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Il Rinascimento di Achille Funi, per tornare a immaginare “in grande”

Articolo. La mostra «Achille Funi: ‘900 Classico e Rinascimentale» è allestita fino al 26 febbraio nella Galleria Previtali di via Silvio Spaventa 68 a Bergamo. Un’occasione unica osservare opere monumentali, solitamente poco (o per nulla) accessibili al pubblico, oltre che cruciali per comprendere la tecnica e il pensiero dell’artista

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Achille Funi, Il Parnaso, 1948-53, tempera e foglia oro su tavola, cm 212 x 476

La Scuola di Funi: così spesso è ricordata l’Accademia Carrara di Belle Arti del periodo cruciale della ripartenza dopo i difficili tempi di guerra. Achille Funi (Ferrara, 1890 – Appiano Gentile, 1972) è stato uno dei protagonisti del cammino del volto di Bergamo verso la modernità. Lo è stato con il suo magistero, attraverso l’impronta lasciata nei ben 112 allievi che affollarono le sue aule in sette anni di direzione dell’Accademia, dal 1946 al 1953, e con le grandi imprese di pittura murale realizzate, coinvolgendo gli allievi in luoghi-chiave, pubblici e privati, della città: nell’Accademia stessa, al Palazzo Comunale dove rappresentò la «Battaglia di Legnano», alla Banca Popolare dove affrescò la «Gerusalemme Liberata» e la gloria dei bergamaschi famosi, e al Cinema S. Marco dove volle evocare scene di teatro antico e moderno.

È singolare come, dopo un periodo di “rimozione” dall’immaginario collettivo, negli ultimi anni si assista a un rinnovato interesse nei confronti della poetica “novecentista”, forse per il desiderio di un ritorno a quel pensare e lavorare “in grande” che improntava l’arte dell’epoca, tra “rigenerazione del classico” e valore della dimensione pubblica. E così, come già accaduto ad esempio per Sironi, è arrivato anche il momento di una “Funi renaissance”.

Fino al 25 febbraio, al Palazzo dei Diamanti della sua natia Ferrara, la rassegna «Achille Funi. Un maestro del Novecento tra storia e mito» lo celebra in oltre 130 opere come un moderno umanista, innamorato dei miti classici e della sapienza rinascimentale, capace di attraversare da protagonista i principali movimenti che hanno segnato la cultura italiana della prima metà del Novecento: dalle ricerche futuriste alla ribalta tra i grandi interpreti del Realismo magico, del moderno classicismo di Novecento e della grande stagione della pittura murale. Così, la mostra ferrarese insegue Funi nelle tappe più fulgide del suo percorso: dalla città natale a Milano, da Roma a Padova, fino a Tripoli di Libia al seguito del conterraneo Italo Balbo.

Così fece scuola a Bergamo

In contemporanea, Bergamo riaccende l’attenzione sull’importante capitolo della presenza di Funi in città, certamente una parentesi nella parabola professionale dell’artista, ma da cui nacque un legame indelebile. Ecco perché è interessante visitare la mostra «Achille Funi: ‘900 Classico e Rinascimentale», allestita fino al 26 febbraio alla Galleria Previtali di via Silvio Spaventa 6 8 e promossa in collaborazione con le gallerie romane del Laocoonte e di W. Apolloni.

Qualcuno potrebbe farsi l’idea che la mostra, essendo di natura privata e allestita in uno spazio privato, non possa che configurarsi come un piccolo ma prezioso omaggio al maestro, scandito probabilmente da opere di piccole dimensioni. La sorpresa risiede, invece, in una proposta che non ha nulla da invidiare ai palcoscenici istituzionali e museali. Offre infatti l’occasione di osservare opere monumentali e solitamente poco o per nulla accessibili al pubblico, oltre che cruciali per comprendere la tecnica e il pensiero di Funi.

Per il rapporto tra Funi e Bergamo, l’incontro più significativo è con il cartone, pressoché inedito dal punto di vista espositivo, della «Battaglia di Legnano», preparatorio per gli affreschi della Sala Consiliare di Palazzo Frizzoni (cm 207x245). Siamo nel pieno degli anni dell’insegnamento all’Accademia Carrara, incarico – senza stipendio – accettato da Funi nel 1946 quando, sfollato a Rovetta dove viveva anche il pittore Arturo Tosi, accoglie la sfida di far ripartire la Scuola dopo gli anni difficili della guerra, funestati dalla mancanza di combustibile, dall’impossibilità di pagare i docenti e di sostituire attrezzature fatiscenti.

Funi riesce a restituire alla Scuola il suo ruolo e a renderla centro propulsivo di un nuovo racconto della modernità che si propaga sulle pareti di tanti edifici cittadini, pubblici e privati: non solo Palazzo Frizzoni, ma anche il Teatro delle Novità, il Cinema San Marco, la Banca Popolare, la chiesa della Malpensata. Tutti interventi nei quali Funi coinvolge i suoi migliori allievi, secondo una sua distintiva prassi didattica. Si può dire che con Funi rinasce a Bergamo la scuola dell’affresco.

Poesia di un mondo antico

Non meno impressionante è in mostra la grande tavola a tempera, con fondo a foglia d’oro, dipinta

da Funi nell’immediato dopoguerra: «Il Parnaso», lungo quasi cinque metri e alto più di due, è un ambizioso omaggio alla pittura dell’antica Roma, ma anche al Parnaso affrescato da Raffaello in Vaticano. Non sappiamo come sia nato il grande pannello in mostra, ma è sempre stato di proprietà del pittore, che lo ha custodito fino alla morte nell’aula di Brera dove insegnava tecnica dell’affresco. Passata successivamente in collezione privata, l’opera ne è riemersa solo di recente.

Le Muse sono ancora una volta protagoniste nel cartone, alto più di due metri, che raffigura Talìa, la musa della Commedia, preparatorio per uno dei soggetti “rubati” al mondo classico con cui il maestro ha popolato il foyer del nuovo Teatro Manzoni di Milano, ricostruito su progetto dell’architetto bergamasco Alziro Bergonzo dopo che il precedente edificio, sito in Piazza San Fedele, era stato raso al suolo da un bombardamento aereo nell’agosto del 1943.

Alla Galleria Previtali c’è anche il cameo del dipinto ad olio raffigurante la «Venere Latina», già esposta alla Biennale di Venezia del 1930, vero e proprio manifesto del neoclassicismo funiano con il nudo statuario della dea della Bellezza che risorge tra le rovine della distrutta classicità, oltre al cartone con la «Crocifissione», alto più di tre metri, legato ad una delle ultime opere di Funi, gli affreschi per l’abside della chiesa riminese dei Frati Minori di San Francesco di Paola, distrutta durante la guerra e ricostruita nel 1960 ancora una volta dall’architetto Bergonzo.

I dipinti murali furono poi realizzati nel 1962 da due allievi, diretti dall’ormai settantaduenne maestro: il milanese Umberto Mariani e il bergamasco Claudio Nani, al tempo trentaquattrenne. A sorvegliare le sue opere, ora come allora, non poteva mancare proprio Funi: «La collezione romana “Facce del Novecento– scrivono Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli nella presentazione della mostra – ha prestato un autoritratto ad olio “estivo” del 1955. Il rosso di una fetta d’anguria, la maglietta a righe, il cappello di paglia, le iridi scure a pallottola, fanno pensare per un attimo a Picasso in Costa Azzurra. E invece è Socrate Virgilio Funi, detto Achille, nel suo villino di Forte de Marmi».

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