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Evita Perón sepolta nel cimitero di Dalmine? Il caso è ancora aperto

Articolo. Nel 1971, una salma venne restituita a Juan Domingo Perón, mentre si trovava in esilio a Madrid. Era la salma della moglie, rimasta a lungo sepolta sotto falso nome al cimitero Musocco di Milano. Pare che il corpo ritrovato, però, non fosse davvero quello della first lady argentina. E che il falso nome di «Maria Maggi» inciso sulla lapide non fosse poi così falso. A raccontare una versione della storia, ancora controversa e fitta di domande, sarà Aldo Villagrossi Crotti, sabato 14 ottobre alle 16 a Crespi D’Adda, per il festival «Produzioni Ininterrotte»

Lettura 7 min.
Evita Perón a Sanremo nel 1947

«Lei lo sa che questa è una storia lunga e complicata?». Aldo Villagrossi Crotti – di professione tecnico del settore farmaceutico, per passione scrittore e poeta, amante della ricerca e dell’investigazione storica – mette le mani avanti fin dai primi messaggi che ci scambiamo. E quando ci sentiamo al telefono comincia a raccontarmi una vicenda così contorta da sembrare la trama di un giallo. Al centro, c’è la sepoltura della first lady più amata d’Argentina, Evita Perón.

«La vita di Evita Peron è un falso prima ancora che Evita nasca», comincia a raccontare Villagrossi Crotti. Mi riporta al 1919: «la popolazione argentina è suddivisa rigorosamente in caste. Ci sono i contadini da una parte, gli operai dall’altra, ci sono i possidenti terrieri e i padroni delle fabbriche, e questa distinzione è veramente molto netta. Una donna che ha figli illegittimi è considerata al pari degli indios: è il caso della madre di Evita, una cuoca, che dal proprietario terriero Duarte ha cinque figli. Evita nasce figlia illegittima, con il nome di Maria Eva Ibarguren».

Evita Perón, l’idolo del popolo argentino

Quando ha quindici anni, Maria Eva fugge a Buenos Aires all’insaputa della madre, insieme a un cantante di tango che morirà qualche anno dopo di cirrosi epatica. Vive sulla propria pelle la povertà più nera, tanto è vero che quando conosce e sposa Juan Domingo Perón tenta in tutti i modi di sollevare la popolazione più povera dall’indigenza, anche se questo significa ricorrere a ricattatori, che estorcono soldi alle aziende più ricche, oppure offrire ai nazisti in fuga in Sud America passaporti in bianco.

Ha buone intenzioni, Evita Perón, che continua ad elargire fondi ai poveri anche quando si ammala, giovanissima. La spegne un cancro all’utero, nel luglio del 1952, quando la sua popolarità è alle stelle. «Si era venuta allora a creare una condizione tale per cui quella di Evita è diventata una figura praticamente religiosa – racconta Villagrossi – Per noi è difficile pensare che una persona di questo tipo possa trasformarsi in un feticcio. Il popolo argentino invece riesce a farlo con l’imbalsamazione. Se il corpo rimane inviolato e perfetto, si sente odore di santità».

L’operazione di imbalsamazione è affidata a Pedro Ara, un tassidermista e anatomopatologo di origine spagnola, che vanta anche di aver lavorato sulla mummia di Lenin. In un libro oggi rarissimo, Pedro Ara dichiara di aver realizzato dalle venti alle venticinque copie identiche del corpo di Evita. Il motivo è presto detto: basta considerare gli anni in cui si svolge la vicenda. Il cadavere di Evita è un talismano iconico così potente, così ambito («avere questo feticcio significava avere in mano il Paese intero») da far vacillare il regime golpista che nel frattempo si è insediato destituendo Juan Domingo Perón. Occorre nascondere la salma per evitare che qualsiasi luogo si trasformi in un luogo di protesta.

Dall’Argentina al cimitero di Milano

Siamo nel 1956. Della salma originale della first lady argentina, che nel frattempo ha conosciuto diversi nascondigli e diverse avventure rocambolesche, si prende carico un cappellano dell’accademia militare, padre Francisco “Paco” Rotgers, membro della Compagnia di San Paolo. Il corpo arriva in Italia, a Genova. Viene tenuto per un mese sul retro dell’altare della Chiesa dei Cappuccini di Milano, per poi essere sepolto nel cimitero di Milano, il Musocco, sotto falso nome di «Maria Maggi, vedova De Magistris», nata il 7 maggio del 1900 a Dalmine. Nonostante Maggi fosse un cognome presente in Brianza e in parte anche nella bergamasca, nome e dati sembrano inventati di sana pianta: il comune di Dalmine viene fondato nel 1928. Prima di quella data, non esisteva.

Per anni, la tomba di Evita Perón resta nascosta, fino al 1971, con l’arrivo in Italia dei servizi segreti argentini capitanati dal colonnello Hector Cabanillas. I tentativi di ritrovamento della salma meriterebbero un racconto a sé. Basti dire che si concludono con la riesumazione del corpo a Milano e il suo trasporto a Madrid, dove si trovava allora Perón. «Come si sospettava, il nome di Maria Maggi vedova de Magistris è fittizio ed è stato posto sulla tomba al campo 86 del cimitero di Musocco, per celare la vera identità della sepolta: Evita Perón». Così scrivono i giornali.

Perón rientra a Buenos Aires nel 1973, dove viene rieletto dopo quasi vent’anni di esilio. Soffre già di numerosi problemi di salute, che lo porteranno alla morte nel 1974. La salma della moglie torna in patria poco dopo, accolta da una moltitudine di sostenitori. Ancora oggi, si trova nel cimitero della Rocoleta , il più famoso cimitero storico argentino.

Anche a Dalmine, è sepolta una Maria Maggi

La storia sembra finita qua, se non fosse per quel nome, Maria Maggi, che continua a destare domande. «Cosa c’entro io in tutta questa storia? Cosa c’entra la mia famiglia?» anticipa le mie domande Aldo Villagrossi Crotti, che alla vicenda ha già dedicato un romanzo, «Le false verità» (2012). «Nel 1973 mio padre lavorava nelle acciaierie di Dalmine. Conosce un ingegnere argentino, Jorge Garcia, un ragazzo di trent’anni circa. Jorge fa amicizia immediatamente con mio padre e gli chiede di essere portato al cimitero di Sforzatica, un quartiere di Dalmine. Mio padre non immaginava nemmeno che esistesse un cimitero abbandonato a Sforzatica perché non conosceva il paese, allora non vivevamo ancora in zona».

Dopo aver chiesto indicazioni, i due giungono a un cimitero napoleonico abbandonato. Passano quasi tutta la giornata a pulire rovi, fino a ritrovare una tomba di una certa Maria Maggi. Poco distante, sorgono due colombari con i nomi dei genitori della donna e la tomba del vescovo Maggi, un fratello. Stiamo parlando del 1973: la salma “ufficiale” di Evita Perón è a Madrid già dal 1971. Per un anno, la famiglia Villagrossi e Jorge si frequentano, vanno in vacanza insieme e portano fiori e candele sulla tomba di Maria Maggi. Aldo ha circa sei anni quando, nel 1974, Jorge fa improvvisamente ritorno in Argentina. «Non l’abbiamo più rivisto».

Il nome di Maria Maggi non smette di tornare a galla, anche quando Aldo è ormai adulto e di Jorge conserva solo qualche ricordo vago. «Nel 2008 io e mio padre guardiamo un servizio televisivo dedicato ad Evita Perón. Sentiamo il nome di questa Maria Maggi De Magistris seppellita a Milano al Musocco, nata a Dalmine. Cadiamo dalla sedia perché noi quella tomba lì la vedevamo a Dalmine. Torniamo in quel cimitero a distanza di un paio di giorni e osserviamo come la lapide non ci sia più. Però c’è la tomba».

I cimiteri abbandonati, si sa, sono soggetti a vandalismi. Eppure resta il dubbio: se il nome Maria Maggi era un nome inventato di sana pianta, perché c’è un’altra Maria Maggi sepolta a Sforzatica? E perché quel ragazzo di nome Jorge Garcia la andava a trovare al cimitero? «Mi è sorto il dubbio che fosse dei servizi segreti. Non ho mai trovato traccia di lui né in Argentina né negli archivi della Dalmine… Ma cosa stava controllando? La salma di Evita era già stata portata via».

Maria Maggi esiste per davvero

La prima scoperta che Aldo Villagrossi Crotti fa, scartabellando fra diversi giornali, è che quando nel 1971 a Milano venne riesumata la salma di Evita e portata a Madrid, il personale della Questura di Milano fece tappa a Dalmine e chiuse l’ufficio anagrafe per una giornata intera. Si cercarono allora i dati di tale “Maria Maggi”, ma non si trovò nulla.

Nessuno aveva pensato, però, di guardare negli Archivi di Stato. Lo fa Aldo Villagrossi Crotti. Sul sito del Ministero dei Beni Culturali rintraccia il certificato di nascita di una Maria Maggi nata a Dalmine nel 1900. Come abbiamo detto, il comune di Dalmine come lo intendiamo adesso non esisteva ancora. Ma col nome di Dalmine si intendeva «una striscia di terreno di circa quattro chilometri di lunghezza per un chilometro di larghezza, che faceva parte di un comune che viene poi in seguito inglobato a Dalmine, cioè il comune di Sabbio».

Insomma, quella che si è sempre creduta una donna “falsa”, dai connotati inventati, risulta essere una persona reale, fisicamente esistita: una persona nata a Sforzatica di Dalmine, vissuta in Argentina e probabilmente morta all’estero. «Ho trovato, non senza fatica, delle notizie su questa donna, malata oncologica già nel 1949, morta forse di un incidente stradale o di tumore. Ho letto di una figlia assassinata a Buenos Aires, di un marito». Un marito che non si chiama De Magistris, come riportato sulla tomba («quello resta probabilmente un dettaglio inventato»). Il vero marito si chiama Giuseppe Crotti ed è originario delle Ghiaie di Bonate. Porta lo stesso nome e cognome del nonno materno di Aldo. Aldo però, non ne ha mai trovato traccia. «Come sono spariti i documenti di Maria Maggi, sono spariti anche tutti i documenti argentini di Giuseppe Crotti. Rimangono solo quelli conservati all’Archivio di Stato».

La salma tumulata a Milano forse non è quella della vera Evita Perón

«Eccoci al nodo della questione – confessa Villagrossi – Siamo di fronte all’utilizzo di una persona fisica realmente esistita, nata a Dalmine nel 1900, per nascondere una salma. Ma se la salma ufficiale di Evita Perón nel 1971 si trovava a Madrid, perché questo strano atteggiamento di Jorge, il ragazzo argentino? Perché abbiamo avuto gente (presumibilmente) dei servizi argentini in casa fino al 1974, quando la salma si trovava a Madrid? Che cos’è che cercava? Aveva paura che noi, che abitavamo a duecento metri da dove era nata la vera Maria Maggi e forse eravamo parenti, potessimo andare a rivendicare la salma della vera Maria Maggi per poi accorgerci che non era per davvero lei? Insomma, non abbiamo ben capito che figura fosse, e nemmeno cosa cercasse veramente. Ho chiesto di lui in Argentina, ho cercato tra i documenti della Dalmine. Non ho mai trovato nulla».

Una prima risposta alle tante domande c’è. Che il corpo sepolto a Milano e riportato a Buenos Aires non sia davvero quello della first lady. Non lo dice solo Aldo Villagrossi Crotti. Ad insinuare il dubbio, i dati provenienti dall’autopsia stessa della salma, rientrata in Argentina dopo la morte del marito. «Quello scheletro che c’è sotto quella mummia, come dice l’autopsia, è uno scheletro che ha due fratture: una alla base del cranio e una allo sterno, che non coincidono con la morte per un tumore all’utero». Tutto questo è più compatibile con un incidente stradale, e non con un cancro. Ma guai a dire agli argentini, che ancora oggi accorrono adoranti a Buenos Aires, che quella che stanno venerando non è la salma ufficiale di Evita Perón…

Fare sintesi è difficile: resta ancora molto da scrivere su questa storia. C’è il nome di una suora laica, Giuseppina Airoldi, ci sono degli incolmabili buchi documentali. C’è un problema complicato già alla base, come Aldo Villagrossi Crotti racconterà a Crespi d’Adda sabato 14 ottobre: «Del corpo di Evita Perón vennero realizzate diverse copie. Potrebbe essere che a Dalmine sia arrivata una delle copie. Ci sono state segnalazioni a Charleroi, ci sono segnalazioni vicino a Barcellona, a Tarragona. Io ho avuto la sensazione che in un certo modo quello di Sforzatica fosse un posto di transito. Non dico che a Sforzatica ci sia la salma di Evita, ancora non ho i dati per poterlo affermare. Ma ci sono ancora troppi interrogativi. Fino a quando non ci sarà l’esumazione nessuno saprà che cosa c’è sotto. Se ritroveremo una copia. Oppure Evita Perón».

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