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Da Valcanale al monte Vindiolo, tra pascoli e baite

Articolo. Un itinerario comune a tre vallate in un territorio in cui l’uomo è stato determinante nella valorizzazione dell’ambiente naturalistico-pastorale e nel suo deturpamento. Andremo anche alla conquista di due vette, poco conosciute ma estremamente interessanti, il monte Vetro e il monte Vindiolo

Lettura 6 min.
Valcanale (sullo sfondo la Presolana)

La Valcanale è una laterale della valle Seriana, solcata dal torrente Acqualina, in territorio di Ardesio. La strada che sale dal ponte delle Seghe (nome che sottolinea la antica vocazione alla lavorazione del legno) attraversa una serie di contrade ricche di storia e scorci suggestivi. Di fronte alla località Albareti c’è una piccola valle chiamata val di Las, posta ai piedi della poderosa bastionata calcarea del monte Secco che i locali chiamano «corna Giàs». Qui si trova una conca che ospita un nevaio semiperenne, il più basso d’Italia, a mille metri di quota. Un tempo la neve resisteva anche durante l’estate e, prima dell’avvento dei frigoriferi, gli abitanti salivano per tagliare il ghiaccio a blocchi e rivenderlo a valle trasportandolo a dorso di mulo. Nelle giornate più calde era consuetudine raggiungere il nevaio con limone e zucchero per prepararsi delle gustosissime granite. L’inarrestabile aumento delle temperature ha fatto svanire il piccolo ghiacciaio che ormai sopravvive solo dopo inverni particolarmente nevosi (come nella stagione 2020/21). Osservando dalla strada, si direbbe che quest’anno il nevaio sia già esaurito!

Raggiungiamo l’ultima frazione, Valcanale, per avviarci sul classico sentiero che conduce al rifugio Alpe Corte. La smania di mettersi in cammino induce spesso gli escursionisti a superare a piè pari il paese (fatta salva la fugace fermata per l’acquisto del tagliando «gratta e sosta»). Decidiamo invece di attraversare a piedi l’abitato per coglierne l’anima vera. Sono quasi le otto e il sole abbraccia già tutta la valle. Camminiamo immersi nel silenzio tra le case che conservano pregevoli elementi di architettura rurale. Non incontriamo nessuno, solo un’anziana signora intenta a ripulire il cortile messo in disordine dai recenti temporali. Mentre siamo immersi in quest’aura di quiete assoluta, la memoria torna alle placide atmosfere di quando ero un piccolo villeggiante sui monti brembani. In quel medesimo istante, da una casa vicino giunge il canto di un bimbo: «volevo un gatto nero, nero, nero…» (Zecchino d’Oro del 1969) ed ecco che l’incantesimo diviene realtà!

Raggiungiamo la partenza del sentiero CAI n° 220, a quota 1117m, che ripercorre la strada forestale di accesso al rifugio. Incrociamo dei boscaioli intenti alla rimozione degli abeti colpiti dal famigerato bostrico. Uno sguardo d’intorno rivela la drammatica realtà: le verdissime abetaie sono cosparse di grandi aeree con gli alberi rinsecchiti!

Superiamo di slancio il rifugio Alpe Corte (1410m) e puntiamo dritti al lago Branchino seguendo il sentiero CAI n° 218. Attraversato il torrente, si risalgono i dolci pascoli dell’alpe Néel (o Nevel). In rapida successione si raggiungono la baita di Néel bassa (1559m), adibita a rifugio escursionistico in concessione all’associazione A.R.D.E.S. e la baita Néel di mezzo (1613m), vera e propria malga condotta da un mandriano ove è possibile assaggiare gli ottimi formaggi d’alpeggio e i salumi locali. Entrambe sono frutto di una sapiente opera di recupero, salvaguardia e valorizzazione degli alpeggi promosso dalla Provincia di Bergamo, proprietaria dei terreni. Una serie di interessanti pannelli illustrativi racconta la storia e la vita d’alpeggio, le peculiarità naturalistiche e le valenze botaniche della zona.

Superata la baita Néel di mezzo il sentiero si raddrizza. Si notano, a fianco della strada, alcuni vecchi pilastri di cemento. Rappresentano l’intento di sfruttare il lago Branchino come bacino artificiale per la produzione di energia elettrica, tentativo ben presto abbandonato a causa dello scarso approvvigionamento idrico del lago (è alimentato solo da modeste sorgenti sotterranee) e della non ottimale impermeabilità del fondale. Raggiungiamo il rifugio lago Branchino, sorto sui ruderi della baita Néel alta (1790m) e gestito anch’esso dall’associazione A.R.D.E.S. Appena oltre il rifugio si scollina nella conca che ospita il lago Branchino. In corrispondenza della sella sopra il rifugio, affacciata sul lago, è stata allestita una «Stars Box», una sorta di capanna di legno con il tetto apribile che offre la possibilità di pernottare letteralmente “sotto le stelle”.

Il lago Branchino è uno dei pochi laghi di sella formatisi per impermeabilizzazione del fondo: nel tempo uno strato argilloso si è depositato entro quella che naturalmente sarebbe diventata una dolina, favorendo la formazione dell’invaso. Oggi il lago si presenta ricolmo, ma l’acqua è torbida a causa dei recenti temporali. Se non fosse per il fondo piuttosto melmoso, sarebbe l’ideale per una “puciatina”. Infatti la modesta profondità (non supera i due metri) favorisce un rapido riscaldamento delle acque che spesso raggiungono temperature gradevoli.

Il lago rappresenta una fondamentale riserva d’acqua per le mandrie in alpeggio e per questo è stato a lungo conteso dai mandriani delle vallate che qui confluiscono. A tal riguardo vale la pena conoscere la curiosa leggenda del mandriano spergiuro, per la cui lettura vi rimando a questo link.

Costeggiamo il lago fino al passo Branchino (1821m), strategico valico di collegamento tra la valle Brembana, la valle Seriana e la val Serina, nonché crocevia di numerosi sentieri. Ora occorre prestare un po’ di attenzione per evitare errori: scendiamo nella conca oltre il passo Branchino seguendo il sentiero CAI n° 222 in direzione del vicino passo di val Vedra. In corrispondenza della baita Branchino (1836m), poco prima del passo di val Vedra, prendiamo il sentiero CAI n° 231. Subito dopo, superato un casottino di pietra, in prossimità di una pozza d’acqua, abbandoniamo il 231 per seguire sulla destra la traccia che lambisce la pozza. Ci troviamo sul percorso del M.A.G.A. (acronimo per Menna, Arera, Grem e Alben), prestigiosa competizione di skyrace che tocca tutte le cime della val Serina. Non siamo su un sentiero CAI, ma il tracciato è evidente e si trovano le indicazioni con il logo della gara.

Dinnanzi ai nostri occhi appaiono le mete di oggi: in primo piano il monte Vetro (2054m) e poco oltre si scorge la croce del monte Vindiolo (2056m). Sotto di noi si aprono gli splendidi pascoli della val Vedra. Il sentiero procede attraverso i pendii sud-orientali del monte Vetro fino ad una selletta erbosa da cui per facile traccia si perviene alla croce del Vindiolo. In alternativa consiglio di raggiungere la cima percorrendo il divertente percorso di cresta che collega il monte Vetro (2054m) al Vindiolo (in corrispondenza di due alberelli isolati si abbandona il sentiero per risalire il pendio per pochi metri fino alla linea di cresta). La variante di cresta non è difficile ma occorre prestare un po’ di attenzione perché in alcuni tratti è aerea sopra la valle di Roncobello.

Entrambe le cime offrono un panorama grandioso. In primo piano intorno a noi il Menna, l’Alben e l’Arera; facendo correre lo sguardo più in lontananza scorgiamo il Tre Signori, il pizzo del Becco, e spingendosi in val Seriana appaiono il Pradella, il Torena, il pizzo Strinato, il Gleno e il Tre Confini. Laggiù in fondo si intravede persino l’Adamello. Una meraviglia! Chi l’avrebbe mai detto? Due cime così poco conosciute (su alcune carte topografiche non vengono nemmeno menzionate) eppure tanto generose.

Dopo le emozioni contemplative torniamo sui nostri passi fino al lago Branchino e poi, giù ancora, fino alla baita Neèl di mezzo. Anziché rientrare a Valcanale per il percorso d’andata, suggerisco una variante che offre spunti di riflessione in tema di tutela dell’ambiente montano. Poco oltre la baita, su un pianoro, in corrispondenza dei ruderi di alcuni ovili, deviamo a destra per il sentiero CAI n° 266 (seguire i bolli perché non ci sono cartelli indicatori). Attraversiamo le splendide radure pascolive dell’Alpe Néel dove incontriamo più mucche che esseri umani. In poche decine di minuti si giunge in prossimità della baita del GAN di Nembro (1563m), posta su un incantevole terrazzo naturale. Attualmente è in fase di ristrutturazione e i lavori procedono spediti. Ci avviciniamo a quello che sembra essere il veterano del gruppo e chiediamo quando è prevista la riapertura. Con un bel sorriso ottimista risponde: «con un po’ di fortuna a ottobre dovremmo riuscire ad inaugurarla!».

Salutiamo gli operosi volontari e proseguiamo lungo il sentiero 266 che arriva a scollinare nei pressi di una selletta a quota 1558m, sopra i pascoli della baita di Piazza bassa. Si notano i resti della stazione di arrivo di uno degli skilift che costituivano il comprensorio sciistico di Valcanale. Gli impianti hanno funzionato per una ventina d’anni fino al 1997, quando la scarsa redditività ne decretò la chiusura. Purtroppo da allora più nulla è stato fatto per il ripristino ambientale e i segni sono evidenti. Man mano che si scende a valle il degrado aumenta: quella che a tutti gli effetti risultava essere una pista da sci oggi è una strada ricoperta di sassi che l’erosione dell’acqua ha scavato profondamente. L’unica oasi di bellezza è rappresentata dalla baita Vaghetto bassa (1425m), per il resto solo desolazione. Ciò nonostante ci si accorge che, lentamente, la natura sta tornando padrona del proprio territorio. A rincuorarci è un giovane camoscio che indispettito dal nostro incedere fugge spedito.

Il degrado culmina con la vista dell’albergo Sempreneve, sorto in corrispondenza della stazione di partenza degli impianti. Del bell’albergo rimane la struttura abbandonata e vandalizzata. La situazione è di non facile soluzione perché la società che gestiva gli impianti promise più volte il ripristino dell’area ma le opere non vennero mai realizzate. Dovremmo imparare dai nostri vicini svizzeri, molto più sensibili e lungimiranti: chi opera o costruisce in zone montane è obbligato a versare all’ente pubblico una cospicua somma di denaro quale cauzione per le spese di ripristino ambientale. Basterebbe davvero poco!

Dall’albergo si segue la strada asfaltata (in pessime condizioni pure quella) che riconduce alla partenza del sentiero per il rifugio Alpe Corte. Scendiamo poi al laghetto artificiale di Valcanale dove ci concediamo un meritato spuntino con prodotti tipici presso il chiosco allestito in riva al lago.

P.S. L’itinerario qui descritto (con partenza dall’inizio del sentiero per il rifugio Alpe Corte) è lungo circa 17km con 1100m di dislivello positivo. Calcolare circa sei ore di cammino. Chi è meno allenato può raggiungere il monte Vindiolo partendo dalle baite di Mezzeno (1590m) in val Brembana seguendo il sentiero CAI n° 219 fino al passo Branchino per poi raggiungere la vetta. Altra opportunità di salita si ha partendo da pian Bracca (1111m) a Zorzone, in val Serina, seguendo il sentiero CAI n° 231 che risale la val Vedra fino all’omonimo passo.

(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli)

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