C’è una parola che, più di altre, tiene insieme chi resta e chi se ne va: desiderio. Viene dal latino de-sidera, «mancanza delle stelle». È ciò che proviamo quando il cielo si svuota, quando qualcosa o qualcuno non c’è più, eppure continuiamo a guardare in alto, a cercare. Il desiderio nasce da un’assenza, ma non è mai vuot o: è lo slancio che ci tiene vivi, la promessa che qualcosa può ancora accadere.
Nel Cimitero Monumentale di Bergamo, dove la città dei vivi si incontra con quella dei morti, questo sentimento prende forma grazie al duo bolognese Antonello Ghezzi, composto da Nadia Antonello e Paolo Ghezzi, tra i protagonisti, insieme a Daniel Gonzàlez di «Contemporary Locus 17», progetto a cura di Paola Tognon. Il loro intervento artistico porta – dal 28 ottobre al 30 novembre – un segno di luce: un ponte tra terra e cielo, un gesto poetico e scientifico capace di unire battiti umani e dati celesti.
Dopo aver attraversato il mondo – dal Giappone all’Argentina, da Atene a Beirut – «Shooting Stars» approda a Bergamo con una versione inedita, la più grande mai realizzata. L’installazione, composta da una linea di LED sospesa nel cielo sopra il muro d’ingresso del Cimitero Monumentale, si accende ogni volta che una stella cadente attraversa il cielo del Mediterraneo. Un dialogo costante tra la materia del cosmo e la vita terrena, tra il visibile e l’invisibile.
L’opera, realizzata in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Astrofisica e il Radiotelescopio «Croce del Nord» di Medicina, fa in modo che ogni accensione sia un evento reale, una connessione luminosa che unisce chi guarda a un fenomeno scientifico. E ogni luce, per un istante, restituisce la possibilità di un desiderio.
Ho incontrato Nadia Antonello e Paolo Ghezzi per ascoltare i loro racconti di cielo, memoria e immaginazione.
CDM: Il vostro lavoro trasforma il Cimitero Monumentale in un punto di contatto tra l’alto e il basso, tra il visibile e l’invisibile. Come nasce il desiderio di portare le stelle in dialogo con un luogo della memoria?
AG: Per noi è un dialogo fra la terra e il cielo. Non vogliamo perdere il legame con l’universo e ciò che ci sovrasta, la visione del cielo stellato può essere uno specchio per conoscere noi stessi. Guardare le stelle significa riconoscersi come umanità: non c’è il sotto senza il sopra e la volta celeste ci unisce. Il progetto per Bergamo è la versione più grande di un lavoro che ha già viaggiato in molte città. Quando ci è stato proposto abbiamo reagito con entusiasmo; «Shooting Stars» non è mai stata così grande, ma, in fondo, ci veniva chiesto qualcosa di «monumentale».
CDM: A proposito di monumentalità, qual è stato – da non bergamaschi – il vostro primo impatto con il Cimitero della nostra città?
AG: Ricordiamo che durante il primo sopralluogo pioveva, il cielo era davvero grigio. Eppure, il Cimitero Monumentale ci è apparso subito maestoso, carico di energia. È un luogo simbolico, importante e sensibile, dove la presenza della morte porta inevitabilmente a riflettere sulla vita. Davanti a quell’imperiosità strutturale ci siamo chiesti: come possiamo portare un contributo significativo a questa immensità? L’opera che nascerà è grande, ma non megalomane: vuole inserirsi con rispetto e delicatezza, come una stella cadente sospesa nel cielo.
CDM: Le stelle cadenti sono legate al desiderio, alla possibilità di immaginare ancora. In un luogo che custodisce la fine, che significato assume per voi il gesto di esprimere un desiderio?
AG: Desiderare è un atto di vita. È quando hai una mancanza che puoi desiderare. La mancanza è una condizione necessaria: è da lì che nasce lo slancio verso qualcosa di nuovo. In fondo, non sappiamo se la morte è davvero la fine; anche oltre la fine, però, continuiamo a sperare, a immaginare.
CDM: In «Shooting Stars», la tecnologia diventa linguaggio emotivo, ponte tra il dato scientifico e l’esperienza umana. Come trovate l’equilibrio tra precisione e meraviglia?
AG: Non abbiamo competenze scientifiche, se non quelle che abbiamo maturato nel tempo grazie alla pazienza e l’accoglienza degli astrofisici che ci hanno accompagnato. Da anni, infatti, lavoriamo con astronomi e ricercatori, ci presentiamo sempre come «sognatori ignoranti» e insieme abbiamo creato progetti ambiziosi e difficili. Ci piace partire da un’idea poetica e darle un fondamento scientifico. Crediamo che la precisione non elimini la poesia, ma la aggiunga. È come se artisti e scienziati si mettessero insieme: noi andiamo a caccia di stelle cadenti, pur sapendo ormai, che non sono stelle e non sono cadenti, bensì meteore che impattano l’atmosfera.
CDM: Tecnicamente, invece, come funziona la vostra «macchina per esprimere desideri»?
AG: Ogni accensione è un evento reale collegato al cielo. Quando un meteorite attraversa il bacino del Mediterraneo, la luce si accende. Se la meteora è grande, la durata e l’intensità della luce aumentano. Tutto è gestito da un computer collegato al Radiotelescopio «Croce del Nord», una grande distesa di antenne “in ascolto” di onde radio. Quando una meteora impatta, il segnale rimbalza e viene tradotto in onda sonora e successivamente in luce. È un sistema che abbiamo messo a punto in anni di lavoro, che esiste grazie alla collaborazione generosa con gli astronomi e che diventa atto esperienziale per i fruitori dell’installazione.
CDM: Il progetto si inserisce in un luogo dedicato al ricordo, ma anche alla cura collettiva. In che modo l’opera diventa un invito a sentirsi parte di una comunità che continua a sognare, anche nel silenzio?
AG: È un modo per ricordarci che siamo qui, che viviamo e moriamo, e che nel frattempo continua a succedere altro. La luce che si accende nel cielo è anche un respiro comune, un gesto di speranza che appartiene a tutti.
CDM: Molte vostre opere – dai semafori blu alle porte che si aprono solo se sorridi – invitano a una diversa forma di pensiero. Quale immaginazione vorreste risvegliare in chi alza lo sguardo verso le vostre stelle?
AG: Ci piace far pensare che un’altra realtà è possibile. Nei nostri lavori cerchiamo di far accadere cose che di solito appartengono alle favole, rendendole però reali attraverso l’arte. Una delle nostre installazioni più recenti è un campanello con la scritta «Premere per cambiare il mondo»: nel momento in cui decidi di premerlo, hai già espresso un desiderio. Tutto comincia dall’immaginazione. «Shooting Stars» funziona giorno e notte, perché non serve aspettare la notte del 10 agosto con un cielo terso, per desiderare. È sempre il momento giusto per farlo. Quando la luce si accende tra le architetture del silenzio, un frammento del cielo incontra la città. In quell’istante, il desiderio non è più assenza: è presenza viva, un gesto condiviso che unisce chi guarda e chi non c’è più.
Dettagli dell’opera:
Antonello Ghezzi, «Shooting Stars», 2025
Fune e led, tecnologie di connessione
40 metri
Per «Contemporary Locus 17», Cimitero Monumentale di Bergamo.
