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Pietro Corna. La vita, l’arte e le armonie nascoste di un organaro

Intervista. Durante un caloroso pranzo domenicale, ho avuto il piacere di conoscere Pietro Corna. Ero stata invitata da sua moglie, una cara conoscenza che mi ha fatto sentire a casa anche se non ce lo siamo esplicitamente detti. È così che ho scoperto la storia di un costruttore e restauratore di organi

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Pietro Corna

Fin dalle prime battute, il signor Pietro mi ha chiesto di chiamarlo semplicemente «Pietro». Io ho continuato imperterrita, non perché volessi rimarcare una distanza, ma perché ho subito colto la sua estrema precisione e meticolosità, tipiche di chi è della bergamasca. Ma anche un animo dolce, sensibile, proprio di chi ha imparato a maneggiare gli strumenti con l’anima, prima ancora che con le mani.

Il suo laboratorio si trova a Leffe. Entrando, sono subito stata avvolta da un profumo di legno lavorato, che mi ha immediatamente ricordato le botteghe artigiane del mio piccolo paese di montagna, facendomi sentire a casa. Camminando tra gli strumenti e le macchine, ho scoperto attrezzi mai visti prima, specifici di un mestiere unico e affascinante di cui ho voluto approfondire i segreti.

CP: Quando hai cominciato questo lavoro?

PC: All’età di 19 anni, durante il mio ultimo anno di studi all’Accademia Musicale Santa Cecilia di Bergamo, avevo la necessità di far riparare lo strumento che suonavo ogni domenica nella mia chiesa. La mia formazione è durata otto anni, divisi equamente tra il pianoforte e l’organo. Conscio della necessità di un intervento sull’organo, mi rivolsi al mio professore, il maestro Belloli, chiedendogli di indicarmi un restauratore affidabile. Fu così che venne a crearsi il mio primo contatto con Giorgio Persico, un organaro, ora in pensione. Al nostro incontro, Persico mi confidò di essere sommerso di lavoro, tanto da essere alla ricerca di un altro collaboratore. Quella rivelazione fu per me un lampo di ispirazione e segnò l’inizio della mia carriera nel mondo del restauro e della costruzione di organi. Questa esperienza mi ha insegnato l’importanza della cura e della manutenzione degli strumenti che rendono possibile la magia del suono.

CP: Cosa ti ha appassionato di questo strumento?

PC: Fin dal mio ingresso nel mondo della musica, la passione è stata una guida. Già nei miei primi due anni di studio del pianoforte, fui fortunato ad avere come insegnante Cecilia Cugini, una pianista eccezionale e organista, che non solo mi ha trasmesso le basi tecniche, ma ha anche acceso in me un interesse particolare per l’organo a canne. Il destino volle che, da questa crescente fascinazione, nascesse un’opportunità inaspettata. Inizialmente come dipendente, imparai i rudimenti del mestiere, un apprendistato che, benché breve, fu estremamente formativo. In seguito, insieme a un socio, Salvatore Cortinovis, anch’egli giovane appassionato di questo antico mestiere, decidemmo di avviare insieme una nostra attività, cosa che è avvenuta nel 1990. Questa esperienza in società è durata fino al 1999, anno in cui il socio si è ritirato e la ditta dal 2000 ha definitivamente assunto la denominazione «Pietro Corna Costruzione e Restauro Organi a Canne».

CP: Come avviene il processo di costruzione di un organo, partendo da zero?

PC: Iniziamo sempre da un progetto iniziale che possiamo definire come “un’idea sonora” dello strumento. Questa idea non nasce solo nella mente del costruttore, ma è spesso il risultato di una collaborazione con chi commissiona l’organo, che di solito si avvale della consulenza di un organista o un esperto con una visione precisa di come debba suonare lo strumento. La dimensione dell’organo e il contesto in cui verrà inserito sono considerazioni fondamentali, perché l’organo deve non solo adattarsi, ma anche arricchire l’ambiente circostante.

CP: Cosa intendi quando dici «pensarlo dal punto di vista sonoro»?

PC: La tradizione organaria ha radici profonde e diverse in base alla geografia. La scuola italiana, tedesca, francese di costruzione degli organi, ognuna con le sue peculiarità, ha influenzato lo sviluppo di questo strumento dal Seicento al Novecento. Dal Novecento in poi, un fenomeno di “globalizzazione” culturale ha permesso la costruzione di organi che possono riflettere un’impostazione fonica di un diverso paese, ma anche una sorta di fusione di stili per l’interpretazione di un repertorio più vasto.

CP: Nel tuo lavoro non sei mai da solo…

PC: La collaborazione tra le diverse figure professionali è essenziale per garantire che l’organo non solo si adatti visivamente al contesto, ma che funzioni anche acusticamente. La precisione nella progettazione e nella costruzione delle canne, così come il dialogo continuo con chi progetta la cassa dell’organo, sono elementi chiave che il costruttore deve coordinare attentamente. Una volta definito il progetto esecutivo, che rappresenta lo strumento su carta, utilizziamo spesso software di progettazione assistita da computer, come AutoCAD, per realizzare disegni dettagliati dell’organo, inclusi i piani per la disposizione interna e il posizionamento di tutti gli elementi, come i somieri e le canne. Questa fase progettuale è cruciale per passare poi alla costruzione vera e propria, che comprende lavorazioni in falegnameria per la cassa e le parti in legno, e la lavorazione dei metalli per le canne e altri componenti metallici.

CP: Come avviene il montaggio?

PC: Una volta realizzato, l’organo viene montato parzialmente nel nostro laboratorio per poi essere trasferito e assemblato definitivamente nella sua destinazione finale. È in questa fase che l’organo, da grande macchina, si trasforma in uno strumento musicale capace di suonare, attraverso un processo accurato di intonazione. Questo lavoro meticoloso su ogni canna, fila per fila, seguendo lo stile e le specifiche definite inizialmente, dà vita allo strumento. La conclusione di questo processo è il collaudo dell’organo, che di solito avviene attraverso uno o più concerti eseguiti da organisti professionisti. Questo momento rappresenta la vera e propria nascita musicale dell’organo, il culmine di un lungo e complesso percorso di creazione.

CP: Pensi che in questa fase saper suonare l’organo è fondamentale?

PC: Riguardo alla fase di intonazione e alla trasformazione dello strumento, credo fermamente che la capacità di suonare l’organo e di comprenderne le peculiarità sonore sia un valore aggiunto imprescindibile per chi lavora in questo campo. La conoscenza musicale e la sensibilità sonora sono dunque elementi centrali nel nostro lavoro, che vanno ben oltre la mera capacità tecnica di costruzione. Non a caso, lavoro con collaboratori talentuosi, alcuni dei quali sono anche più abili di me come musicisti.

CP: Che tipi di materiali sono coinvolti nella costruzione di un organo?

PC: La selezione dei materiali è altrettanto importante. Usiamo legni ben stagionati per minimizzare i movimenti del materiale che, essendo vivo, è soggetto a leggere variazioni. Si prediligono legni in uso da secoli per la costruzione degli organi, quali ad esempio il noce, l’abete, la quercia, il rovere, e il castagno, a seconda della regione e delle caratteristiche sonore desiderate. Per le canne di metallo, utilizziamo principalmente leghe di stagno e piombo, con proporzioni che variano a seconda del tipo di suono che vogliamo ottenere. Le canne frontali, quelle visibili, sono in genere realizzate con una percentuale elevata di stagno, 90-95%.

CP: Come ti approcci, invece al restauro?

PC: L’approccio al restauro è sempre estremamente rispettoso. Per ogni restauro, è fondamentale elaborare un progetto dettagliato che preveda lo studio dello strumento, la valutazione del suo stato di conservazione e la redazione di una relazione esaustiva. Solo dopo aver pensato al preventivo e al tipo di intervento necessario, il progetto può essere inviato agli enti preposti alla tutela, quali la Curia e la Soprintendenza per l’approvazione. Gli interventi devono essere sempre conservativi, mirati a preservare tutto ciò che è storico senza apportare modifiche al manufatto originale.

CP: Qual è stato il lavoro più sfidante?

PC: Un restauro particolarmente significativo che mi viene in mente è quello dell’organo di Luca Neri a Collescipoli, datato 1646. Il restauro è stato particolarmente affascinante perché inizialmente si pensava si trattasse di un organo del 1700. Successivamente, ho avuto la fortuna di scoprire indizi che mi hanno permesso di attribuire l’opera a questo rinomato costruttore di organi, rendendolo un pezzo significativo del periodo tardo rinascimentale e barocco del centro Italia. La riscoperta dell’eredità di Luca Neri attraverso questo strumento è stata per me fonte di grande soddisfazione. Se dovessi invece pensare a un progetto che ha rappresentato una vera e propria svolta nella costruzione ex novo, tanto in termini di qualità quanto di conoscenza, menzionerei senza ombra di dubbio la costruzione del nuovo grande organo nella cattedrale di Bergamo tra il 2008 e il 2010.

CP: Quanto è importante trasmettere il sapere per evitare che professioni come la tua scompaiano?

PC: Non ho mai focalizzato i miei sforzi sulla trasmissione del sapere in sé, ma su un apprendimento reciproco, soprattutto nel dialogo con i miei dipendenti e i musicisti con cui collaboro. Il confronto è inevitabile e da questo scambio nasce un apprendimento spontaneo. Anche a 56 anni, il mio desiderio di apprendere non si è mai affievolito, data la natura sempre diversa dei progetti su cui lavoro. Riguardo al trasmettere il mio sapere alle generazioni future, come nel caso di mio figlio, penso che ciò avverrà naturalmente. Per ora è impegnato nella formazione, sta frequentando studi universitari specifici sulla conservazione, il restauro di beni culturali e degli strumenti musicali. Ma sono consapevole dell’importanza che le competenze specifiche e rare, come quelle del nostro mestiere, non vadano perse.

CP: Pensi che trasferire l’organo in contesti anche non religiosi possa contribuire a una maggiore diffusione?

PC: In Italia gli organi presenti negli auditorium sono pochi, a differenza di quanto avviene all’estero, dove sono più diffusi. È in corso, da anni, un’iniziativa che mira a colmare questa lacuna. Gli organi situati in spazi non convenzionali, come le case private e altri luoghi, aprono certamente a nuove possibilità di sperimentazione musicale. Questa diversificazione dei contesti in cui l’organo viene apprezzato e utilizzato è qualcosa che considero positivo e auspicabile, anche se ancora raro, come dimostra l’esempio di Bergamo con la Sala Piatti, un luogo non religioso che ospita un organo.

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