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Dal Senegal all’Italia. Mamadou e l’arte di esprimere la propria (dis)abilità

Articolo. Disabilità e immigrazione sono due aspetti che talvolta si intrecciano e possono creare un groviglio di «discriminazione intersezionale». Sono tante le sfide da affrontare, per cui diventa fondamentale riuscire a trovare una propria dimensione di integrazione. Per Diao Mamadou l’Arte è questo, oltre a un modo per sentirsi “altro” e per esprimersi

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Diao Mamadou

Cappello di paillettes giallo, giacca dello stesso colore, orologio oro sopra la manica. Così si presenta Diao Mamadou, artista senegalese arrivato in Italia 19 anni fa. Dopo Milano e Brescia, dal 2005 vive ad Albino, prima nella Residenza Sanitaria per persone con disabilità della Croce Rossa e poi, dal 2016, in un proprio appartamento, con due badanti.

Mi saluta con la mano chiusa a pugno, nocche contro nocche. Sono passati pochi giorni dal nostro primo incontro a « Culture: Capitale della Valle Seriana », l’annuale convegno del «Progetto Agenda Interculturale» nato per dare voce – su un palco, con un microfono e dei riflettori – a coloro che in Val Seriana si erano distinti per il proprio bagaglio culturale e artistico, frutto dell’esperienza migratoria e della diversa appartenenza linguistico-culturale. Accenti diversi si sono alternati sul palco per raccontare il loro contributo al territorio bergamasco, diventato negli anni “casa”. Un’occasione quindi, dopo l’anno di Bergamo Brescia Capitale della Cultura, per riflettere sui processi di inclusione e integrazione interculturale, attraverso le testimonianze di musicisti, videomaker, cantanti e scrittori provenienti da Marocco, Turchia, Zambia, Messico

Tra le undici voci del convegno si è alzata anche quella di Diao Mamadou, vestito in total white: «Chi ha una disabilità, di solito, sta nel suo “angolo”. In Senegal, vedevo molti disabili che uscivano solo per mendicare, così, prima nel mio Paese e poi anche altrove, ho cercato di aiutarli ad esprimersi attraverso il teatro, la danza e la pittura » ha affermato. «Arrivato in Italia, ho continuato a dipingere e ad organizzare momenti di incontro per chi è isolato a causa della propria condizione» spiegava, mentre Gianpiero, fedele aiutante e accompagnatore, mostrava alcune delle sue opere al pubblico.

«Ho voluto pitturare i miei sogni, i ricordi e le fantasie» continua Mamadou al nostro secondo incontro, in una saletta ad Albino allestita con alcuni dei suoi dipinti colorati. «Quello si intitola “Uomini bravi in caccia di cibo – spiega indicando con lo sguardo un quadro dai toni rossastri – racconta di quando in Senegal andavamo a cacciare nelle ore più calde della giornata, mentre gli animali più feroci facevano il riposino». Sorride, richiamando alla memoria un periodo in cui probabilmente era ancora in piedi sulle sue gambe. Oggi, dopo diversi interventi e periodi passati in ospedale, Mamadou è su una sedia a rotelle, quasi paralizzato. Dal 2013 percepisce un assegno di invalidità che gli permette di avere una sua casa e di essere accompagnato da due badanti. «Qualcuno a volte mi chiede: “Mamadou, perché non torni in Senegal?” e io ribatto: “avrei le stesse cure che ho in Italia?”» racconta, un po’ amareggiato, lasciando intendere la risposta ovvia alla domanda.

Mentre chiacchieriamo, accanto a Diao c’è anche una ragazza del Ghana, appoggiata pesantemente a delle stampelle: «Mi è stata riconosciuta solo una disabilità al 70% e non di più, ma io non riesco a muovermi. Così non posso avere l’assegno di invalidità, ma neanche andare a lavorare…» afferma con una smorfia di dolore, prima di andare via. Ha una visita medica, l’ennesima, «speriamo sia la volta buona» dice.

Sono tante le sfide che riguardano i migranti con disabilità. Scopro in seguito, leggendo un recente report di Fondazione Ismu – Iniziative e Studi sulla Multietnicità (consultabile a questo link) che, innanzitutto, è difficile avere una raccolta sistematica di dati sul numero di rifugiati e migranti con disabilità e che siano anche divisi per tipo di disabilità. Una delle sfide da affrontare, come riporta il documento, è proprio «l’assenza di procedure formali per identificare i migranti e i beneficiari di protezione internazionale con disabilità nel diritto UE». Spesso, in particolare nelle situazioni di emergenza e nei contesti di transito e accoglienza, tali soggetti vengono considerati come «un gruppo omogeneo, quando in realtà ogni individuo ha una storia a sé, incontra barriere diverse nell’esercizio dei propri diritti e ha diversi bisogni e necessità che devono essere accolti».

Un’ulteriore condizione di fragilità è data dalla particolare fase del ciclo di vita del migrante con disabilità, qualora si tratti di bambini o adolescenti di prima e seconda generazione. «La maggioranza degli alunni CNI (Cittadinanza Non Italiana) con disabilità frequenta la scuola primaria (43,9%), circa un quarto frequenta la secondaria di primo grado e appena il 16,5% frequenta la secondaria di secondo grado. Una quota residuale (13,9%) frequenta la scuola dell’infanzia». Per loro, le difficoltà di apprendimento dovute alla disabilità si sommano a quelle legate ad una scarsa conoscenza della lingua del Paese ospitante, ampiamente documentate dalle prove standardizzate.

Per Mamadou, arrivato in Italia a 45 anni, è stato tutto più lineare e “semplice”, anche grazie al suo background personale. Dapprima, ha potuto studiare all’Università e viaggiare molto, in Francia e negli Stati Uniti «per far conoscere il teatro e la danza tramite le persone con disabilità», per poi arrivare in Italia con un visto turistico e avere un regolare permesso di soggiorno. «Non è così per tutti» sottolinea, riferendosi al protagonista di uno dei suoi quadri, intitolato «La traversata del Mediterraneo». Secondo l’art. 41 del Testo Unico sull’immigrazione, infatti, solo gli stranieri “in regola” – cioè titolari di un permesso di soggiorno della durata di almeno un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno – possono accedere e fruire dei servizi socio-assistenziali. Di conseguenza, spesso i migranti privi di documenti non si rivolgono ai servizi sanitari, per timore di essere rintracciati ed espulsi.

Le persone straniere con disabilità rischiano quindi di subire più fattori di debolezza che, talvolta, come continuo a leggere nel report di Fondazione Ismu, «insieme diventano indistinguibili e inseparabili, determinando così una discriminazione intersezionale».

Nonostante le premesse differenti, un po’ più “avvantaggiate” rispetto ad altri, anche per Diao è stato necessario trovare la propria dimensione di integrazione. «L’inserimento in una società deve iniziare dando la parola alla gente. Così le persone non sono più recluse – conferma – L’espressione artistica e teatrale permette di avere una “mutazione psicologica”: non ci si identifica più come “il disabile”, ma come una persona in grado di fare, agire, di esibirsi su un palco!». Aveva iniziato a dipingere per tenere allenato il braccio che si stava lentamente immobilizzando per poi scoprire un nuovo modo per esprimere la sua interiorità e per sentirsi “altro” rispetto all’etichetta di “straniero con disabilità”. L’evoluzione del suo stile pittorico è andata poi di pari passo alla sua condizione fisica: ricchi di particolari i primi dipinti, più astratti e minimalisti gli ultimi, come «Big Bang - Now - Tomorrow (0 - 1 - ∞) “Time Portal» del 2022. In alcuni casi poi si è cimentato nella tecnica del collage, con carte, dadi, papillon attaccati a tele monocromatiche: «La vita è una scommessa», «Money always WIN» alcuni titoli.

Oggi Mamadou è ancora animato dalla forte volontà di coinvolgere nelle sue iniziative artistiche quante più persone possibili, soprattutto i più giovani: «Se una persona non esprime ciò che ha dentro, con la parola o l’arte, lo farà con i gesti, la brutalità». Fiero, mi segnala infine la sua pagina Facebook: Disabili Enjoy Arte & Cultura . L’immagine di copertina è la bandiera tricolore italiana, quella del profilo ritrae un uomo e una donna danzanti, stagliati su uno sfondo rosso: lei con un vestito colorato, lui seduto su una sottile linea nera circolare.

(Tutte le foto sono di Federica Pirola)

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