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Il borgo di Alino, uno scrigno di storie da raccontare e meraviglie da scoprire

Racconto. L’escursione che vi presentiamo oggi è lunga 16 chilometri con 1100 metri di dislivello. Non presenta difficoltà tecniche ed è perfetta per ammirare i panorami brembani

Lettura 6 min.
La seconda alla baita del Sornadello

I versanti montuosi che sovrastano il fondovalle brembano celano numerosi piccoli borghi che sfuggono al viandante frettoloso ma che sanno regalare paesaggi magici e sorprese inaspettate a chi li avvicina con curiosità e rispetto. È il caso di Alino, un manipolo di case adagiate su un colle tra San Pellegrino e San Giovanni Bianco, alle pendici del Monte Molinasco. Le abitazioni conservano ancora intatto l’antico aspetto rurale e si stringono tutt’attorno alla graziosa chiesetta di origini medievali dedicata a San Bernardino ed edificata sui resti di una più antica pieve dedicata a San Lino. Da qui il nome della contrada, ad Linum, poi divenuta Alino.

Meta di oggi è il Monte Sornadello, cima che abbiamo già raccontato in precedenza affrontata dal suo lato brembillese. Lasciamo l’auto nel piccolo piazzale di Alino (685m) e ci incamminiamo sulla bella strada consortile (una sbarra preclude l’accesso agli autoveicoli) che sale alle contrade di Ca’ Boffelli, Vettarola e Ronco. Il tracciato della carrozzabile non ha rovinato la vecchia mulattiera, che, ancora in buone condizioni, si può percorrere per lunghi tratti (segnavia CAI 506C). Risaliamo il bosco della Valle di Alino e in mezzoretta giungiamo alla contrada Ca’ Boffelli (974m), un nucleo di vecchie case ben conservate e circondate dai prati con l’erba in piena crescita. Da qui seguiamo la strada acciottolata che conduce alla bocchetta del Ronco. Poco prima del valico, sulla destra, un cartello ci guida alla baita degli Alpini. In breve giungiamo nei pressi di una splendida radura nel bosco che ospita la baita del gruppo Alpini di San Giovanni Bianco (1105m). Oggi è giorno di festa e fervono i preparativi per la prima apertura stagionale. Al fianco della baita spicca un grande paiolo di rame luccicante pronto ad accogliere l’immancabile polenta.

Dalla baita in pochi minuti si raggiunge la cima del Monte Molinasco (1176m) con le sue tre croci e la cappella alpina. Il panorama sulla vallata e le Orobie brembane è assai interessante. Senza tornare alla baita degli Alpini, dalla croce procediamo in direzione Ovest sul sentiero che, dopo aver lambito un paio di capanni di caccia, scende alla bocchetta del Ronco (1095m).

Al passo occorre prestare un po’ di attenzione per non sbagliare sentiero. Seguiamo scrupolosamente le indicazioni segnaletiche (un po’ artigianali ma attendibili) per «Pizzo Grande, Sornadello e baite del Sornadello». Ci addentriamo nei boschi della Val Grande che presentano una grande varietà: dapprima attraversiamo una fitta abetaia che lascia il posto ad una splendida faggeta ed infine ad un bosco ceduo. Il sentiero sale inizialmente in leggera pendenza per poi impennarsi fino alla prima baita del Sornadello (1370 m), preceduta da una piccola pozza d’acqua.

La baita degli Alpini al Molinasco
La baita degli Alpini al Molinasco
La triplice croce del Molinasco
La triplice croce del Molinasco
San Giovanni Bianco dal Molinasco
San Giovanni Bianco dal Molinasco

È qui che incontriamo Mario, detto «Murì», intento a controllare alcune piante vicino alla baita. Incuriosito, mi avvicino e scopro che Mario è uno specialista di innesti, arte che ha appreso dal padre, e sta verificandone l’attecchimento. Rivela una cordialità genuina e una passione smisurata per tutto ciò che è natura. Ci offre un caffè che accettiamo volentieri e iniziano i racconti: «Questo baitello l’ha costruito mio papà che faceva il pastore, trasportando da Alino con gli asini tutto il materiale». All’interno del casello alcune foto catturano la mia attenzione. Una di queste immortala suo padre in compagnia di due parenti, tutti in mutande, mentre si accingono a fare il bagno in una grande pozza d’acqua. Per un amante delle “puciatine” d’alta quota come me è difficile resistere alla tentazione e chiedo dove si trovi. Mario sorride e replica: «Alla baita qui sopra. Una volta era molto grande e la chiamavano “ol laghèt del Sornadèl”, ora è poco più di una pozza d’abbeverata. Figurati che da piccoli prendevamo lo spresùr (il tavolato su cui si mettono a scolare i formaggi freschi, ndr), sigillavamo i buchi e diventava una barchetta con cui andavamo in lungo e in largo per il laghetto. L’acqua era alta, pensa che mia mamma andava a lavare i panni su un sasso che adesso emerge di qualche metro dal livello dell’acqua». I racconti di Mario si fanno sempre più interessanti ma il nostro obiettivo rimane il Sornadello. Ed ecco giungere un invito tanto inatteso quanto gradito: «Se tornate qui per mezzogiorno facciamo una pasta insieme». Unanime sale il consenso e salutiamo Mario garantendogli la massima puntualità.

Verso le baite del Sornadello
Verso le baite del Sornadello
La baita del Murì
La baita del Murì
Foto di gruppo alla baita del Mario Murì
Foto di gruppo alla baita del Mario Murì

Poco oltre la baita transitiamo per il portech, la tettoia per il ricovero delle mucche, dove saliamo alla seconda baita del Sornadello (1407m), in posizione splendida ai margini di una bella conca pascoliva con al centro la pozza d’acqua , ciò che rimane del laghetto del Sornadello. Cattura la nostra attenzione un curioso esempio di “cesso” d’alpeggio: immerso nel pascolo spicca un piccolo capanno di legno con tanto di water di ceramica e porta con chiavistello per garantire la riservatezza!

Dalla baita la traccia sale nel bosco rado di faggi (bolli rossi sulle piante) per sbucare a quota 1500m sul sentiero (CAI 595B) che collega il Pizzo Grande al Sornadello. Qui la primavera è ancora in ritardo ed inizia solo ora a colorarsi di verde. Le indicazioni segnaletiche sono chiare, svoltiamo a destra per il Pizzo Grande. È curioso sapere che per la gente di San Giovanni quello che sulle carte è indicato come Pizzo Grande per loro è il Sornadello. Invece, per i brembillesi il Sornadello è un’altra cima, di poco più alta e posta più a Sud lungo il crinale. Il motivo di tale differenza è probabilmente legato al fatto che da San Giovanni risalta molto di più il Pizzo Grande mentre da Brembilla ben si distingue il Sornadello.

In breve siamo alla panoramicissima croce del Pizzo Grande (alias croce del Sornadello), posta poco sotto la cima con vista aerea sulla valle del Brembo. Risaliamo qualche metro fino alla sommità (1574m) e si spalanca l’orizzonte verso la val Taleggio e le Orobie lariane. Torniamo sui nostri passi fino al bivio precedente e proseguiamo dritti verso il monte Sornadello. Si transita dal celeberrimo passo Mercante del Ferro (1550m) (per i riferimenti storici vi suggeriamo questo articolo) fino al bivio per la cima. Una breve ed erta deviazione conduce in vetta. Non c’è la croce ma solo un paletto metallico a segnalare i 1580m del Sornadello. Il panorama sulla Val Brembilla e la pianura è superlativo.

Ci riportiamo sul sentiero 595B per proseguire verso Sud. Il tracciato si abbassa di quota regalando mirabili scorci su alcuni pinnacoli rocciosi e raggiunge la sella del Pozzo Bianco (1418m), crocevia di numerosi sentieri. Il tempo stringe ma una capatina al vicino rifugio del Monte Foldone è d’obbligo: un luogo incantevole, oggi meta di numerosi escursionisti. Torniamo alla sella e ci tuffiamo sul sentiero che digrada sul versante brembano (indicazioni per il Monte Molinasco). Qualche minuto ed eccoci al bivio con il sentiero che ci riporta alla baita di Mario. L’itinerario normale mantiene la destra (lo seguiremo al ritorno) mentre noi risaliamo a sinistra per guadagnarci l’agognato piatto di pasta. Arriviamo da Mario qualche minuto prima di mezzogiorno mentre l’acqua bolle nella pentola sulla stufa. Che dire…sarà stato il contesto alpestre, la fame o l’atmosfera accogliente ma a me è parsa la pasta più gustosa degli ultimi anni.

Quel che rimane del laghetto del Sornadello
Quel che rimane del laghetto del Sornadello
Verso il Pizzo Grande
Verso il Pizzo Grande
I Monti Cancervo e Venturosa dal Pizzo Grande
I Monti Cancervo e Venturosa dal Pizzo Grande

I racconti di Mario proseguono: «La nostra casa era ad Alino ma ci stavamo solo due mesi d’inverno. Poi con le bestie salivamo al Rùc (Ronco, ndr) e infine, d’estate, ci trasferivamo quassù in alpeggio. Erano tutti pascoli ed accoglievano fino a duecento mucche. Ogni quindici giorni mio padre scendeva al mercato di San Giovanni con i formaggi. La mattina presto caricava gli asini e tornava la sera con la farina e tutto quanto occorreva in baita. Le cose nuove stavano alla casa bella di Alino, quelle usate le portavamo alla baita del Rùc mentre qui al Sornadello c’erano solo le cose più brutte e usurate». Improvvisamente Mario scompare e riappare dalla cantina con un salame nostrano strepitoso….eh sì, abbiamo onorato pure quello!

Prima di congedarci da Mario cerco di carpire i segreti degli innesti, un mondo a me sconosciuto ma interessantissimo. Ci mostra anche la pozza d’acqua vicino alla baita che ha ripristinato lo scorso anno dopo che si era prosciugata: con un certosino lavoro di calpestio del terreno ha reso nuovamente impermeabile il terreno ridando vita alla pozza. Ringraziamo calorosamente Mario con la promessa di tornare a trovarlo in autunno quando la natura si dipinge di altri colori.

Il passo Mercante del Ferro
Il passo Mercante del Ferro
L’immancabile foto di vetta
L’immancabile foto di vetta
Cin cin!
Cin cin!

Ci riportiamo al bivio precedente e scendiamo per il bel sentiero che, attraversato il torrente della Val Grande, lambisce i pascoli della casera Aral (che una capatina la merita) per approdare nell’altopiano del Ronco, una autentica meraviglia paesaggistica: piccoli nuclei di cascine immerse nel verde di dolcissimi pascoli ancora tenuti con cura e passione. Imperdibile! Ogni casa ha un nome. È così che passiamo accanto a contrada Piazzanelli, a casa Mascheroni, alle stalle Manzoni, alle case Morini e tante altre a me sconosciute.

La strada consortile ci riconduce nei pressi della bocchetta del Ronco e da lì, a ritroso sul percorso fatto all’andata, a Cà Boffelli e Alino. Su suggerimento di Mario, andiamo a scomodare la signora Anna che da 57 anni si prende cura della chiesetta di Alino. Anna, gentilissima, senza esitare un minuto ci accompagna nella visita. La chiesa, rifabbricata nel 1804, mostra un bell’arco d’ingresso a sesto acuto e un interno che riflette la cura e l’amore di Anna per la sua chiesetta. Ci guida in sagrestia dove è ben conservato un affresco raffigurante l’«Albero del Bene e del Male con Adamo ed Eva» (1478), ma il dipinto più interessante si trova nella costruzione adiacente la chiesa, dove un tempo c’era la scuola: un pregevole affresco del 1472 di Giovanni Baschenis che ritrae i Santi Fermo, Biagio, Maddalena, Caterina e Defendente.

La casera Aral
La casera Aral
Altopiano del Ronco
Altopiano del Ronco
Scorci dell’altopiano del Ronco
Scorci dell’altopiano del Ronco

Anna racconta: «La scuola elementare di Alino ha funzionato fino al 1974. Quando ero piccola i bambini erano tanti e venivano da tutte le contrade della zona. Eravamo divisi in due gruppi: quelli di prima e seconda frequentavano al mattino, mentre quelli più grandi andavano al pomeriggio. La maestra era una sola e faceva il doppio turno. Un anno non sono potuta andare a scuola perché dovevo aiutare mio papà con le bestie su al Foldone». Altri tempi, altre generazioni, eppure in tutte le persone incontrate si apprezza un elemento comune: l’attaccamento alla propria terra. Ringraziamo Anna e riprendiamo la via per la città.

Altra prospettiva dell’altopiano del Ronco
Altra prospettiva dell’altopiano del Ronco
La chiesetta di Alino
La chiesetta di Alino
L’affresco del 1472 (Giovanni Baschenis)
L’affresco del 1472 (Giovanni Baschenis)

P.S. l’escursione qui descritta, senza calcolare la deviazione al Foldone e il ritorno alla baita del Murì, è lunga 16km con 1100m di dislivello. Non presenta difficoltà tecniche e i sentieri sono tutti ben tracciati. Per chi è meno allenato consiglio la semplice ascesa al Monte Molinasco con una capatina all’altopiano del Ronco, giro decisamente più breve ma ugualmente appagante (7km con 500m di dislivello).

Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli

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