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Sette cose di cui vorremmo avere la certezza prima di decidere di diventare madri

Articolo. Non serve trattare le donne da stupide, ricordando che con l’avanzare dell’età si diventa meno fertili, né colpevolizzare chi non se la sente di mettere al mondo un figlio. Ciò che davvero serve è garantire alcune condizioni oggettive minime che rendano possibile fare un bambino senza rimetterci troppo in termini di salute, sicurezza finanziaria, qualità della vita. Perché se già avere un solo figlio è una “missione impossibile”, difficilmente si sceglierà di replicare l’esperienza

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Se fossimo lungimiranti prenderemmo il dato della natalità in Italia (1,24 figli per donna, che scendono a 1,18 per le italiane) per quello che è: uno sciopero. Uno sciopero di base, silenzioso, non organizzato, di milioni di donne in età fertile che – potendo scegliere – preferiscono non fare figli, o al massimo farne uno, dopo avere constatato che le condizioni non sono accettabili.

Per interrompere lo sciopero non bastano promesse generiche o qualche bonus di produzione, servono cambiamenti strutturali, che costano e non si improvvisano. Ecco tutto quello che ci manca per fare i figli che desideriamo.

Sapere che il nostro lavoro non è a rischio

Ho amiche per le quali il lavoro è il fulcro della vita, altre per cui è una semplice necessità. Nessuna di noi, però, vuole che il proprio impiego venga messo in discussione per una gravidanza. È umiliante, ansiogeno e profondamente ingiusto pensare che il fatto stesso di avere un bambino ponga fine, o limiti fortemente, alla nostra carriera lavorativa, sia che facciamo le operaie sia che facciamo le ricercatrici universitarie.

Eppure è quello che succede: una donna su cinque lascia il lavoro al primo figlio (dati Rapporto Inapp 2022). La motivazione prevalente è la difficoltà di conciliazione tra lavoro e cura (52%), seguita dal mancato rinnovo del contratto o licenziamento (29%) e da valutazioni di opportunità e convenienza economica (19%).

Anche quelle che al lavoro ci ritornano devono fare i conti con demansionamenti e mobbing , senza sapere esattamente cosa troveranno al loro rientro, in un clima culturale che ancora giustifica certi comportamenti: «Non ha pensato che metteva in difficoltà i colleghi», «Si è messa in maternità appena avuto il contratto», «Se ne è approfittata», «Non è più affidabile».

Sapere che non rischieremo la povertà

Strettamente legato al tema del lavoro c’è quello economico. Una donna che non lavora, o che lavora meno, rischia la povertà, la dipendenza economica, l’esclusione sociale. Può non essere un problema nell’immediato – spesso lo è, anche per la stessa economia familiare – ma diventarlo in futuro, in termini di pensioni più basse o impossibilità di separarsi da un partner violento perché non si hanno i mezzi per farlo.

Agghiaccianti i dati Istat che riguardano le madri single: quelle in povertà assoluta sono l’11,8% del totale, a rischio di povertà o esclusione sociale sono il 42,1%. Più della metà delle madri sole non può sostenere una spesa imprevista di 800 euro e neanche una settimana di vacanza. Quasi una su 5 è in ritardo nel pagamento delle bollette, affitto e mutuo. E altrettante non possono riscaldare adeguatamente l’abitazione.

Sapere che la nostra maternità è tutelata anche se non siamo lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato

Quando una donna con contratto a termine rimane incinta e viene assunta, la notizia è così eccezionale da uscire sui giornali. Non sorprende, quindi, che molte preferiscano aspettare di avere un contratto “sicuro” per procreare. Questo significa in molti casi posticipare la scelta di fare figli anche dopo i 40 anni, con tutti i rischi di infertilità legati all’aumento dell’età.

Ho amiche che durante il loro congedo di maternità hanno percepito 0 (zero) euro perché borsiste, e la borsa di studio non dà diritto alla maternità. Non si trattava di diciottenni diplomande, ma di trentenni con laurea magistrale, dottorato in corso, e orario di lavoro di 8 ore giornaliere presso prestigiosi centri di ricerca.

Da un punto di vista medico, una gravidanza a rischio è una gravidanza a rischio, ma nella realtà il mondo si divide fra chi può permettersi di stare a casa, giustamente retribuita e tutelata dalla legge, e chi deve lavorare lo stesso per portare a casa la pagnotta. Penso non solo a tutte le dipendenti con contratti a termine, ma anche alle professioniste e alle autonome. Come la mia estetista, tornata al lavoro a un mese dal parto, o la commercialista che chiude l’anno fiscale al nono mese di gravidanza.

Ora: la flessibilità va benissimo. È logico che un medico di pronto soccorso vada in maternità prima di un’impiegata. Sarebbe bello, però, che considerazioni di salute su come e quanto una donna possa, voglia o debba lavorare non fossero condizionate da necessità economiche o dal suo tipo di contratto.

Un solido sistema di welfare pubblico

La cosa che più mi avrebbe rasserenata, quando ero incinta, sarebbe stata la certezza di avere un posto garantito all’asilo nido per i miei figli. Non avendo nonni a tempo pieno (e non potendo prendere anni di aspettativa dal lavoro) il nido è l’unico modo per potere tornare a lavorare, e – più in generale – il solo sostegno concreto dato a un genitore nei primi tre anni di vita del bambino. Ma questa certezza – di trovare posto in un nido pubblico, anche pagando – non c’è mai.

Ci sono le graduatorie, dove con il primo figlio è difficilissimo entrare. Nel mio caso ero stata costretta a ricorrere a un nido privato, che mi piaceva meno, costava di più e mi dava molte meno garanzie. Con la seconda figlia ci fu un “ripescaggio” (questa cosa che un servizio essenziale sia trattato come la riffa di Natale mi fa impazzire) e riuscimmo a trovare posto in un nido pubblico, anche se lontano da casa.

Per questo la proposta del «nido gratis dopo il secondo figlio» mi lascia perplessa: i problemi di conciliazione ci sono già col primo figlio e la criticità principale non è il costo del nido, ma che i nidi ci siano oppure no. I prezzi dei nidi rapportati agli stipendi medi sono assurdi (se ne parte facilmente un terzo delle entrate di una famiglia media) eppure, tra un nido gratis dove non c’è posto e uno a pagamento dove c’è posto, meglio il secondo.

Strumenti flessibili per la conciliazione

Ho parlato di nidi, ma non ho la pretesa di dire che siano la soluzione ideale per ogni famiglia e per ogni lavoratrice. Chi lavora sui turni, ad esempio, potrebbe preferire un congedo di maternità più lungo. Ci sono madri – vuoi perché sono libere professioniste o perché legittimamente preferiscono ricominciare a lavorare il prima possibile – che hanno bisogno del nido fin dai primi mesi del bambino, altre che preferiscono aspettare dopo il primo anno dalla nascita, o anche i primi due.

Ho amiche che hanno lavorato fino al giorno del parto perché stavano bene e se la sentivano. Io, se avessi potuto, sarei stata a casa dal primo mese, perché stavo malissimo. Il punto non è avere una soluzione valida per tutti, ma tanti strumenti che possano adattarsi alle esigenze e alle preferenze di ogni famiglia.

Assistenza fisica e psicologica garantite

Qualche giorno fa, una mia amica che non ha figli ma ci sta pensando mi ha detto: «Non so se era meglio prima, quando sul parto vigeva l’omertà, o adesso, che abbiamo la consapevolezza che si tratta di una scuola Diaz».

Ora, il suo è un paragone un po’ forte, ma la verità è che ben poche di noi – esclusa, forse, chi paga ginecologi, ostetriche e stanza privata in ospedale – sa esattamente cosa la aspetterà al momento dal parto e del post parto. Se sarà vittima di violenza ostetrica, se e in che modo verrà aiutata a gestire il dolore, se riuscirà a fare l’epidurale o meno, se sarà seguita a sufficienza e supportata durante il puerperio. Allo stato attuale, dopo un parto fisiologico, la madre si trova dopo due giorni a casa da sola con un neonato (che in molti casi è il primo che vede da vicino in vita sua) e si suppone che sia capace di cavarsela da sola “per istinto”.

Un clima positivo e incoraggiante

Dopo tutte queste difficoltà materiali, c’è un discorso culturale che non è meno importante. Lo ha detto bene Giancarlo Blangiardo , ex presidente Istat: «Se una coppia si impegna e si sacrifica nel “mettere su” e nel “far crescere” una famiglia, quella stessa coppia gradirebbe che qualcuno le dicesse “bravi, grazie”. Dovremmo poter passare da una logica del “vuoi i figli? Arrangiati sono fatti tuoi” ad una logica del “Sono anche fatti nostri, perché produci e fai crescere una risorsa che è per tutta la società”».

Sarebbe magnifico se i neo genitori - invece di essere continuamente giudicati o osteggiati – fossero incoraggiati e ringraziati per il loro lavoro. In una cultura aziendale moderna, la maternità vale come un master ed è considerata un valore più che un handicap. I bambini, più che un fastidio, sono un valore e un investimento sul futuro di tutti, anche di chi non ne ha e non ne vuole.

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