Dal gelo delle montagne del Canada alle peripezie degli inquilini di un condominio turco e a uno storico negozio di olive ascolane nelle Marche, passando per Italia e Senegal. Quello che propone «Integrazione Film Festival» da questa sera al 17 maggio è un viaggio tra culture, appartenenze e identità che trova casa tra lo schermo dell’Auditorium Cult! in Piazza della Libertà, del Donizetti Studio in Piazza Cavour accanto al teatro cittadino e le vie della città, dove si snodano passeggiate a tema.
Sedici film tra cortometraggi e documentari provenienti da tutto il mondo con anteprime nazionali, una sezione fuori concorso di film accessibili anche a persone con disabilità sensoriali, incontri con registi e registe, musica, spazi di dialogo e incontro, stand up comedy, appuntamenti per le scuole e un’attenzione all’imprenditoria compongono il ricco mosaico del programma della diciannovesima edizione di «Integrazione Film Festival». Cinque giorni di cultura gratuita organizzati da Cooperativa Sociale Ruah, che si possono sostenere aderendo alla campagna di raccolta fondi «Il futuro è un film da vivere. Vieni a scriverlo con noi a IFF!» Si può donare qui!
Filo rosso di quest’anno è la parola intersezionalità. A introdurre il termine è la giurista americana Kimberlé Crenshaw nel 1989 per mostrare come la nostra identità sia definita da una sovrapposizione di categorie tra cui età, genere, etnia, religione, classe sociale, orientamento sessuale, disabilità e come il loro intreccio porti a situazioni di vantaggio e privilegio o di svantaggio, arrivando fino all’oppressione e alla violenza. A scegliere questa parola come guida del festival è la sua nuova direttrice artistica, Daphne Di Cinto, regista, sceneggiatrice e attrice parte del cast della serie Netflix «Bridgerton», pluripremiata a livello internazionale per il suo corto «Il Moro», miglior cortometraggio per l’edizione numero 16 del festival.
SV: Come mai ha scelto proprio l’intersezionalità come tema della manifestazione?
DDC: Senza coscienza di cosa significhi questo termine e senza coscienza della quotidianità in cui viviamo, tutte le altre parole legate allo stare insieme come integrazione, interculturale, inclusione perdono di valore. L’internazionalità è ciò che dà loro forza, soprattutto in una società come la nostra, che da decenni è multiculturale, anche se tanti italiani di seconda generazione si sentono ancora chiamare stranieri da persone che hanno autorità come politici o insegnanti, che parlano di inclusione. Includere però ha senso se ci si riferisce a persone che arrivano in Italia, non per chi è già qui o ci è nato. Queste persone sono già integrate, stanno vivendo la loro vita nel loro paese, l’Italia: a volte è chi dice che le seconde generazioni devono essere incluse a essere parte del problema.
SV: Cosa intende?
DDC: Bisogna davvero stare attenti a non creare esclusione quando si parla di inclusione. Spesso chi utilizza queste parole non vede la propria responsabilità nelle narrazioni che porta: «Perché parli così bene italiano?» si sentono chiedere tanti giovani nati e cresciuti in Italia, ma con origini diverse. La risposta è ovvia, «Perché sono italiano, sono nato qui», nonostante questo spesso questi ragazzi vengono considerati stranieri.
SV: Come ritorna il tema dell’intersezionalità nel programma del festival?
DDC: I film in concorso sono tutti intersezionali in tante maniere: dal tipo di storie ai personaggi, a chi sta dietro alla camera. Spero di avere creato intersezionalità anche negli eventi collaterali del festival, a partire dagli incontri, chiamati «Storie intorno al fuoco», proprio perché raccontare storie è il modo in cui l’essere umano forma la sua identità dalla notte dei tempi. Durante questi appuntamenti parleremo con professionisti che racconteranno quello che stanno facendo, dalla creatività, all’imprenditoria e quanto siano inseriti e contribuiscano al tessuto sociale dell’Italia.
SV: Tra i titoli della sezione fuori concorso c’è anche il suo corto pluripremiato «Il Moro». Cosa racconta del nostro oggi quella storia del Cinquecento?
DDC: Nella Firenze di Alessandro de’ Medici detto «Il Moro» il razzismo non esisteva. Quando ho fatto ricerche sulla sua storia mi sono resa conto che non era contrastato per le sue origini afro-discendenti, ma per la sua bassa nascita, per una questione di classe. Se il primo duca di Firenze era afrodiscendente, che problema abbiamo oggi di preciso? Non riesco a capacitarmene. Nella sua storia si ritrovano aspetti importanti per l’esistenza delle persone di seconda generazione e questo si lega a un altro momento chiave nel festival, l’«Aperitivo di cittadinanza» (questa sera alle 18, Auditorium Cult!, ndr).
SV: Di cosa si tratta?
DDC: Abbiamo scelto di dedicare l’inaugurazione del festival alle persone che la cittadinanza ancora non ce l’hanno o che l’hanno appena ottenuta e questa sarà l’occasione in cui condivideranno le loro storie: ci sarà la tik toker Aida Adiouf e il tik toker Zighi Camporese e Daniela Ionita, un’attivista impegnata per gli italiani senza cittadinanza. Non dobbiamo mai dimenticare che, anche se non siamo noi oggetto di ingiustizia, il problema di un gruppo è un problema di tutte le persone. Bisogna sempre ricordarsi della storia: quando c’è stata oppressione è sempre cominciata da un gruppo piccolo e poi si è estesa, pensiamo poi a quanto fosse ingiusto che le donne non potessero votare meno di cento anni fa o che un secolo fa siamo stati noi italiani a comprare un biglietto di sola andata per le Americhe, cercando una vita migliore.
Tra cinema, incontri e racconti
La manifestazione inaugura oggi alle 18 in Piazza della Libertà con il momento citato dalla direttrice artistica, dedicato al confronto tra pubblico e seconde generazioni, sul «Referendum Cittadinanza» dell’8 e 9 giugno 2025, con il sostegno di ActionAid. Seguirà alle 20.45 lo spettacolo di Yoko Yamada, stand up comedian di casa a Comedy Central Italia, l’anteprima per Bergamo di «Dahomey» di Mati Diop, «Orso d’Oro» come miglior film a Berlino 2024, un documentario che tra opere trafugate e tesori reali da restituire al Benin indaga l’identità postcoloniale.
Durante le serate di domani, mercoledì, giovedì e venerdì l’Auditorium Cult! ospiterà i cortometraggi e i documentari in gara per «Integrazione Film Festival», a partire dalle 20.45. La serata finale del festival di sabato 17 invece porterà sul palco registi e registe dei film più votati per la consegna dei premi. Ad accompagnare la serata ci sarà la cantante bergamasca Awa Fall, che farà tappa nella sua città d’origine dopo concerti in tutta Europa in versione duo acustico.
In programma anche una sezione parallela fuori concorso in cui il cinema è reso accessibile anche per le persone con disabilità sensoriali, in collaborazione con «INCinema - Festival del Cinema Inclusivo», dove le pellicole avranno sottotitoli per persone sorde e ipoacusiche e audiodescrizione per persone cieche e ipovedenti.
Non solo cinema
Accanto al cinema spazio anche agli eventi collaterali, dalle «Storie intorno al fuoco» in cui si racconteranno professionisti e professioniste di diversi mondi tra scrittura, arte figurativa recitazione e imprenditoria. Proprio a quest’ultima sarà dedicato il foyer dell’Auditorium Cult!, dove durante tutta la durata del festival, dalle 17 alle 23.30, sarà allestito uno spazio espositivo per brand e start up, insieme a un’area lettura dedicata a libri decoloniali.
Tra le proposte in programma anche le passeggiate interculturali «Migrantour», (Partecipazione con posti limitati, iscrizione 15 euro a persona, gratis per i minori di 12 anni), gli incontri con le scuole superiori, uno spazio dedicato alla finanza etica e una lezione aperta dell’Università di Bergamo, in programma domani alle 14 all’Auditorium Cult!, un viaggio tra cinema, geografia, pedagogia e visual studies. Durante i giorni del festival, i film in concorso saranno disponibili in streaming gratuito anche sulla piattaforma ZaLabView che ospiterà la sala virtuale di «Integrazione Film Festival», dove il pubblico da casa potrà anche votare le pellicole.