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Gianfranco Pontoglio, il sommelier dell’olio extravergine d’oliva

Articolo. Il 73enne ingegnere di Caravaggio è tra i massimi conoscitori dell’olio EVO. Oltre a un’attività nel settore meccanico, si occupa con competenza e passione di uno degli ingredienti principali delle nostre tavole

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Immaginate di essere seduti ad un tavolo di degustazione, durante una manifestazione, e di assaggiare per la prima volta un olio d’oliva, come fanno i professionisti. Quando vi chiedono un parere rispondete che per voi è buono. Eppure, dall’altro lato del tavolo, il relatore della degustazione vi risponde con un secco «no, non è buono. È rancido».

Inizia così la storia di Gianfranco Pontoglio nel mondo dell’olio: seguendo una sessione di degustazione guidata dall’architetto ed esperto Marco Antonucci, nell’ambito di un evento organizzato da Slow Food nella nostra città. Da quel tavolo - e da quella “amara” scoperta - ne è nata curiosità e voglia di approfondire. Un percorso lungo ormai 15 anni che lo ha portato ad assaggiare almeno 4.000 oli d’oliva diversi, a continuare a seguire corsi di formazione fino a diventare uno tra i maggiori esperti di questo prodotto a livello italiano. Pontoglio, che vive a Caravaggio e ha 73 anni, è stato convocato a rappresentare regione Lombardia al concorso nazionale «Ercole Olivario», quest’anno alla 33esima edizione. Dopo un’attenta selezione, i vincitori sono stati proclamati proprio poche settimane fa a Perugia, sede del contest.

L’inizio del percorso

«Dopo l’esperienza con Antonucci, ho seguito il corso ufficiale per assaggiatore organizzato da AIPOL, l’Associazione Interprovinciale Produttori Olivicoli Lombardi». Un percorso di circa una settimana che – come spiega Pontoglio – è una base introduttiva e serve a capire se si ha o meno l’attitudine per queste attività.

«Da allora non mi sono più fermato» continuando con la formazione e gli assaggi, fino ad essere iscritto all’elenco nazionale dei tecnici ed esperti degli oli d’oliva vergini ed extra vergini della sezione Regione Lombardia. Da lì, dopo altri corsi di approfondimento, è stato inserito nel panel della Camera di Commercio di Brescia, un gruppo di esperti che valuta le referenze dei produttori che si candidano a ricevere il marchio DOP, un processo che richiede il superamento di analisi chimiche e sensoriali.

Qual è il bello del mondo dell’olio?

Se nel vino si possono valutare colori, profumi e note diverse, anche l’olio ha un fascino tutto suo. A seconda della cultivar (ovvero la varietà di oliva utilizzata nella produzione) e del terroir (ovvero il luogo in cui un olivo cresce, influenzato non solo dal terreno ma anche dal clima e molto altro), si possono produrre oli molto diversi tra loro. «Mi piace tutto quello che riguarda il profumo e le sensazioni olfattive dell’olio d’oliva. Ad ogni assaggio si possono scoprire caratteristiche e sentori diversi: mandorla, carciofo, erba, mela, pomodoro… L’olio è un mondo straordinario da esplorare», racconta Pontoglio.

Come si riconosce un buon olio?

Difficile rispondere a questa domanda a parole: l’assaggio, in questo caso, è fondamentale. «Profumo vegetale, gusto amaro e nota piccante in un delicato equilibrio tra loro». Se, come la maggior parte dei consumatori, siete abituati agli oli commerciali, è probabile che il vostro palato sia assuefatto da un gusto che voi ritenete “buono”, ma che in realtà è pieno di difetti. Un inganno che lo stesso Gianfranco ha provato ormai 15 anni fa durante le sue prime esperienze.

«Purtroppo - mi spiega - siamo abituati ad oli mediocri e il 95% di quelli in commercio ha difetti: odori, non profumi. Non è l’oliva il problema: è perfetta quando viene staccata dall’albero, ma se resta nei sacchi, comincia a fermentare. Ed è lì che sviluppa i suoi difetti, che poi vengono trasmessi al prodotto finito durante le fasi di lavorazione in frantoio».

Se dalle olive raccolte inzia un processo di fermentazione anaerobica, avremo il difetto di riscaldo; se la fermentazione è aerobica, si ottiene un difetto chiamato avvinato. C’è poi il problema della morchia, le particelle che marciscono e danno sapori sgradevoli. Ma come funzionano gli assaggi nei corsi nazionali, tra cui «l’Ercole Olivario» che ha visto Pontoglio come giudice? «È un’esperienza molto intensa: sei giorni di assaggi alla cieca, trenta o quaranta oli diversi, ognuno valutato con attenzione. L’olio viene servito in bicchierini blu per non poterne distinguere il colore, che spesso trae in inganno». Il colore infatti non è un marcatore di bontà.

Ogni bicchierino viene leggermente scaldato nel palmo della mano. Prima si annusa il prodotto, poi lo si assaggia con un piccolo risucchio per sentire anche il retrogusto e si compilano le schede di valutazione, dove vengono registrate sia le caratteristiche positive che quelle negative. Il punteggio, su scala di 100, è assegnato da una giuria di esperti e premia ogni anno i migliori oli extravergine d’oliva in Italia, divisi nelle categorie «Leggero», «Medio» e «Intenso».

Pontoglio è anche tra i degustatori del Premio internazionale «Leone d’Oro», il concorso più antico d’Italia dedicato all’olio extravergine di oliva, oggi diretto e coordinato da Maria Paola Gabusi, una delle figure più riconosciute nel panorama dell’olio italiano. «Un concorso storico, con un livello tecnico molto elevato. È sempre un onore farne parte».

Come imparare ad usare l’olio a casa

La degustazione non è una scienza esatta, mi spiega Gianfranco, ma una tecnica che va affinata con il tempo. Serve pazienza, costanza e passione. Se poi vogliamo essere sicuri di consumare dell’olio buono a casa, alcuni accorgimenti sono sempre validi. Alcuni esempi? Mai comprare olio non filtrato se non si consuma subito. Le particelle libere potrebbero fermentare e dar vita a difetti. L’olio andrebbe inoltre conservato in un posto fresco e al buio, a temperatura costante, preferibilmente in un contenitore di vetro scuro.

«L’aria e la luce sono nemici dell’olio. Tra le pratiche più comuni nelle cucine domestiche c’è il rabbocco dell’oliera da tavola con l’olio conservato in lattina, e non c’è nulla di più sbagliato». Il residuo di olio che resta nell’oliera e che, a causa della luce e dell’aria si è ossidato , trasmette immediatamente il difetto all’olio nuovo di rabbocco che diventa a sua volta rancido. Inoltre, l’aria che entra nella latta in sostituzione del prodotto versato inizia un ulteriore processo di ossidazione. Ovvero rovina l’olio. Per quanto riguarda gli abbinamenti, Pontoglio consiglia di gustare l’olio nella sua semplicità: «A crudo, sulla pasta, sul pesce, sulle verdure. Non deve coprire, ma esaltare i sapori del piatto».

Tra gli oli d’oliva più amati, differenti nelle loro caratteristiche, ci sono quello del Garda, quello Toscano, il Pugliese e il Siciliano. Ma anche nel territorio bergamasco troviamo oli di eccellenza che non hanno nulla da invidiare ai migliori della penisola. «Basta cercare con attenzione sulle sponde del Lago d’Iseo o sulle colline nei dintorni di Bergamo: per trovare un buon prodotto non serve andare lontano». «A casa ho una cantinetta da vini, ma ci tengo l’olio. Ne ho sempre almeno sei o sette tipi diversi, che variano di volta in volta e che utilizzo ogni giorno. L’olio buono fa bene, è un alimento prezioso. Bisogna solo imparare a riconoscerlo».

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