Come per ogni ricerca che si rispetti, prima di parlarvi degli orti botanici nostrani, impariamo ad osservare il fenomeno da lontano, dalla scala vasta a quella locale. Non tutti sanno che in Europa esistono più di 900 orti botanici, una tipologia di giardino pensata per lo studio, la coltivazione e la propagazione delle specie vegetali sia autoctone che straniere. Gli orti botanici possono essere gestiti dallo Stato, dal Comune, da privati. Alcuni orti botanici sono affiliati a istituti di ricerca botanica delle università.
Dall’antichità fino al Medioevo vi si coltivavano principalmente piante dalle proprietà mediche. Durante il Rinascimento, questi giardini divennero istituzioni ufficialmente riconosciute, specialmente per il loro suolo accademico. Gradualmente, gli orti botanici iniziarono a includere piante prive di proprietà medicinali, ma considerate interessanti o semplicemente esteticamente belle. Venivano coltivate e curate da giardinieri appositamente formati, studiati e classificati.
Di tutto questo passato glorioso, molti giardini botanici conservano erbari, raccolte di esemplari di piante pressate ed essiccate utilizzate per la ricerca. Sono essenziali per la classificazione delle piante e per la loro conservazione e svolgono un ruolo cruciale nel registrare la biodiversità mondiale. Ecco perché è molto importante che gli esemplari conservati includano quanti più aspetti possibili delle specie vegetali: fiori, steli, foglie, semi e frutti.
Questo vero e proprio patrimonio genetico esplose gradualmente con l’aumento dei viaggi e del commercio all’estero nel XVIII e XIX secolo, quando sempre più specie furono riportate in Europa. Ogni specie aveva bisogno di condizioni specifiche per poter sopravvivere al clima europeo. Fu così che le prime aranciere, i palmeti e le serre riscaldate entrarono a far parte di molti giardini pubblici, ma anche di residenze e palazzi privati. L’interesse per la raccolta di piante da tutto il mondo è andato nei secoli oltre gli scopi puramente scientifici: questa pratica rifletteva ambizioni imperialiste ed era uno strumento di espansione coloniale, volto a valorizzare la coltivazione di colture interessanti per ragioni economiche.
Ai giorni nostri, la globalizzazione ha reso l’esotico scontato ed è dunque giunto il momento per queste realtà di operare a scala locale e servire la comunità proteggendo le specie autoctone, che stanno gradualmente scomparendo, soprattutto a causa del proliferare di piante alloctone invasive, proprio quelle che per anni noi europei abbiamo agognato.
L’importanza culturale degli orti botanici
Dato che in questa stagione la maggior parte degli orti sono chiusi per ferie, non posso invitarvi ad andare immediatamente a vedere fioriture straordinarie o fogliami pittoreschi, perciò colgo l’occasione per parlavi dell’invisibile agli occhi.
Gli orti urbani, specialmente quelli botanici, spesso vengono messi in secondo piano sia dai turisti che dai cittadini rispetto alle grandi opere architettoniche di pietra. In realtà costituiscono un patrimonio culturale inestimabile proprio per la loro strettissima dipendenza dall’agire umano per la loro conservazione: possono fiorire o appassire con una velocità inimmaginabile.
Gli impatti del cambiamento climatico globale, della perdita di habitat e di altri mutamenti ambientali sul biota e sulle popolazioni del mondo continuano ad aumentare, soprattutto sulle isole e nelle aree ad alta quota. Per mantenere l’integrità della vita vegetale e la diversità floristica, non è sufficiente che gli orti botanici considerino esclusivamente gli effetti di questi stravolgimenti climatici sulle proprie piante. Piuttosto, dovrebbero impegnarsi attivamente nella comprensione e nella comunicazione degli impatti più ampi dei cambiamenti ambientali sulla diversità biologica e culturale.
La rete degli orti botanici della Lombardia
Gli orti della nostra città e dei dintorni si stanno impegnando, specialmente negli ultimi anni, a fiorire affrontando le sfide climatico-culturali degli ultimi anni nella maniera più efficace: con il potentissimo strumento della sinergia.
Proprio come le piante di un orto o di un bosco, hanno costruito la rete degli orti botanici della Lombardia , ovvero un’associazione no profit che opera promuovere e coordinare le iniziative territoriali degli orti botanici aderenti. Ne fanno parte: l’Orto botanico di Bergamo “Lorenzo Rota”; il Giardino botanico alpino “Rezia” di Bormio; l’Orto Botanico di Brera, l’orto botanico “Città Studi” e l’Orto botanico “G.E. Ghirardi” di Toscolano Maderno (Brescia), gestiti dall’Università degli Studi di Milano e infine l’Orto botanico di Pavia.
Questa “rete vegetale”, che è nata nel 2002 e si è consolidata formalmente in associazione nel 2009, a distanza di più di un decennio ha ottenuto risultati straordinari. I numeri appena pubblicati relativi al 2023 testimoniano questa tendenza positiva. L’affluenza complessiva di visitatori nei sei orti ha sfiorato i quattrocento mila ingressi, con un aumento del 21% rispetto al 2022. Circa il 3,8% dei visitatori totali è costituito da studenti. Pensate che sono più di 7.100 gli studenti coinvolti nelle attività organizzate dal solo Orto botanico di Bergamo “Lorenzo Rota”.
Questi dati statistici rispecchiano un sempre maggiore interesse verso il turismo all’aria aperta e premiano l’approccio didattico generale. Un particolare interessante è il caso del Giardino botanico alpino “Rezia” di Bormio, che ha dedicato nuove energie al miglioramento di alcune collezioni viventi e non viventi e ha più che raddoppiato il numero dei visitatori. Si tratta di un dato importante che offre speranza per la conservazione della flora alpina, particolarmente fragile in questo periodo storico.
La forza e l’esperienza che gli orti botanici apportano alla conservazione si basano sulla loro conoscenza dettagliata e sulla comprensione della cura, della gestione e della biologia di una diversità di specie vegetali. Questa enfasi sull’idea dell’orto come organismo ha portato a molti programmi di conservazione ex-situ e in-situ volti a proteggere, ripristinare le popolazioni minacciate e creare collezioni di piante viventi e semi di specie in via di estinzione.
Un vigneto biodiverso didascalico
Un esempio calzante e “nostrano” è quello della Valle della Biodiversità , la sezione di Astino dell’Orto botanico di Bergamo, che lo scorso 2 dicembre ha inaugurato il vigneto biodiverso. Una collezione di 20 sistemi di allevamento della vigna che narrano la storia della vite in Italia e accolgono ben 18 vitigni da vino e da tavola scelti tra quelli resistenti alle patologie fungine per ridurre i trattamenti e l’impatto ambientale. Nella Valle d’Astino questa coltura, infatti, è un tassello fondamentale per la comprensione del paesaggio agricolo bergamasco. Anche l’Università degli Studi di Bergamo si è interessata a questa fondamentale relazione tra la vite e il nostro territorio.
L’Orto botanico di Bergamo “Lorenzo Rota” ha allestito inoltre, nella Sala Viscontea di Piazza Cittadella, la mostra « L’Altro Orto botanico ». Un’esposizione, visitabile gratuitamente fino a primavera, di estratti dalle collezioni botaniche storiche e attuali, campioni di erbari e modelli, alcuni disegni e schemi botanici, ma anche citazioni dei progetti europei per far diventare Bergamo «Città Amica delle Api e dei Fiori» o per disseminare conoscenza in materia di sicurezza alimentare.
Insomma, ora che avete chiaro in testa l’albero genealogico dei giardini botanici, per stare in tema, e avete iniziato ad apprezzarli, spero riuscirete a metterli sul piedistallo delle istituzioni e a vederli come luoghi di formazione. Luoghi, che per quanto bellissimi, non si fermano ad una bellezza effimera, ma curano l’anima in tutte le stagioni.