venerdì di sangue. In seguito allo stupro di una ragazza di 15 anni da parte di un comandante della polizia nel sud dell’Iran, i cittadini Baluch hanno protestato per le strade. Gli agenti governativi hanno risposto uccidendo almeno 108 bambini, adolescenti, uomini e donne bombardando la moschea e le strade circostanti. Il 30 settembre, Khadanur, un giovane Baluch di 27 anni, precedentemente arrestato per resistenza a un agente di polizia e legato a un palo nella stazione di polizia senza cibo e acqua, è morto a causa di un proiettile, colpito al rene. La «danza di Dio» e la sua passione per la vita divennero in seguito un simbolo della resistenza civile del popolo iraniano.

Il 10 ottobre anche la Sharif University of Technology è stata attaccata dalla polizia iraniana a Teheran. Gli studenti, che stavano scioperando all’Università dopo giorni di resistenza, sono stati duramente picchiati dalle forze di sicurezza. Solo quel giorno, decine di studenti sono stati arrestati con la procedura più dura. Il 17 ottobre è scoppiato un incendio nella prigione di Evin: almeno 13 prigionieri sono morti sotto i proiettili degli agenti penitenziari.

Il 22 ottobre, a Berlino si è tenuta una grande manifestazione con lo slogan «È giunta l’ora». Dopo l’assassinio di Mahsa Amini, molti iraniani in tutte le parti del mondo si sono dichiarati a sostegno dei loro connazionali in Iran. Centinaia di migliaia di iraniani e cittadini di altri paesi europei si sono riuniti a Berlino per sostenere la rivolta. Si dice che sia stato il più grande raduno di protesta di cittadini di un paese nella storia moderna.

Un inverno di esecuzioni, scioperi e proteste

Contemporaneamente all’appello allo sciopero e alla protesta a Saqqez, nella città di Mahsa Amini e in dozzine di altre città sono aumentati gli sforzi per arrestare manifestanti, attivisti civili e cittadini comuni. I bazar della maggior parte delle città iraniane sono stati chiusi per tre giorni.

L’8 dicembre la Repubblica islamica ha giustiziato Mohsen Shekari, un giovane manifestante di Teheran. È stato giustiziato in un processo del tutto disumano e ingiusto: la magistratura non ha nemmeno aspettato la sua richiesta di un nuovo processo. Il 12 dicembre, viene giustiziato anche Majid Reza Rahnavard: un tentativo da parte del regime di infondere terrore per fermare le proteste.

Mentre le proteste si erano spostate dalla strada ai tetti delle case e ai canti notturni, il 17 dicembre, nel mezzo di massicce proteste pubbliche per fermare le condanne a morte emesse, Mohammad Mehdi Karmi e Mohammad Hosseini sono stati giustiziati. Mohammad Hosseini, in seguito, è diventato un simbolo di oppressione e molti utenti dei social media si sono definiti suoi fratelli e sorelle diventando la famiglia che non aveva poiché non aveva né genitori né fratelli.

Gennaio 2023, una bugia chiamata «perdono»

Il governo, sotto pressione a causa delle esecuzioni illegali di cittadini manifestanti, ha cercato a gennaio di migliorare i suoi rapporti con l’Occidente. La magistratura della Repubblica islamica ha annunciato così in una circolare l’amnistia di migliaia di manifestanti, che sono stati rilasciati dal carcere.

Allo stesso tempo, in questo mese, sono stati pubblicati numerosi rapporti sull’avvelenamento di studenti delle scuole superiori in Iran, in particolare delle scuole superiori femminili. La preoccupazione dell’opinione pubblica per questa situazione ha spinto le famiglie a protestare davanti ai dipartimenti dell’istruzione. La protesta è durata diversi mesi, ma non si è mai accertata nessuna responsabilità, forse per incutere ancora più paura ed evitare nuove proteste.

Primavera ed estate 2023, disobbedienza civile durante le festività di Nowruz

Ogni giorno, dall’inizio alla fine delle vacanze di Nowruz , in diverse città dell’Iran sono stati pubblicati diversi video di danze, di sfida all’uso dell’hijab obbligatorio e di resistenza delle donne contro le forze del governo. Nello stesso periodo in cui il clima si è fatto più caldo ed è arrivata la primavera, diverse città dell’Iran hanno assistito alla presenza di donne che hanno resistito alla discriminazione dell’hijab obbligatorio.

Settembre 2023, le pressioni sulla famiglia della “ragazza iraniana”, Mahsa

Ad un anno dalla morte di Mahsa, la pressione sulla sua famiglia è aumentata e il signor Amini ha dichiarato di essere seguito da un’auto bianca ovunque vada. Lui ha anche sottolineato, in un testo pubblicato sulla sua pagina Instagram, che si terrà una cerimonia “religiosa e tradizionale” sulla tomba di sua figlia. Inoltre, in questo mese, molti degli ex detenuti per protesta sono stati nuovamente arrestati, convocati e minacciati di non partecipare alle celebrazioni per l’anniversario di Mahsa.

La pressione su questa famiglia indica la paura del governo che venga organizzata una cerimonia: l’occasione dell’anniversario di Masha rappresenta infatti anche una nuova speranza per dare il via di nuovo alle proteste e riaccendere questa rivoluzione nascosta sotto la cenere, ma che arde ancora.

Un evento domani a Milano

Gli iraniani residenti a Bergamo, per far sentire di più la loro voce e dimostrare la loro unità e solidarietà verso la libertà dell’Iran e il rovesciamento del regime criminale e repressivo della Repubblica Islamica, saranno presenti domani nel corteo di Milano, alle 16 lungo Corso Venezia, insieme ad altri richiedenti la libertà e ai loro connazionali. Sperando nella libertà dell’Iran, e nel nome della Donna Vita Libertà.

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