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Disabilità, accessibilità e cultura con Al. Di. Qua. Artists

Intervista. Venerdì 16 giugno, dalle ore 18 alle 20, Festival Danza Estate prosegue con il laboratorio «Segni propri» a cura di Diana Anselmo e Aristide Rontini (Al. Di. Qua. Artists), in collaborazione con Orlando. Per l’occasione, abbiamo fatto due chiacchiere con Diana Anselmo

Lettura 3 min.

Nel 2020, performer di diverse discipline e disabilità si riuniscono per ragionare e proporre istanze in merito all’accessibilità del mondo nel lavoro artistico. Così nasce Al.Di.Qua. Artists (Alternative Disability Quality Artists), associazione italiana di categoria di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo con disabilità. I principali obiettivi dell’associazione sono: garantire a una persona disabile accessibilità piena sia in termini di fruizione artistica che di produzione autonoma; garantire a una persona disabile che voglia studiare una disciplina artistica pieno accesso allo studio e possibile impiego e mettere in discussione l’immaginario solitamente identificante le persone disabili – e quindi anche l’impiego che ne viene fatto – in produzioni “abili”.

Il workshop in programma il prossimo venerdì a Daste – spiegano gli ideatori e co-fondatori di Al.Di.Qua Artist – si propone di smantellare il mito del corpo abile e inossidabile partendo da un affondo teorico sui temi dello stigma. Analizzando come le interazioni sociali mutino in presenza di un elemento considerato di discredito. Esplorando l’esperienza pratica del corpo nel contesto urbano come segno di non conformità, di dirottamento delle norme sociali, di rivolta e riappropriazione. A condurre il laboratorio saranno Aristide Rontini, coreografo e danzatore e Diana Anselmo, attivista e performer che, al telefono, ci spiega il progetto.

CD: Ci racconti di più in merito al vostro gruppo? Com’è nato e con quale intento?

DA: Al.Di.Qua è la prima associazione europea per l’advocacy di persone con disabilità che lavorano nel campo artistico. Con «prima associazione in Europa» non intendo dire la più grossa, ma la prima sul piano temporale. Ciò non vuole dire che nel resto d’Europa non esistano artisti con disabilità, ma semplicemente che non si siano mai raccolti in un’associazione capitanata da loro. Ci sono delle associazioni, teatri e compagnie composte anche da persone disabili, però presiedute da persone abili. Al momento a far parte dell’associazione ci siamo io, che sono performer e attivista, Chiara Bersani, coreografa autrice, Aristide Rontini e Giuseppe Comuniello, entrambi coreografi e danzatori e Camilla Guarino, che è drammaturga. E poi ci sono Dalila D’Amico, professoressa alla Sapienza e Elia Covolan, il nostro grafico. Il gruppo si compone, per più della metà, di persone con disabilità.

CD: In quale settore operate? Come fate advocacy?

DA: In tutto il contesto culturale, i nostri ambiti di azione sono festival, teatri, luoghi d’arte e musei. Fare advocacy si traduce fondamentalmente nel salire sul palco e prendere spazio di parola. Parliamo di cos’è l’accessibilità, di come funziona e come si attua, parliamo di come siamo nati e soprattutto del contrario di disabilità. Erroneamente si pensa che il contrario di disabilità sia l’abilità, ma non c’è nulla di più sbagliato, almeno per quanto ci riguarda.

CD: Qual è l’opposto?

DA: Il contrario della disabilità è accessibilità. Io – persona disabile – non me ne faccio niente dell’abilità. Se devo pensare a qualcosa che non mi ponga in una situazione disabilitante, non penso che vorrei essere abile, bensì che vorrei ci fosse un mezzo per poter accedere a tutto. L’ingiustizia non è essere nato in questo corpo, ma che io venga messo nella condizione di non poter accedere a qualcosa. È lì che ci si arrabbia.

CD: E quali sono gli obiettivi?

DA: Noi portiamo avanti il concetto di demistificazione del desiderio del corpo abile, che non abbiamo. Le persone abili tendano a pensare che, sotto sotto, nei nostri più remoti pensieri, ci sia sempre un’aspirazione all’abilità. Non è così. A noi interessa l’accessibilità e ne parliamo considerandola come un concetto prismatico, che si può affrontare da più fronti. Indubbiamente il primo aspetto che viene in mente è quello delle barriere architettoniche, perché è un lato materiale e tangibile. Ma ciò che ci interessa sottoporre sono gli aspetti più sinuosi, evanescenti. Per esempio, parlando di accessibilità culturale, non è sufficiente mettere tutte rampe e interpreti LIS.

CD: Quale comportamento dovrebbero tenere le persone non disabili che si occupano di cultura? E in quale modo intervenite voi?

DA: È necessario chiedersi come aprirsi a una comunità a cui è sempre stato detto che quel luogo di cultura non gli apparteneva e mai gli sarebbe appartenuto. Pertanto prendiamo parola in prima persona sull’accessibilità e su come praticarla. Sottolineando anche quanto sia pericoloso che qualcuno, magari pure in buona fede, decida di fare qualcosa “per” noi anziché “con” noi. Questo lo facciamo negli incontri, nei momenti artistici, nei percorsi formativi che teniamo.

CD: Sul piano della progettazione, come intervenite?

DA: Ci occupiamo di messa in accessibilità delle opere, ovvero rendere le performance, gli spettacoli, accessibili a vari tipi di pubblico. Sia che si tratti di opere già esistenti o di opere al principio del processo creativo, noi affianchiamo l’artista, chiaramente seguendo e conservando il pensiero estetico e mantenendo il dispositivo drammaturgico. Nello specifico curiamo l’accessibilità del pubblico cieco tramite audio descrizioni poetiche e la curiamo anche per il pubblico neurodivergente e per il pubblico sordo.

CD: Dunque cosa dobbiamo aspettarci a Bergamo, il 16 giugno?

DA: Il laboratorio è aperto a tutti e tutte, il festival Orlando ha messo a disposizione un interprete LIS, perciò è raggiungibile a persone sorde tramite lingua dei segni, come lo è anche per persone cieche e/o con disabilità motoria. Il laboratorio si compone di una prima parte teorica condotta da me in cui affrontano diversi concetti sociologici e riflessioni legati alla disabilità. Cosa vuol dire stigma? Cos’è il corpo abile? E anche cosa vuol dire abitare un corpo attraversato da uno stigma, che sia questo visibile o invisibile. Analizzeremo quali sono i meccanismi sociologici che entrano in gioco e come cambia l’interazione fra persone quando c’è un elemento di discredito sociale che fa parte della situazione. Nella seconda parte del laboratorio, Aristide mette in pratica (corporea) ciò che è stato detto prima, attualizzando tutte le teorie.

Il laboratorio è a ingresso gratuito, per un numero limitato di partecipanti. Prenotazione obbligatoria scrivendo a [email protected].

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