«Una crêpe taleggio pere e noci e una birra olistica» annuncia la sorridente cameriera de La Creperia di Cremona mentre appoggia sul tavolo il mio ordine, particolare quanto delizioso. Sorseggio la mia birra prodotta con un curioso metodo a base di energia armonica al calduccio di questo piccolo locale, mentre gocce di pioggia si rincorrono veloci sulle finestre. Poteva essere la giornata ideale per starsene a casa sul divano con un buon libro e una tazza di tè, ma mi è stato difficile resistere al fascino delle città italiane nei giorni di brutto tempo. La pioggia le rende vuote e silenziose, ma ne lava le strade e i palazzi, rendendole nitide, lucenti, saturando i loro colori.
Ed eccomi quindi a Cremona davanti al Duomo ricamato di monofore: il suo bianco rosato contrasta con il campanile di mattoni e il cielo grigio. Il mio ombrello giallo era solo in piazza fino a quando non è finita la messa e altri ombrelli colorati si sono riversati fuori, spargendosi come i coriandoli bagnati che sono rimasti incollati ai sampietrini dall’ultimo carnevale. Mentre tutti escono dal portale, compio l’azione contraria ed entro nel Duomo: le luci si spengono poco dopo, lasciandomi appena il tempo di vedere gli splendidi affreschi e la cripta dal basso soffitto stellato dedicata Sant’Omobono, patrono della città.
Cremona è conosciuta come «la città delle tre T»: torrone, Torrazzo, Tognazzi. Decido di non curarmi di nessuna di queste T, e per oggi mi dedicherò solo a palazzi, chiese e violini.
Non lontano dal Duomo, affacciato sulla piccola Piazza della Pace, ecco il primo palazzo che cattura il mio interesse. Non è certo quello che comunemente verrebbe definito «bello», ma di certo è affascinante: linee squadrate, mattoni rossi e facciata grigia. Non mi lascio ingannare dall’insegna luminosa che ricorda gli anni Ottanta e infatti scopro che questo edificio è stato costruito nel 1930 come Grand Hotel Impero. Ora il «Grand» è stato rimosso ma, anche se più in maniera più umile, l’albergo sembra portare avanti la stessa reputazione.
Il periodo storico degli edifici non cambia entrando in Piazza Stradivari, chiamata Piazza Cavour prima che la statua del celebre violinista spadroneggiasse. Da un lato la Camera di Commercio, dall’altro il Palazzo delle Assicurazioni. È l’architettura razionalista che comanda su questa piazza, non fosse che vi si affaccia timidamente anche il retro del Palazzo del Comune, la cui facciata con merlature e archi, tipica del broletto lombardo duecentesco, è posta su Piazza Duomo.
Oltrepassata la piazza, eccomi di nuovo di fronte all’architettura di epoca fascista della Galleria XXV Aprile, che infatti nacque come Galleria XXIII Marzo nel 1933, su progetto dell’architetto cremonese Nino Mori. All’interno della galleria, un mosaico sul pavimento rappresenta lo stemma di Cremona, con l’inconfondibile braccio che tiene sollevata una palla d’oro di cinque chili. Questo simbolo rappresenta la tassa che ogni anno, in epoca medievale, Cremona pagava all’imperatore e richiama la storia di Zanén de la Bàla, gonfaloniere della città, che sfidò in combattimento il figlio del sovrano per far cessare questa abitudine.
Lo stesso stemma lo avevo già visto di fronte al Duomo, sotto la Loggia dei Militi, dove si ricorda il leggendario fondatore della città: Ercole. La struttura marmorea è ora relegata in un angolo in compagnia di qualche piccione, ma fino al 1962 campeggiava sopra alla Porta Margherita, poi abbattuta insieme alle altre porte della città.
La mia visita di Cremona procede tra le vie silenziose del centro, costeggiate dalle facciate eleganti di edifici come Palazzo Vidoni Pagliari, dalle colonne maestose del Teatro Ponchielli. Passando davanti a Palazzo Fodri mi accorgo che dal piano più alto alcuni busti di uomini e donne si affacciano, con curiosità umana scolpita sui loro visi. Quando non ne posso più della pioggia che continua a scendere, sottile ma incessante, mi rifugio in un altro edificio architettonicamente molto interessante, sempre frutto di un’urbanistica del periodo fascista che rimosse un antico convento a favore di questo progetto di Farinacci. Si tratta del Palazzo dell’Arte, basso e squadrato, con un colonnato ad accogliere i visitatori.
Al suo interno si trovano il famoso auditorium Arvedi, dalle linee morbide e tondeggianti, e il Museo del Violino . Per vedere le audizioni del giorno nell’auditorium sono ormai in ritardo, ma sono comunque soddisfatta della visita al museo. Interattivo quanto basta per i profani, ma con una collezione che fa girar la testa a qualsiasi appassionato, il museo è il tempio degli strumenti ad arco. Pur non essendo affatto un’esperta del genere mi sono divertita, soprattutto nella sala d’ascolto, e posso dire di aver finalmente capito la differenza tra viola, violino e violoncello.
Dopo la visita al museo non posso evitare di passare davanti alla casa nuziale del più celebre tra i tanti importanti liutai cremonesi (la cui arte è Patrimonio Unesco). Parlo ovviamente di Stradivari, che nella casa e bottega in Corso Garibaldi 57 visse con Francesca Ferraboschi e creò parecchi dei suoi pregiati strumenti. Davanti all’edificio, che oggi è una casa museo e una residenza artistica, ci si può accomodare su una panchina insieme a una versione in bronzo di Stradivari, a cui però qualche mese fa è stato tristemente rubato il violino.
La passeggiata per Cremona prosegue e una serie di belle scoperte mi aspettano ancora. Alla fine di Corso Garibaldi si fronteggiano Palazzo Cittanova, dall’inconfondibile struttura medievale, e la neoclassica chiesa di Sant’Agata, che custodisce la Sacra Tavola dipinta nel XXIII secolo, al cui interno si trova una preziosa reliquia.
Poco più avanti mi devo fermare un paio di volte con il naso all’insù: la prima volta davanti a Palazzo Raimondi, che ha attirato la mia attenzione per la facciata di bugnato chiaro e la gronda dove ancora si intravedono gli affreschi, poi Palazzo Stanga Rossi di San Secondo, che disponeva di un bellissimo portale rinascimentale, talmente bello che dal 1875 è esposto al Louvre.
Proseguendo lungo il corso, vengo attratta dai mattoni un po’ scrostati sulla facciata di una chiesa. «Prego!» mi invita ad entrare il sacrestano mentre mi affaccio timidamente alla porta, ed è lui a narrarmi la storia della Chiesa di San Luca, tra le più antiche della città, e dell’antistante Tempio del Cristo Risorto. «Ѐ stato costruito per celebrare la fine della peste e anche per proteggere l’affresco del Cristo Risorto, che ha aiutato la città ad uscire dall’epidemia» mi spiega.
Le chiese di Cremona non sono ancora finite, e improvvisamente ho come l’impressione che ne sbuchi una ad ogni via, ciascuna con la propria incredibile storia. C’è la seicentesca chiesa sconsacrata di San Carlo Borromeo, che nel corso del tempo è stata alloggio militare, magazzino, palestra, e dopo una chiusura di quasi quarant’anni ha riaperto nel 2021 come spazio espositivo. C’è la Chiesa di Sant’Omobono, che era intitolata a Sant’Egidio fino a quando Omobono non vi morì durante una messa, nel 1197. La pavimentazione della piazza antistante, rialzata rispetto alla strada, non è perfettamente regolare e ciò è dovuto al fatto che ricopre un antico cimitero, diventato poi fossa comune durante la peste.
La Chiesa dei Santi Marcellino e Pietro mi inganna con la sua facciata lineare e quasi austera, ma vi si accede in realtà da una porta laterale che mi trasporta in uno spazio enorme e un po’ trascurato, nonostante le preziose opere barocche qui custodite. Al centro dell’ampia penombra, una statua della Madonna col Bambino accoglie i visitatori immersa in una luce calda e gialla. L’ultima chiesa che incontro sul percorso riesco a intravederla soltanto attraverso il cancello chiuso, dietro al quale si apre un quadriportico sopra a cui svettano una facciata spoglia di mattoni rossi e una cupola verde. Si tratta della Chiesa di San Facio, detta «del Foppone» perché anche in questo caso il portico delimitava in passato un cimitero.
Ha smesso di piovere ma, complice il cielo grigio, il buio sta già calando su Cremona ed è ora di tornare a Bergamo. La «città delle tre T», anche evitando le sue attrattive principali e nonostante la giornata decisamente umida, mi ha regalato del tempo di qualità. Devo ammettere però che su una T sono caduta in tentazione: rientro a casa con lo zaino pieno di bellezza e di storie interessanti, ma questa volta ci metto anche una buona scorta di torroncini.
(Tutte le foto sono di Lisa Egman)