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Ricostruzioni digitali per il patrimonio culturale

Intervista. “Ricostruzioni digitali – Conoscere, conservare, progettare: tecnologia e innovazione per i beni culturali” è uno degli incontri di oggi di Bergamo Next Level. Fra i relatori Fabio Remondino della Fondazione Bruno Kessler, che ci ha spiegato cosa sono le ricostruzioni digitali come si fanno e a cosa servano

Lettura 3 min.
Una parte di New York vista da Google Earth

Ricostruzioni Digitali sono due parole il cui significato è facilmente intuibile. In realtà dietro si nasconde una procedura più complessa di quello che immaginiamo e di cui abbiamo esperienza. Ad esempio, ricostruzione digitale non è un tour virtuale di un museo e neanche una app che permette di riconoscere un monumento attraverso una fotografia. Per capirci qualcosa di più abbiamo fatto due chiacchiere con Fabio Remondino della Fondazione Bruno Kessler, che insieme a Michele Russo dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e a Francesco Fassi del Politecnico di Milano parteciperà oggi, 20 maggio alle 16, all’incontro in streaming “Ricostruzioni digitali – Conoscere, conservare, progettare: tecnologia e innovazione per i beni culturali” (introducono e moderano Alessio Cardaci, Giulio Mirabella Roberti e Fulvio Adobati dell’Università degli studi di Bergamo). Il tutto per Bergamo Next Level.

LB: Sgomberiamo subito il campo dagli equivoci: le visite vituali dei musei, che hanno avuto un boom durante i mesi dei lockdown, non sono ricostruzioni digitali.

FR: I cosiddetti virtual tour sono immagini a 360 gradi, magari ad alta definizione, che danno la sensazione di “stare” in un museo o in un sito archeologico. Vanno distinte dalle ricostruzioni digitali, perché queste ultime ti permettono di ricostruire digitalmente e con precisione la forma e la metrica di un sito, di una città o di un monumento. Durante la pandemia c’è stata una esplosione delle visite virtuali, molti musei avevano dato accesso alle loro sale tramite dei tour virtuali. Ma quelle sono solo immagini. Una ricostruzione 3D invece contiene la geometria, forma e colore del rilevato e, qualora succedesse un evento disastroso, una ricostruzione 3D ci permetterebbe di avere una conservazione effettiva di quel patrimonio, in forma digitale.

LB: Continuiamo con lo sgombero dei fraintendimenti: le Ricostruzioni Digitali non sono le app come GetCOO o Ciceros.

FR: Non conosco nello specifico quelle app, ma di solito lavorano utilizzando solo delle immagini e tramite metodi di intelligenza artificiale vanno a cercare immagini simili e le informazioni correlate. Ma una Ricostruzione Digitale è un’altra cosa. Si tratta di creare, in digitale, la forma di un oggetto partendo da dei dati rilevati con tecniche fotogrammetriche o laser scanner. Ci sono anche delle app che permettono di realizzare delle ricostruzioni 3D tramite uno smartphone, ma ovviamente dipende da ciò che ti aspetti e da ciò che devi fare: ogni ricostruzione 3D ha fini diversi. Si pensi ad esempio a delle indagini sul deterioramento di un monumento, la ricostruzione 3D deve essere perfetta e molto dettagliata. E questo non lo puoi (ancora) fare con uno smartphone.

LB: L’obiettivo è di ottenere una copia digitale, giusto?

FR: Sì, di un reperto archeologico, di un monumento, di una città, etc. Aver avuto delle copie digitali di monumenti distrutti dalle guerre, avrebbe permesso di conservarli almeno digitalmente e, eventualmente, di poterli ricostruire ad esempio con stampe 3D. La copia digitale dà la possibilità di visualizzarla in ogni parte del mondo attraverso la rete. Dare accesso a dati 3D permette di allargare la conoscenza, di comunicare la cultura, etc.

LB: Altri utilizzi delle copie digitali?

FR: Vengono usate dai restauratori per ricostruire o ristrutturare virtualmente un’opera, decidendo quale tecnica è la migliore per il restauro. Oppure vengono usate da esperti e professionisti per pianificare lavori di manutenzione e conservazione. O dai ricercatori per eseguire analisi e confronti. Una tecnica interessante è l’anastilosi digitale di un reperto o di un monumento, ricostruendolo in 3D e “montandolo” come se fosse una specie di puzzle. Non dimentichiamo anche lo scopo educativo: ai giovani serve comunicare la conoscenza con dei mezzi a loro più comuni, quindi un contenuto digitale e interattivo viene apprezzato di più rispetto ad un più tradizionale libro.

LB: In Italia a che punto siamo con le ricostruzioni digitali?

FR: L’Italia non è messa male: dal punto di vista delle tecnologie e metodologie di rilievo e modellazione 3D abbiamo le persone e le competenze e ciò è molto buono perché viviamo in un Paese che per quanto riguarda i beni culturali è il numero uno al mondo. Quello che spesso manca sono i fondi per poter fare più ricerche e lavorare di più nel settore dei beni culturali. Al contrario, altri paesi investono molto di più sulla cultura e sulla documentazione digitale e 3D. In molti siti culturali italiani sono molto più presenti gruppi stranieri rispetto agli italiani. Detto ciò, gli italiani sono riconosciti comunque fra i più bravi nella conservazione del nostro patrimonio culturale.

LB: Quindi siamo alle solite, c’è bisogno di investimenti in cultura…

FR:E’ noto che L’Italia potrebbe vivere di beni culturali e dell’indotto generato da essi. Sicuramente ampliare i lavori di documentazione 3D e conservazione (almeno digitale) sarebbe già un bel passo in avanti.

LB: Quali sono le sfide per il futuro nel settore delle ricostruzioni 3D?

FR: Sicuramente automatizzare il processo di rilievo e documentazione 3D, ma anche la parte di interpretazione e “pubblicazione” online dei dati, per dare più valore al 3D, per effettuare analisi da remoto, per concederne l’accesso a tutti e per valorizzare ulteriormente il nostro patrimonio culturale, partendo dal digitale.

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