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Dalla Mostra di Venezia ai nostri schermi, i film, le storie e le polemiche dell’autunno che ci aspetta

Articolo. Si è alzato il sipario al Lido di Venezia sulla 82esima Mostra internazionale d’arte cinematografica, il festival di cinema più antico del mondo e una finestra privilegiata sulle visioni che ci accompagneranno nei prossimi mesi

Lettura 6 min.
«La Grazia» di Paolo Sorrentino

Da sempre, per chi vive in Italia, la Mostra del cinema di Venezia coincide con un momento chiave dell’anno. Perché segna un passaggio tra le stagioni ed è uno di quegli eventi – un po’ come il fischio d’inizio del campionato di calcio o il primo giorno di scuola – che scandisce il calendario collettivo e restituisce la percezione di un passaggio, di una soglia: annuncia che l’estate è alla fine, che il tempo sospeso delle vacanze si chiude e che un nuovo ciclo comincia.

Ma c’è di più: la Mostra di Venezia non è mai stata solo un fatto di calendario, ma anche e soprattutto un laboratorio, un serbatoio di immagini e discorsi che anticipano ciò che, nei mesi successivi, entrerà al centro della nostra attenzione culturale. Ciò che passa sullo schermo al Lido è infatti quello che si vedrà in sala e sulle piattaforme nella stagione autunnale e in quella invernale. E per questo motivo Venezia non è qualcosa che riguarda esclusivamente addetti ai lavori o cinefili irriducibili: interessa chiunque, da chi torna a frequentare il cinema con la ripresa dei ritmi consueti a chi sceglie quale film o serie guardare la sera dopo cena o nelle domeniche pomeriggio piovose. È un osservatorio capace di filtrare e rilanciare le narrazioni e le tensioni del presente.

L’edizione numero ottantadue, che ha preso il via ieri e si concluderà il 6 settembre, è la diciottesima diretta da Alberto Barbera (la quattordicesima consecutiva) e con ben novantuno titoli in programma, si annuncia come una delle più ricche di sempre. Come ogni anno, però, l’apertura non è esente da polemiche: la prima riguarda l’assenza di registe donne in concorso, critica che Barbera ha definito ingiusta considerando la storica attenzione del festival alle questioni di genere. La seconda, ben più accesa, è legata al collettivo «Venice 4 Palestine»: oltre 1.500 artisti e attivisti non solo italiani – tra cui Toni Servillo, Marco Bellocchio, Alice e Alba Rohrwacher, Matteo Garrone, Carlo Verdone, Ken Loach e Roger Waters – hanno firmato una lettera aperta per chiedere al festival una presa di posizione netta contro lo sterminio in atto a Gaza e una maggiore visibilità per le voci palestinesi. La Biennale ha replicato ricordando come il programma includa opere sensibili al tema, ad esempio «The Voice of Hind Rajab di Kaouther» Ben Hania (film che racconta della tragica uccisione di una bambina di 5 anni per mano dell’esercito israeliano durante l’invasione di Gaza del gennaio 2024).

Nel frattempo – mentre sta nascendo un comitato analogo, ma con idee opposte, denominato «Venice for Israel» – la pressione del movimento ha avuto ricadute dirette: alcune star percepite come filo-israeliane, tra cui gli attori Gal Gadot e Gerard Butler (fuori concorso con «In the Hands of Dante» del regista statunitense di origine ebraica Julian Schnabel), hanno annunciato il loro ritiro dalla Mostra. Insomma, in un modo o nell’altro Venezia riesce sempre ad attrarre l’attenzione e a far parlare di sé.

Eppure, più che i superospiti o le polemiche, a essere protagonisti della Mostra del Cinema dovrebbero essere i film. E allora, ecco una carrellata di ciò che il festival propone di più interessante e rilevante, tra i titoli che vedremo presto (in alcuni casi prestissimo) in sala e altri che arriveranno più avanti nei prossimi mesi. L’inizio sarà con il botto: come annunciato da tempo, il film d’apertura è stato ieri sera «La Grazia» di Paolo Sorrentino. L’uscita nelle sale è prevista per il 15 gennaio 2026: si tratta di un dramma, una storia d’amore ambientata in Italia, con protagonista Toni Servillo. Dopo il successo di «Parthenope», presentato a Cannes lo scorso anno, il ritorno di Sorrentino a Venezia potrebbe essere premiato con il «Leone d’oro».

Cosa non facile in realtà perché il concorso, quest’anno, è ricchissimo di nomi d’eccezione. Grandi autori come Olivier Assayas con «The Wizard of the Kremlin», che porta dentro la Mostra la vertigine della politica e la sua traduzione in narrazione con un film – tratto dal romanzo omonimo di Giuliano da Empoli – ispirato alla figura dello spin doctor di Putin, Vladislav Surkov. O come Noah Baumbach con «Jay Kelly» (in sala dal 19 novembre) un road-movie esistenziale che segue George Clooney – star in crisi – e il suo fedele manager Adam Sandler in un viaggio che esplora rimpianti, identità e il peso della fama. O Guillermo del Toro con il suo «Frankenstein» (su Netflix dal 7 novembre), che promette di essere un manifesto creativo più che un adattamento in senso tradizionale: un ritorno al “mostro” come metafora del cinema stesso, creatura cucita di frammenti altrui eppure pulsante di vita propria.

Jim Jarmusch con «Father Mother Sister Brother» (da noi dal 18 dicembre) – con Adam Driver e Cate Blanchett – sembra invece suggerire, già dal titolo, una genealogia affettiva, mentre Yorgos Lanthimos con «Bugonia» – una storia di rapimenti alieni (veri o presunti) con Emma Stone e Jesse Plemons – prosegue con il suo cinema dell’assurdo, spiazzante e sempre ricco di personalità (in uscita il 23 ottobre). E poi Kathryn Bigelow con «A House of Dynamite» (su Netflix dal 24 ottobre) – con gli attori britannici Idris Elba e Rebecca Ferguson –, titolo programmatico che riporta il cinema muscolare e politico della regista americana settantatreenne al centro dell’attenzione. Park Chan-wook con «No Other Choice» (in sala dal primo gennaio), un’opera a metà tra cinema di genere e impegno civile, racconta invece la storia di un uomo disposto a tutto pur di trovare un nuovo lavoro dopo essere stato licenziato.

François Ozon, con «L’Étranger» adatta lo straordinario romanzo di Camus, cercando di restituire l’indifferenza esistenziale e la solitudine che permeano il testo, mentre László Nemes con «Orphan», girato in pellicola e ambientato nella Budapest del 1957, all’indomani dell’invasione sovietica, è ancora una volta alle prese con la memoria e la sua rappresentazione. E poi Ildikó Enyedi, Valérie Donzelli, Mona Fastvold: presenze che portano in concorso il loro sguardo personale sul contemporaneo, tra introspezione, ironia e tensione narrativa, arricchendo il programma della Mostra con prospettive femminili e autoriali di grande spessore.

L’Italia, per una volta, non si presenta timida. Leonardo Di Costanzo con «Elisa» (la storia di una donna in carcere per omicidio che cerca di trovare la propria redenzione), Franco Maresco con «Un film fatto per Bene» (una biografia apocrifa e sui generis di Carmelo Bene) – entrambi già in sala dal 5 settembre, in concomitanza con la presentazione alla Mostra –, Pietro Marcello con «Duse» (uno sguardo malinconico e pudico sugli ultimi anni della vita di Eleonora Duse con il volto di Valeria Bruni Tedeschi) e Gianfranco Rosi con «Sotto le nuvole» (un documentario, intenso, poetico e virato in bianco e nero sul Golfo di Napoli) – tutti e due al cinema dal 18 settembre – insieme al già citato Sorrentino, completano il quadro di un cinema nazionale in concorso vivace, ambizioso e creativo. Quattro autori che non potrebbero essere più diversi e che proprio per questo tracciano un ritratto verosimile del nostro cinema: sobrio e narrativo, lirico e storico, grottesco e documentario. È un’Italia che non si propone come blocco monolitico, ma come arcipelago. Ed è forse questa pluralità la vera ricchezza.

Fuori concorso, invece, la Mostra diventa pura celebrazione del cinema e delle sue infinite forme e possibilità. Luca Guadagnino presenta «After the Hunt» (in sala dal 16 ottobre), thriller psicologico con Julia Roberts che affronta uno dei temi più urgenti del nostro presente: le molestie sessuali e il maschilismo più retrivo all’interno delle istituzioni e dei luoghi di lavoro, in questo caso in un importante college americano. Una vicenda raccontata attraverso gli occhi di una donna che si trova a dover mettere in discussione se stessa e il mondo che la circonda. Il già citato «In the Hand of Dante» di Schnabel è invece un giallo avventuroso in stile classico e incentrato sulla ricerca del manoscritto originale della Divina Commedia. Gus Van Sant torna alla Mostra dopo più di trent’anni con «Dead Man’s Wire», thriller ispirato al crudo caso reale del sequestratore Tony Kiritsis, interpretato da Bill Skarsgård, Al Pacino e un cast stellare (l’uscita è prevista per i primi mesi del 2026).

Tuttavia è la sezione documentari del fuori concorso a fare la parte del leone. Ci sono infatti nomi di autori di primissimo piano del cinema mondiale, alcuni dei quali inattivi da diverso tempo. Come Aleksandr Sokurov che con «Director’s Diary» compie un viaggio cinematografico di cinque ore tra memoria storica, introspezione spirituale e narrazione sperimentale. Una vera e propria biografia spirituale attraverso la storia del XX secolo. O come il regista taiwanese Tsai Ming-liang, amatissimo se non addirittura venerato dai cinefili di tutto il mondo, che presenta «Back Home», il racconto del ritorno a casa di un uomo verso il suo villaggio natale in Laos: un’esperienza sospesa tra memoria, quiete e vita rurale. E poi il primo documentario di Sofia Coppola, «Marc by Sofia», dedicato al designer Marc Jacobs, quello di Lucrecia Martel, «Nuestra Tierra», una docu-inchiesta sulla lotta per la terra e il destino del leader indigeno-argentino Javier Chocobar. O ancora, quello co-diretto dalla regista premiata con il Leone d’oro nel 2022 per «Tutta la bellezza e il dolore», Laura Poitras, che insieme con Mark Obenhaus, presenta «Cover-Up», un documentario investigativo su Seymour Hersh, giornalista e saggista statunitense noto per le sue inchieste giornalistiche scomode e spesso controverse. Film questi che non sappiamo ancora se e quando saranno distribuiti, ma che vale la pena appuntarsi come opere da tenere d’occhio nel prossimo futuro.

Insomma, come al solito Venezia offre spunti e visioni capaci di soddisfare qualsiasi tipo di pubblico. Ci mostra le tendenze, le urgenze e le istanze del presente, tra sperimentazione e cinema d’autore, confermando la sua capacità unica di leggere il mondo attraverso le immagini. E mai come quest’anno pone la figura – pubblica e privata – degli artisti e delle storie cui danno vita al centro del mondo. Un mondo sempre più difficile da comprendere e spesso contraddittorio, in cui l’arte diventa specchio, rifugio e strumento di riflessione, capace di raccontare ciò che altrimenti rimarrebbe inespresso.

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