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Luigi Cantamessa, perché la cultura ferroviaria è una cultura umanistica a tutti gli effetti

Articolo. «Molte storie d’amore sono nate sui treni. Anche la mia è una storia d’amore, però con il treno». Con un sorriso che riesce a trapelare anche dalla cornetta di un telefono, il Direttore Generale Luigi Cantamessa ripercorre la storia dei primi dieci anni della Fondazione Ferrovie dello Stato. Una «bella storia italiana», che i più curiosi potranno approfondire e festeggiare nel weekend del 28 e del 29 ottobre, con un grande evento (completamente gratuito) presso il Deposito Officina Rotabili Storici di Milano Centrale

Lettura 7 min.

Una stazione, quella di Montello-Gorlago, che ancora oggi accoglie chi, come me, ogni mattina aspetta assonnato un treno. Per Luigi Cantamessa è cominciato tutto lì. «Credo di aver avuto cinque anni, perché le scuole non erano iniziate. Mia madre e mio padre erano insegnanti, avevano del tempo libero a disposizione durante l’estate. Lei chiuda gli occhi, si metta a Montello al binario 2. Per la prima volta ho sentito il terremoto. Era l’incedere di un treno, che faceva a un bambino molto piccolo tremare le scarpe sotto i piedi. Poi ho scoperto che cos’era. Era una locomotiva, la stessa che oggi gira fra i treni storici della Fondazione FS».

Al caso, Cantamessa non ha mai creduto. Per quel bambino, originario di Trescore Balneario, è cominciato un viaggio sui binari che l’ha portato ben più lontano di quanto potesse immaginare. Dal Brennero a Pachino, dalla Svizzera al Portogallo. Dopo gli studi in Ingegneria civile, un master in Economia e Management dei Trasporti, della Logistica e delle Infrastrutture, dopo gli anni trascorsi ad occuparsi di treni regionali e flussi pendolari, nel 2013 Cantamessa viene nominato primo direttore della neonata Fondazione FS e suo Direttore Generale nel 2016.

Oggi, Fondazione FS è la fondazione ferroviaria più grande d’Europa. L’unica fondazione che gestisce allo stesso tempo treni storici, musei ferroviari, un enorme patrimonio archivistico di documenti e cinegiornali. E poi, come racconta con entusiasmo Cantamessa, tutto un patrimonio immateriale che è il saper fare, «il know-how del ferroviere tradizionale che oggi nei treni moderni non c’è più. Non si sa più agganciare una vettura, toglierla, andare con la locomotiva a vapore».

«Una bella storia italiana»: con queste parole Fondazione FS riassume i suoi primi dieci anni di attività. Bella perché riuscita, italiana perché coinvolge tutti – luoghi e persone, dall’Alto-Adige alla Sicilia, dai viaggiatori ai ferrovieri in pensione, dai collezionisti alle associazioni. Le attività previste per il decennale sono iniziate l’8 marzo nel Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa a Portici, un museo restaurato e gestito proprio da Fondazione FS, visitato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ben due volte durante il suo mandato e frequentato in media da 300mila persone all’anno, provenienti da tutto il mondo.

I festeggiamenti si concluderanno con un intero weekend di Open Days nel capoluogo lombardo: il Deposito Officina Rotabili Storici di Milano Centrale in viale Monza 113 aprirà le porte a tutti i curiosi che vorranno trascorrere del tempo (gratuitamente, basta solo prenotarsi qua!) nel luogo dove le maestranze di Fondazione FS effettuano, oggi come in passato, la manutenzione alle vetture e alle centenarie locomotive delle Ferrovie dello Stato. Non dei pezzi da museo, ma dei veri e propri vettori dello sviluppo.

MM: Ingegnere Cantamessa, cosa significa per Fondazione FS occuparsi di cultura ferroviaria a 360 gradi?

LC: La cultura ferroviaria è qualcosa di estremamente umano e lontano dal ferro e dai treni. È una disciplina umanistica perché, al di là del rigidismo dell’ingegneria ferroviaria, mette il treno tra gli elementi centrali dello sviluppo della società italiana. Cultura ferroviaria significa capire come la ferrovia si è evoluta parallelamente alla società. Vuol dire andare davanti a una stazione del 1905 e riuscire a renderla adattabile ai flussi del trasporto pubblico locale dei pendolari, mantenendola come è, cosa che non è successa nelle nostre ferrovie. Equivale per noi a bellezza, bellezza nelle linee stilistiche dei treni, delle stazioni, degli interni… Prendendo oggi un treno che va da Montello a Milano Centrale, questa bellezza oggi la vediamo solo nelle grandi arcate della monumentale Stazione Centrale di Milano.

MM: Preservare queste linee stilistiche, queste arcate, vuol dire raccontare una ferrovia o una stazione come se fosse un monumento artistico?

LC: Sì, ma un monumento artistico che però non è da osservare. La Stazione Centrale di Milano, come quella di Bergamo, serve al flusso del pendolare o del viaggiatore. Cultura ferroviaria significa averne cura secondo degli standard di manutenzione, di restauro, che sono legati alla bellezza. L’arcata di Milano Centrale protegge la stazione dalla pioggia e dai raggi del sole. È un’opera d’arte funzionale. Ora vediamo quella grande arcata, una filodiffusione moderna, un’illuminazione micro invasiva, domani magari avremo anche una micro-climatizzazione... La tecnologia può far tornare il bello delle stazioni ferroviarie che si è perso. Questa è cultura ferroviaria: studiare gli standard, le costruzioni dei tipi, dei manufatti, che sono tutti nei nostri libri di storia, di architettura ferroviaria, e applicarle al sistema ferroviario del Paese. Ne risulterebbe un’Italia che avrebbe una rete ferroviaria che, anziché creare divisioni, potrebbe riconciliare, perché se il manufatto ferroviario è bello, è parte del paesaggio. Non dimentichiamo la tecnologia: senza la tecnologia, che è la vera chiave di tutto, il mio discorso sarebbe il discorso di un nostalgico. Tutt’altro.

MM: Cultura ferroviaria, per me, è anche racconto. Tante volte, osservando le piccole stazioni a due piani, mi sono chiesta cosa ci fosse al piano di sopra, quel piano che ora è sempre chiuso ai passeggeri. Potrebbe essere bello tornare a raccontarlo.

LC: A Montello, quando ero bambino, c’era tutto. C’era il capo stazione, il dirigente movimento, l’assuntore. Oggi a Montello-Gorlago non esiste più un ferroviere. Il piano di sopra era il piano del capo stazione, dove questi, finito il lavoro, saliva e si dedicava alla famiglia. C’erano due appartamenti, uno per il titolare e l’altro per il vice. C’era un microcosmo. Oggi, invece, alla stazione di Montello non trova più nulla. Perché? Perché non serve più. Oggi il lavoro del capostazione, che gira gli scambi, lo fa un computer a Milano. La cultura ferroviaria, però, racconta gli spazi. Dovrebbe far capire cosa è stato il capostazione, come ha animato la stazione, come l’ha preservata dall’incuria, l’ha abitata. E invece osserviamo come la cultura ferroviaria non sia andata di pari passo con l’aggiornamento tecnologico. Questa è ovviamente una visione costruttiva, perché se il Paese fa questo tipo di svolta, doneremo bellezza a 16mila chilometri di linee ferroviarie, ben oltre quelle storiche.

MM: Sottrarre le ferrovie all’abbandono e al degrado è un lavoro che Fondazione FS in questi anni sta portando avanti con un impegno senza pari. Cosa significa salvare le ferrovie dimenticate e cosa comporta sottrarre questi spazi all’abbandono?

LC: Occorre fare in fretta. Una ferrovia è esattamente come un frutto. Se non viene tenuto bene deperisce e lo butti. Pensiamo agli apparati meccanici, alla vandalizzazione, alle occupazioni abusive. Una ferrovia, o si salva in breve tempo, in qualche anno, o resta persa per sempre. Guardiamo le ferrovie delle nostre valli: oggi per rifarle ci dobbiamo limitare a un sistema di metro tranvia leggero. Mi domando: cosa sarebbe accaduto se avessimo riaperto solamente pochi anni dopo la ferrovia della valle Brembana e della valle Seriana, chiuse alla fine degli anni Sessanta? Oggi purtroppo è molto più difficile, quindi salvare significa fare in fretta, mettere al sicuro. E pensare che oggi è una ferrovia turistica, ma l’abbiamo salvata. Domani può tornare anche utile ad altri utilizzi: merci, viaggiatori, pendolari.

MM: Nel caso della valle Seriana e della Valle Brembana, nello specifico, una ferrovia aiuterebbe anche molte persone a recarsi sul posto di lavoro.

LC: Le ferrovie delle valli nascono proprio con questo scopo. Le faccio un esempio: negli anni Sessanta, la domenica, esisteva un collegamento diretto tra Clusone e Milano Centrale. La littorina scendeva da Clusone, faceva poche fermate, passava da Bergamo, Treviglio, e arrivava a Milano in un’ora e cinquanta minuti. Provi a farlo oggi con la macchina al rientro dalla montagna… Ecco perché è cultura ferroviaria. Non pensiamo alla cultura ferroviaria come a un qualcosa che pertiene ad appassionati o nostalgici. Quello è il modellismo, qui abbiamo invece la cultura del treno e del bello. Oggi delle Ferrovie delle Valli a Clusone non c’è più nulla, perché è trascorso troppo tempo. Quello che la Fondazione FS fa è correre dove i binari ancora ci sono. Chiedere l’intervento dello Stato, ovviamente, e far ripartire il binario prima con un treno turistico. E poi chi lo sa… Guardiamo alla ferrovia che da Asti va ad Alba, capitale del tartufo. La Fondazione FS l’ha riaperta, recuperata all’ultimo perché stava crollando una galleria. L’11 settembre sono tornati i treni regionali. Questo dà segno della bontà della nostra opera.

MM: Quanto è stato importante per la Fondazione FS fare rete con le altre realtà (locali e nazionali) che ha incrociato?

LC: Moltissimo. Grande importanza hanno sempre avuto le associazioni. La Fondazione FS dal 2013 si dedica alle ferrovie storiche, ai treni storici e turistici, ma prima la barriera, la difesa, la facevano le associazioni, a cui noi dobbiamo un enorme grazie. Certo, oggi il volontarismo ha cambiato faccia. I volontari sono sempre di meno ed è naturale che le ferrovie si sostituiscano, per portare questa attività a livelli altissimi, mettendola alla pari del trasporto regionale o dell’alta velocità. Ecco perché dieci anni di Fondazione FS ci hanno aiutato a diventare grandi, dai piccoli “dieci ragazzi” che eravamo, e a prendere in eredità la battaglia eroica di queste associazioni di cultura, di modellismo, di ferrovieri in pensione. È lo spirito del ferroviere che rimane vivo e che difende le sue officine e le sue linee.

MM: Chi si occupa di turismo sostiene come uno dei trend che si sono più imposti dopo il Covid sia stato quello di un turismo di prossimità, di un turismo slow, più sostenibile. Qual è il futuro del turismo ferroviario?

LC: Io nutro una visione molto positiva. Perché vede, se lei avesse chiesto a un italiano vent’anni fa di passare la sua domenica a bordo di una carrozza antica, l’avrebbe guardata male. Oggi facciamo un’altra cosa. La littorina è una littorina a gasolio pulito. La Centoporte non è più una vecchia carrozza utilizzata da ferrovieri in pensione per il treno della domenica, ma un’elegante vettura restaurata filologicamente, dove i turisti possono anche degustare un aperitivo durante il viaggio. Dieci anni dopo Fondazione FS, nel 2023, è nata la nostra nuova creatura, FS Treni Turistici Italiani, una società di cui sono stato nominato con profondo orgoglio Amministratore Delegato. Una nuova compagnia ferroviaria per andare oltre Fondazione FS. Treni d’epoca, ma anche treni turistici con carrozze, vetrate panoramiche, ristoranti, vagoni per il trasporto delle bici, degli sci. La Freccia Orobica, per esempio, è un treno turistico. Però tutti converranno, soprattutto i nostri conterranei, che oggi la Freccia Orobica non è altro che un treno regionale, un Vivalto utilizzato in maniera indistinta dal lunedì al venerdì per portare i pendolari e nei finesettimana d’estate per fare turismo. Allora, pensiamo insieme ad una Freccia Orobica con la prima, la seconda classe con gli scompartimenti, l’area silenzio, l’area per i bambini, la possibilità per gli anziani di poter viaggiare coi nipotini, un vagone ristorante, un’assistenza a bordo fatta da un capotreno che non è un capotreno avvezzo alle difficoltà quotidiane del trasporto pubblico pendolare, ma è quasi un conduttore Steward. Ecco, allora i nostri concittadini lasceranno a casa tante macchine, e andranno nella bella Romagna con un treno. È questo che faremo. Non sarà un treno di lusso, ma un treno di alto livello che potrà veramente cambiare la modalità di andare in vacanza. La vacanza incomincia in stazione.

MM: Una bella storia italiana, quindi, che non può che guardare con fiducia al futuro.

LC: Dopo dieci anni, creiamo un’iperbole di crescita. C’è il mercato del lusso, la Dolce Vita, il turismo religioso. Passeranno tutti sotto la nostra regia. Sappiamo bene come la mentalità e le abitudini delle persone cambino, ma chi osserva il turismo come noi assiste ad una forte tenuta dei grandi luoghi di culto, ad esempio i santuari. Allora potremo avere Lourdes, Loreto, il Sacro Monte di Varallo. Sono tutte a portata di mano e andandoci in treno facciamo un favore all’ambiente, perché questo è un turismo pulito. Un turismo sostenibile.

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