C’è una scena che si ripete ogni volta che un gruppo di ragazzi entra in una sala buia: le voci che si abbassano, le luci che si spengono, lo sguardo rivolto verso uno schermo. Gesti semplici che oggi sembrano appartenere sempre di più al passato, messi da parte da streaming, social e contenuti rapidi consumati in solitudine sugli smartphone. Eppure è proprio in quel momento di condivisione che il cinema si configura come uno spazio diverso. Non tanto per evadere, quanto per osservare il presente che ci sta intorno da un’altra angolazione. Anche quando mostra cose che non vorremmo vedere.
È in questa prospettiva che è nato il progetto «Scuole aperte per un immaginario possibile», realizzato dall’Istituto Comprensivo De Amicis di Bergamo – che ha svolto il ruolo di capofila in una rete composta anche dagli IC Eugenio Donadoni e Alberico da Rosciate – nell’ambito del «Bando Cinema per la Scuola 2024», finanziato dal Ministero della Cultura e dal Ministero dell’Istruzione e del Merito. Un laboratorio di alfabetizzazione all’immagine che non si è limitato a insegnare agli alunni come si gira un film, ma li ha invitati a esplorare – e raccontare – le paure che abitano il loro quotidiano, grandi e piccole, reali o immaginate, individuali o collettive. I ragazzi di oltre 15 classi di seconda e terza media di tutti e tre gli istituti hanno realizzato – affiancati e guidati da registi e filmmaker di Lab80 – sei cortometraggi su temi e soggetti scelti da loro e che hanno visto proiettati sul grande schermo lo scorso 29 maggio all’Auditorium di Piazza della Libertà.
Il cinema come palestra di sguardi
Nel mondo di oggi, fortemente influenzato dai media e dominato da immagini di ogni tipo (film, TV, fotografia, fumetti, pubblicità, videogiochi) e da dispositivi digitali (smartphone, computer e tablet), è sempre più difficile orientarsi e comprendere la molteplicità di linguaggi e forme espressive dell’audiovisivo. In particolare, i giovani, costantemente esposti a questi contenuti visivi, rischiano di non coglierne appieno il significato e l’impatto nella vita quotidiana. Anche se sono molto abili nel consumo di media, la mancanza di una vera educazione all’immagine può ostacolare la loro crescita come spettatori consapevoli e cittadini del futuro.
In questo contesto, il cinema rappresenta uno strumento molto utile per aiutare ragazzi e adolescenti a familiarizzare con la complessità delle immagini in movimento e a comprendere meglio i contenuti audiovisivi. Il suo valore non si limita all’insegnamento scolastico, ma ha a che fare anche con la capacità di coinvolgere i ragazzi in modo diretto, affrontando tematiche a loro vicine. Allo stesso tempo però, forte del proprio linguaggio universale e popolare, il cinema è in grado di veicolare con estrema facilità argomenti sensibili del nostro presente come la sostenibilità, l’ambiente, i diritti umani, le migrazioni, l’integrazione, il bullismo, l’inclusione, la legalità, la memoria e molti altri. Perché il cinema non racconta soltanto storie, ma coglie le istanze del mondo di oggi, interpreta la contemporaneità, ricostruisce momenti e processi storici, adatta testi letterari e comunica sguardi, prospettive, emozioni e sensazioni del tempo a cui appartiene.
Attraverso le molteplici forme espressive che il linguaggio cinematografico veicola è possibile quindi imparare come il cinema comunichi per mezzo delle immagini, ma anche che cosa ci dica attraverso esse. Per questo motivo la possibilità di accostarsi al testo filmico in maniera produttiva e fattiva da parte dei ragazzi, di capire come si scrive, realizza e costruisce un film ma anche che cosa attraverso il cinema si possa dire e raccontare del mondo in cui viviamo, si è rivelato cruciale nel progetto «Scuole aperte». Sia in ottica di crescita individuale per ognuno degli alunni – al fine di imparare ad orientarsi all’interno del proliferare delle immagini – sia per condividere visioni, opinioni e punti di vista insieme a compagni, insegnanti e genitori.
Sei corti, sei mondi
Ma di cosa parlano questi film? Ciascuno affronta tematiche differenti, tutte caratterizzate da un tratto fortemente intimo e personale. C’è però un elemento che li attraversa tutti: la paura, presente in ognuno come filo invisibile e costante. In «(A)Social», realizzato da alcuni alunni delle classi terze dell’IC De Amicis, questa paura si misura con l’esclusione sociale cui un uso smodato e incontrollato dei social può condurre. I ragazzi immaginano un mondo in cui la dipendenza da smartphone o videogiochi dà luogo a situazioni paradossali – talvolta persino comiche – come andare a sbattere contro un muro, restare a letto tutto il giorno o alimentare episodi di bullismo. Le interviste, realizzate in stile documentario, mostrano i ragazzi mentre riflettono sul proprio rapporto con le nuove tecnologie: ne emerge una consapevolezza sorprendentemente matura, affiancata però da una sincera difficoltà nel rinunciare ai dispositivi che scandiscono la loro quotidianità. Un film che, in fondo, riflette su se stesso – ovvero sul mondo delle immagini.
«Frame di Paura» degli alunni delle classi seconde della sede di Via Monte Cornagera, sempre del De Amics, è invece una vera e propria riflessione sulla paura, come dice il titolo stesso. I ragazzi chiedono a se stessi quali siano le paure più o meno comuni e personali di ognuno di loro, mettendole poi in scena con delle animazioni in stop motion molto divertenti e creative. Si va dalla paura di confessare ai genitori un brutto voto – in questo caso padri e madri si trasformano in leoni famelici – a quella di tornare a casa la sera con il buio, fino a quelle più ancestrali dell’uomo nero o degli zombi. In fondo il cinema è da sempre un modo per dare corpo – e immagine – alle nostre paure e alle emozioni più recondite che fatichiamo a nominare.
Ma soprattutto il cinema, sin dalle sue origini, ha dato vita a mostri. E i ragazzi del plesso Flores dell’IC Da Rosciate, con il loro remake di «Nosferatu» – il celebre horror espressionista di Friedrich Wilhelm Murnau del 1922 – affrontano una delle più antiche rappresentazioni cinematografiche della paura. Realizzato come un film muto in bianco e nero, con didascalie e immagini prese dal film originale, il film è una libera interpretazione del romanzo di Bram Stoker da cui prende origine. Colpisce l’uso intelligente dei pochi mezzi a disposizione e la capacità di adattare il linguaggio del cinema espressionista a uno sguardo giovane, ironico e sorprendentemente consapevole.
Decisamente più inquietante è la paura affrontata dagli alunni delle classi terze del plesso Cornagera dell’IC De Amicis nel loro corto intitolato «Mai sola». Il film racconta una vicenda ispirata a un fatto realmente accaduto a una studentessa della scuola – che interpreta se stessa – vittima di stalking da parte di un uomo adulto che la segue quotidianamente nel tragitto casa-scuola. La ragazza decide di confidarsi con le amiche e i compagni di classe, che insieme trovano il coraggio di affrontare l’uomo, rivelando una fragilità inattesa e spingendolo a chiedere aiuto. La riflessione che ne nasce è profonda e tocca uno dei temi più urgenti della nostra contemporaneità: la violenza di genere e la necessità di riconoscerla, affrontarla e contrastarla fin dalla giovane età.
Una bugia ai genitori sul fatto di aver finito i compiti, una alle nuove amiche sulla propria provenienza, un’altra a un gruppo di ragazzi riguardo ai contatti social o sull’origine di un oggetto prestato, forse rubato. Il lavoro delle classi seconde del plesso Flores del De Amicis «Piccole bugie», prende le mosse da questi episodi quotidiani per raccontare come, dietro le piccole e grandi menzogne che ci scambiamo ogni giorno, si nascondano motivazioni, intenzioni e – perché no – paure che spesso non siamo in grado di riconoscere. Una riflessione lucida sulla complessità del presente e sulle dinamiche invisibili che plasmano i nostri comportamenti e relazioni.
«Sguardi di città», realizzato dagli alunni dell’IC Donadoni di via Tasso, dà forma visiva a un’altra grande paura della contemporaneità: quella legata alla città. Quanto è sicura? Quanto davvero ci appartengono gli spazi urbani? Quanto ci sentiamo liberi e autenticamente noi stessi mentre attraversiamo le vie del centro o quelle della periferia? I ragazzi si mettono davanti alla videocamera per raccontare i loro luoghi sicuri, quelli a cui sono più affezionati, mentre scorrazzano per le strade cittadine correndo, giocando a calcio, fermandosi in un bar o a una bancarella. Lo spazio condiviso diventa così il punto di incontro tra identità individuale e appartenenza collettiva: è nello spazio comune che si costruisce la comunità. Un insegnamento semplice, ma fondamentale.
E cosa resta, quindi, dopo la proiezione? Soprattutto la consapevolezza che il cinema, anche – e soprattutto – a scuola, può essere molto più di un semplice intrattenimento. Può diventare uno strumento di crescita, emancipazione e scoperta. Può aiutare i ragazzi a dare forma alle proprie paure, riconoscere i propri limiti e immaginare mondi nuovi e possibili. E forse, in fondo, è questo il vero compito del cinema: non solo raccontare storie, ma insegnarci a guardare il mondo con occhi diversi. A scuola come nella vita, il cinema ci invita a non accontentarci delle immagini già date, ma a cercare insieme un immaginario personale. Uno spazio in cui la paura non sia più solo un ostacolo, ma una porta da attraversare, un’occasione di incontro e una promessa di futuro.