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A lezione da Teo the Teach per imparare «le pronunce che ci fanno schifo»

Articolo. Matteo Scarpellini, in arte Teo the Teach, è un content creator di Urgnano con la passione per l’insegnamento. Teatrale nei modi di fare e con uno strano amore per i Quokka, da qualche anno spiega le pronunce inglesi sui social in modo decisamente originale

Lettura 5 min.

«Credevo che il mio inglese fosse eccellente, ma sbagliavo. Non capivo una parola di quello che si diceva e gli insegnanti di recitazione davano per scontato che si capisse quello che insegnavano. Parlavano davvero velocemente, ero spacciato». Così raccontava l’attore francese Lambert Wilson. Inutile negarlo: l’inglese rimane per molti uno strumento indispensabile, ma di difficile comprensione. Anche una volta padroneggiato, alcune pronunce continuano a non piacerci per nulla. Anzi, a dirla tutta ci fanno proprio «schifo».

Non uso questo termine a caso, perché è proprio grazie a un video di una serie intitolata «Vi insegno le pronunce inglesi che vi fanno schifo» che ho conosciuto Matteo «Teo» Scarpellini, in arte Teo the Teach . Un ragazzo di Urgnano che, da qualche anno, ha cominciato la sua scherzosa battaglia personale contro l’inglese mal pronunciato creando contenuti social in cui spiega le pronunce utilizzando artifici fonetici tanto bizzarri quanto efficaci.

La storia di Teo e il suo approccio alla lingua inglese

«Non conoscevo l’inglese fino ai 21 anni». Questa la prima frase della nostra conversazione. Ammetto di essere rimasto stupito nel sentir dire a una persona che ho conosciuto proprio da alcuni video sull’apprendimento dell’inglese, che fino a quindici anni prima non ne parlava nemmeno una parola.

«So che sembra strano, ma è la verità. La mia passione principale, che è quella che porto avanti tutt’ora, è sempre stata la psicologia legata all’apprendimento. Mi sono trasferito in gioventù a Londra come tanti ragazzi, sperando di riuscire a imparare la lingua “sul campo” e cercando di farmi una carriera come musicista ma, mio malgrado, mi sono reso conto che il solo fatto di essere oltremanica non bastava per apprendere l’inglese. Non mi fraintendere, non sto dicendo che sia inutile l’esperienza all’estero, la trovo anzi molto formativa, però spesso le circostanze mi portavano ad interagire quasi esclusivamente con dei miei connazionali o altri stranieri nella mia stessa situazione, vanificando così parte dei miei sforzi. Credo che chiunque possa riconoscersi nella mia esperienza o in quella di qualche amico trovatosi, suo malgrado, a non riuscire a superare il famoso “muro linguistico”».

«La necessità di non rendere inutile la mia presenza a Londra – continua – è stata quindi la scintilla che mi ha fatto “reagire”. Sfruttando la mia passione per lo studio, ho cominciato a sperimentare su me stesso alcuni metodi d’apprendimento e, in un anno, non solo sono riuscito a imparare l’inglese ma, applicandomi, sono riuscito anche a sistemare l’accento».

Da studente a insegnante con la «pop culture» come alleata

Mentre la conversazione con Teo continua, tra decine di aneddoti interessanti, scopro che il suo approccio da studente autodidatta non si è limitato solo all’apprendimento della lingua inglese, ma alla sua intera carriera scolastica: ha dato infatti diversi esami da privatista. Fino a passare dal ruolo di studente a quello di insegnante.

«Sono dovuto tornare in Italia per farmi curare un brutto problema alla schiena che mi ha dato noie per parecchio tempo. Qui ho cominciato a dare lezioni private d’inglese, ma più il tempo passava più mi rendevo conto che i ragazzi non imparavano come avevo imparato io, così ho nuovamente riaperto i libri, studiando ulteriori metodi di apprendimento e cominciando a creare dei sistemi miei. Piano piano, è nata la Mbassy Accademy, ovvero la scuola d’inglese che dirigo e in cui attualmente insegno in compagnia della mia socia Marianne Seminati e di altre due insegnanti, Alessandra Moratti e Rebecca Maffioli».

Più parlo con Teo e più mi rendo conto di quanto la figura del content creator sia solo uno degli aspetti di una personalità sfaccettata, in grado di utilizzare le proprie passioni per crearsi una professione. Dopo qualche altro minuto di chiacchiere, entro quindi nell’argomento “video”, cercando di capire come la figura dell’insegnante Scarpellini sia arrivata sui social.

«I miei video nascono appunto per la scuola, perché ho sempre creduto molto nell’insegnamento legato alla cultura pop per via dell’interesse che genera nelle persone e, quando c’è interesse, automaticamente c’è apprendimento. Ad esempio, più volte ho organizzato corsi d’inglese basati sul gioco di ruolo Dungeons & Dragons. Lo scopo era quello di creare artificialmente nei miei alunni più giovani la necessità di imparare l’inglese, in modo da far sopravvivere il proprio personaggio, e i risultati sono stati sorprendenti. I video avevano sostanzialmente lo stesso scopo. Utilizzavo la mia propensione per la chiacchiera e lo scherzo per preparare piccoli video a nome della scuola su micro argomenti richiesti dagli studenti e, con il tempo, la cosa è cresciuta esponenzialmente».

La vita da content creator

Ma Teo the Teach in tutto questo, come è nato? «Teo the Teach sono semplicemente io, come mi vedi ora. L’algoritmo di uno dei social che utilizzavo ha deciso da un giorno all’altro che i contenuti creati da qualsiasi ente, pubblico o privato, avrebbero avuto meno spazio sulla piattaforma. Così, per continuare a rendere visibili i miei video, ho cominciato a pubblicarli a mio nome. Con il tempo ho trovato il format sulle pronunce che fanno “schifo” e da lì è andato tutto in crescendo».

Capisco di poter indagare su uno degli argomenti più discussi degli ultimi tempi: com’è la vita da content creator o, usando il termine improprio ma ben più noto, da «influencer»? «Un inferno – ride – Ovviamente scherzo, però bisogna dire che a dispetto di quanto si pensi normalmente, la produzione di contenuti per i social richiede tantissimo tempo. Io creo dai quattro ai sei reel a settimana, della durata di quaranta secondi circa l’uno e tra scrittura, riprese e montaggio, per ognuno di questi mi servono circa quattro ore di lavoro. Mettendoci anche le ore come insegnante e direttore della scuola, spesso le mie giornate lavorative superano le quattordici ore. Di solito giro i video alle cinque del mattino, in modo da tenere il resto della giornata a disposizione degli studenti».

Senza voler arrivare al classico «chi te lo fa fare» provo a capire cosa spinga Teo a dedicarsi alla sua passione con tutta questa costanza. «Ho avuto e continuo ad avere moltissime soddisfazioni dal mio lavoro, sia per quanto riguarda la scuola, sia per tutto ciò che concerne i video. In accademia posso dar sfogo alla mia fantasia nell’inventare nuovi sistemi di apprendimento da sperimentare sui miei alunni, mentre dal lato social ho una community fantastica a cui cerco sempre di rispondere e con cui mi diverto tantissimo».

Guardando i lavori di Teo, è facile notare la quantità di risposte che riesce a dare ai vari commenti di fan e curiosi. Devo dire però di essere rimasto piuttosto perplesso da una battuta ricorrente, un «inside joke» legato alla figura del Quokka (un piccolo marsupiale noto per il viso tondo e la sua espressione simile ad un sorriso) che ho ritrovato varie volte in commenti e addirittura negli stessi video. Ho chiesto quindi spiegazioni, scatenando in Matteo una gran risata: «Per quanto ti sembrerà incredibile, quel Quokka sono io. Un giorno, un’utente che seguiva il mio canale in un momento in cui stavo perdendo peso per via di una dieta, mi ha consigliato di non esagerare o avrei rischiato di perdere la mia “bella faccia da Quokka”. Non sapendo cosa fosse un Quokka, ho fatto qualche ricerca e, dopo aver visto l’immagine del marsupiale sorridente ed essere scoppiato a ridere, ho deciso di farlo diventare la mia mascotte».

Uno sguardo al futuro

Prima di salutare Teo, gli pongo la classica domanda sul futuro: cosa vuoi fare da grande? «Ho molti progetti in testa, alcuni legati alla scuola, mentre altri alla gestione di un canale YouTube. Ammetto però che mi piacerebbe creare cose legate alla nostra provincia. Bergamo è una città che adoro. Non ha nulla da invidiare alle altre città italiane e mi darebbe una gioia immensa riuscire a creare un connubio tra la lingua inglese e il territorio, perché proprio l’inglese potrebbe dare la spinta giusta per aprire la nostra città al turismo».

A voler chiudere questo pezzo con un pensiero personale, credo che la lingua inglese in Italia sia spesso vista come la lingua della modernità, legata ad Internet e ai prodotti per le masse. Quello che si sottovaluta però è la sua universalità, capace non solo di farci arrivare informazioni provenienti da paesi lontani, ma anche di farci conoscere e apprezzare da popoli e culture diverse. Se poi nell’apprendimento hai di fronte una figura come Teo the Teach diventa tutto più facile… anche se alcune pronunce continueranno a fare «schifo».

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