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A Osaka il cuore di Nicola Zucchi diventa il battito del mondo con «theHeartAI»

Intervista. La città giapponese, che ospita l’«Expo 2025», ha accolto un’opera dell’artista bergamasco nel Padiglione Italia. L’installazione ci ricorda che, nonostante l’infinità di dati e le distanze, siamo ancora legati da un respiro comune

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theHeartAI

Sono sette le ore di fuso orario che separano l’Italia dal Giappone in questo momento. Eppure Nicola Zucchi – sebbene a Osaka siano le 23 inoltrate – risponde alla mia chiamata con un’energia sorprendente, dettata da un sincero desiderio di condivisione. Al centro della mia curiosità c’è «theHeartAI», un cuore pulsante in 3D capace di esprimere lo stato emotivo del mondo in tempo reale, cambiando battito, pulsazione e aspetto. Il motore è l’intelligenza artificiale, che, attraverso una sapiente programmazione, interpreta i dati digitali globali in chiave emotiva, restituendo al pubblico un unico, sincero, battito. Al fruitore, poi, la possibilità di interrogarsi su quanto si senta parte di questo respiro vitale, che potete vedere in tempo reale qui.

Esposto per la prima volta al G7 in Puglia nel giugno 2024, accolto poi a Rabat, in Marocco, per la «Settimana della Lingua Italiana nel Mondo» su invito del Ministro degli Esteri, «theHeartAI» si trova ora all’interno del Padiglione Italia dell’EXPO di Osaka. Noi, curiosi di questo battito, non potevamo non chiedere a Nicola Zucchi di raccontarcelo.

CDM: Non ho mai fatto una videochiamata in diretta dal Giappone, non nascondo l’emozione. Nicola, come sei arrivato lì? Quali possono essere definiti i principali passi della tua carriera artistica?

NZ: Ho sempre avuto un animo inquieto e curioso. Sono nato a Trescore e cresciuto a Cenate; mi sono diplomato al Liceo Classico Paolo Sarpi nel 1996, quando il sistema formativo non dava grandi sbocchi alla creatività. Ho studiato filosofia, poi mi sono iscritto a un corso di Regia alla Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano, a cui sono seguiti dieci anni di direzione e produzione di spettacoli teatrali. La formazione come sceneggiatore e regista ha poi alimentato una crescente passione per la promozione di eventi, festival, progetti culturali.

CDM: In questo ha avuto un ruolo fondamentale la Masseria LoJazzo, in Puglia, dove attualmente vivi.

NZ: Mi sono ritrovato in Puglia un po’ per lavoro, un po’ per amore. La Masseria LoJazzo era un complesso di trulli antichi che io e mia moglie abbiamo deciso di ristrutturare: io ne ho curato l’interior design e ora è un boutique hotel, un luogo di ospitalità e il mio studio creativo. È un luogo in cui posso sperimentare, un posto dove concedermi di essere disordinato. Qui ho capito che la creatività e le mie passioni, per quanto altamente specifiche, necessitavano di condivisione. Siamo riusciti allora a creare un punto di riferimento per eventi culturali di diversa natura, dichiaratamente innovativi, immersi nel verde della natura.

CDM: Come è arrivata la tua passione per il virtuale?

NZ: La grande costante penso sia la mia passione per la scrittura: prima accompagnava i miei spettacoli, poi, a un certo punto, – era il tempo dell’avvento di Facebook – ho capito che volevo metterla a servizio di una creatività che mi facesse sentire sull’onda di quello che stava succedendo nell’istantaneità. Da qui è nata, per esempio, l’idea di «Papagna Experience» per Ceglie Messapica (Brindisi): un museo invisibile geolocalizzato, sovrapposto alla realtà e accessibile tramite smartphone. Qui si inserivano corti 3D e VR, graphic novel verticali e simulazioni di chat narrative, di cui ho scritto le scenografie, come una sorta di opera gestaltica; era un progetto avanguardistico per quegli anni, tanto che uno dei cortometraggi prodotti è stato selezionato per il «Premio David di Donatello» nel 2018. Di base, il potenziale atteggiamento del flâneur alla Walter Benjamin permetteva ad alcuni luoghi di nascondere strati di storie. Questo è stato un precedente importante per «theHeartAI»: ho subìto la fascinazione del mondo digitale e ho capito che mi sarebbe piaciuto lavorarci in modo sistematico.

CDM: Possiamo quindi dire che «theHeartAI», il cuore del mondo, è nato nella rude semplicità di un trullo?

NZ: Assolutamente, è il paradosso che più amo. Quando sono stato ospitato alla Dutch Design Week ad Eindhoven, in più persone mi hanno chiesto: «Dove lavori? a Milano? A Londra? A New York?». Rispondere con convinzione che trovo ispirazione in un trullo di un paesino di Brindisi restituisce all’opera l’autenticità di cui è impregnata. Un’idea così non sarebbe potuta nascere in città, io volevo dare al mondo un cuore. Ora tutti usano l’Intelligenza Artificiale per diventare superuomini e per avere potenzialità speciali, come una sorta di protesi intellettuale, mentre io volevo creare una sintesi del mondo in un oggetto virtuale che batte. Ecco che allora non sussistono differenze o contraddizioni tra un luogo così antico e un’idea così contemporanea.

CDM: L’idea di un «battito del cuore globale», in una società antica e non globalizzata, sarebbe potuta sembrare quasi utopia. Eppure anche oggi, nonostante le distanze siano a portata di clic e il mondo ci sembri incredibilmente collegato, la forte polarizzazione della società fatica a farci immaginare un cuore che batte all’unisono.

NZ: Penso sia incredibile come, ogni volta che viene introdotta un’innovazione, si vada dalla parte opposta del rallentare; anzi, si respira sempre di meno. Ci riempiamo di cose utili, ma abbiamo meno argomenti interessanti da raccontarci, semplicemente perché ci è richiesto di essere ingranaggi. Alla fine, se ci pensiamo, «Matrix» non era del tutto sbagliato: stiamo nutrendo un mondo che non ci aiuta, in cui tutto è incredibilmente frenetico. Il senso di questa installazione è allora provare a usare uno strumento formidabile per fare davvero sintesi in uno sguardo. Come è il cuore del mondo? Batte forte? Batte piano? Con che colore si presenta?

CDM: Come sei arrivato dall’idea alla realizzazione vera e propria?

NZ: Innanzitutto, l’opera doveva essere qualcosa di cangiante, un’istallazione che la gente – curiosa del cambiamento – avesse voglia di tornare a vedere. In quel momento mi sono costretto a una sintesi estrema: se qualcosa cambia, cambia per una ragione. Muta perché si evolvono i dati del mondo, cambia battito. Attraverso questa analisi ecco gli otto colori, a cui corrispondono delle precise emozioni, sistemate in diadi e legate a una legenda. Un altro livello di interpretazione, più sottile, poi, è affidato alle diverse texture, una dozzina per ogni colore, organizzate in scala di intensità. Queste sono lasciate alla libera interpretazione: l’opera, così, diventa davvero di chi la guarda.

CDM: E di fronte all’abitudine dell’utilizzo della tecnologia come mezzo risolutivo, ora ci troviamo di fronte a un’intelligenza artificiale che ci pone domande.

NZ: «theHeartAI» è un mezzo che interroga. È una preghiera, quasi un invito all’introspezione: «Il cuore mi dice che il mondo sta così: e io come sto in questa relazione? Perché?». Interessante è anche il fatto che l’opera non sia supervisionata, nonostante l’AI del programma sia stata sviluppata da me in collaborazione con alcuni esperti del settore: l’idea filosofica era quella di giocare a creare una sorta di autocoscienza. È un gioco che, se vogliamo, si riconduce al mito della caverna di Platone: si vedono degli input variare e si cerca di capire, di fronte a questi stimoli, come reagire nel tempo. La rete neurale sta in mezzo a due scelte artistiche e politiche: a cosa si dà importanza quando si guarda il mondo?

CDM: La selezione delle informazioni per consegnare un battito al mondo su che cosa si basa?

NZ: L’impostazione del sistema è basata sostanzialmente su tre categorie: i trend su Google di alcune parole chiave (es. rifugio antiatomico, inflazione, sacro, sogno, Ucraina, Gaza), i mercati azionari, e quel genere di dati che ci fa pensare al mondo come essere vivente (es. terremoti, alluvioni, eruzioni vulcaniche). La quarta fonte di dati è sé stessa: l’AI del cuore impara dal suo passato, dalla sua esperienza. Questo l’avvicina ad essere una cosa viva.

CDM: C’è qualcosa di estremamente umano in questo. La necessità di processare quel che è successo nel passato per riuscire a stare nell’oggi con maggiore consapevolezza.

NZ: In bottega – mi piace chiamarla così – stiamo sviluppando il cuore del futuro. Un AI predittiva, che gioca a raccontarci come sarà il mondo in un dato giorno. Il principio tecnico è semplice: si abitua l’AI a prevedere il futuro facendole analizzare la sua storia passata. Le opere d’arte, in fondo, sono belle quando ti pongono in una condizione in cui non sei. Un’opera d’arte che non ti porta in un altro posto, non è un’opera d’arte.

CDM: È questo l’augurio più grande che affidi alla tua installazione?

NZ: Per un po’ di tempo, questo cuore a forma di fragola, quasi un gioiello da regalare alla persona che si ama, è rimasto chiuso nella masseria, visibile solo agli ospiti del boutique hotel. Non immaginavo di farlo uscire: mi piaceva questa fruizione analogica e segreta. Vedo il mondo troppo indaffarato a farsi notare, e io, in questo, perdo interesse e non mi è mai interessata la competitività. D’altra parte, credo anche che l’artista debba essere devoto al destino di ciò che crea: se fai qualcosa che piace, hai il dovere di regalargli la sua strada. Amo essere un artista che dona, non che afferma. Vorrei che quest’opera fosse un messaggio di ottimismo vibrante, di possibile cambiamento, di fierezza.

In fondo, in un cuore che muta forma in tempo reale, si riflettono sia la nostra vulnerabilità condivisa, sia la nostra forza: quella di sentire, insieme.

E, forse, è proprio qui che l’arte incontra il futuro, rendendo visibile ciò che ci unisce: il cuore dell’umanità.

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