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Quanto è “green” il verde che calpestiamo

Confartigianato Imprese Bergamo. Nicola Zeduri: «Alcune essenze resistono meglio ai patogeni senza ricorrere ai fitofarmaci»

Quanto è «green» il verde che calpestiamo mentre giochiamo a calcio, tennis o golf? Forse in pochi se lo chiedono, anche se soprattutto le grandi competizioni internazionali stanno dando sempre più importanza alla questione, per abbattere l’impatto economico ed ecologico di un campo, garantendone prestazioni d’eccellenza.

Negli ultimi anni il tema della sostenibilità dei campi sportivi è stato al centro di normative internazionali e addetti del settore, convogliando gli impegni in ambito di ricerca e sviluppo, spesso restando sotto traccia rispetto alla narrazione sportiva.

L’agronomo Nicola Zeduri, titolare dell’azienda «Viridia Società Benefit spa» e rappresentante della Categoria Imprese del Verde di Confartigianato Imprese Bergamo, vanta anni di esperienza nel settore, sia nella progettazione di questi impianti sportivi sia come consulente: «L’attenzione al consumo di acqua – spiega – è massima, soprattutto nei campi da golf che possono utilizzare fino a 3mila metri cubi a notte».

La scelta delle colture incide

La differenza è soprattutto nelle dimensioni: se un campo da calcio occupa settemila metri quadri, l’impianto per il gioco del golf può estendersi anche per 150 ettari. Per questo motivo la ricerca può fare molto, come racconta Zeduri: «L’orientamento è scegliere colture più resistenti alla siccità come, per esempio, alcune cultivar della macrofamiglia delle gramigne, dimostrando di resistere bene anche a temperature più rigide. Un altro filone di ricerca, che arriva dal Nord Europa, è la misura della tolleranza all’acqua salata», aggiunge l’agronomo. «Si tratta di usare la genetica incrociando ciò che la natura mette a disposizione e osservando come si comportano le piante nelle diverse condizioni, scegliendo poi le essenze migliori».

Negli Stati Uniti, in particolare nell’Oregon, questo tipo di innovazioni è studiato su vasta scala, mettendolo alla prova su terreni che imitano i vari climi del mondo. Anche l’Unione europea ha dato, negli ultimi anni indicazioni specifiche, soprattutto intervenendo nell’equiparare i campi sportivi ai parchi e giardini pubblici. Una decisione non secondaria. «Produttori e progettisti – spiega Zeduri – sono stati costretti ad azzerare l’uso di fitofarmaci, spingendo la ricerca a selezionare essenze capaci di resistere a un più ampio numero di patogeni».

Non bisogna pensare, inoltre, che il campo sintetico sia meno impattante, soprattutto a livello idrico. «Il tappeto sintetico – conferma Zeduri – è più indicato dove la frequenza di utilizzo del campo è elevata, non dimenticando che anche la plastica si surriscalda ed è da bagnare. Sempre più spesso si utilizzano soluzioni intermedie, come il prato armato, ovvero un’armatura in plastica, con filamenti eretti verticali, arricchita di sabbia e torba, su cui cresce un prato naturale». Una soluzione tra naturale e sintetico che, come spiega l’agronomo, ha bisogno di macchinari appositi per poter essere rimossa e smaltita correttamente.

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