93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Vera Gheno. Un antidoto ai veleni dei social tra consapevolezza e nuove frontiere del web

Articolo. Tossico, caotico e spesso violento, ma anche spazio di possibilità, attivismo e dialogo. Il mondo dei social è un luogo dove ci si informa più o meno bene, in cui ci si incontra e ci si scontra. Un luogo dove, nonostante tutto, si può imparare a comunicare meglio, come spiega Vera Gheno nel suo «L’antidoto», un breve manuale in cui la sociolinguista e saggista ha raccolto 15 risposte ai veleni della rete e che presenterà questa sera alle 18 a Clusone, ospite del festival «Presente Prossimo»

Lettura 5 min.
Vera Gheno (Cristina Andolcetti)

Una parola ben scelta, una comunicazione efficace e un’interazione riuscita possono cambiare la nostra esperienza sui social, trasformando un ambiente tossico e negativo in uno spazio di scambio e di espressione. Esserne consapevoli è un primo grande passo per capire cosa facciamo, cosa potremmo fare meglio e cosa non dovremmo fare affatto quando siamo online. Molto spesso il “cosa facciamo” è un po’ a caso, di fare meglio non c’è tempo, presi come si è dalla velocità, e cosa non si dovrebbe fare lo si capisce solo nel momento sbagliato: quando ormai il danno è fatto. Come nel caso della persona che ha condiviso sui social un meme con una politica decapitata e si è ritrovata una denuncia, uno dei tanti esempi che la sociolinguista e saggista Vera Gheno propone nel suo «L’antidoto. 15 comportamenti che avvelenano la nostra vita in rete e come evitarli»: un agile manuale di istruzioni sul linguaggio che utilizziamo in rete e anche qualcosa di più.

Un libro che questa sera alle 18 sarà protagonista del festival « Presente Prossimo, leggere e scrivere l’oggi » nella Sala Legrenzi di Palazzo Marinoni Barca a Clusone. Ospite l’autrice, che si autodefinisce «una frequentatrice abituale di social» e proprio a quelli dedica ampi spazi di riflessione, tra divulgazione, ricerca, presenza online e libri, come «Tienilo acceso. Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello», scritto a quattro mani con Bruno Mastroianni, un libro che è un invito a un uso costruttivo dei social, non al loro evitamento davanti a tutte le criticità di queste piazze virtuali. «Vivo queste realtà online da decenni, in varie forme anche quando ancora non si chiamavano così – spiega Vera Gheno – ma si usava l’espressione “comunità virtuali”. Oggi il mondo digitale non solo lo abito, ma me lo sono arredata con calma come fosse una casa in cui vivo ormai da 28 anni».

Una casa, quella online, che nel tempo è diventata sempre più articolata e, per certi versi, non semplice da abitare, come conferma la sociolinguista: «penso a quello che diceva Marshall McLuhan: ogni miglioramento delle tecnologie di comunicazione provoca una complessificazione della comunicazione stessa, quindi oggi, avendo molti più canali utilizzabili, abbiamo bisogno di competenze molto più alte rispetto ai nostri nonni che vivevano in contesti molto più ristretti».

Piloti del web: da neopatentati analfabeti ad attivisti e utenti consapevoli

La complessità non riguarda solo la comunicazione online, ma si proietta pure offline, andando a incidere anche sulle capacità di recepire i contenuti delle persone: «la rete ha trasformato i tempi di maturazione degli esseri umani – spiega – qui è in corso un vero e proprio cambiamento cognitivo, attraverso il web anche il modo in cui organizziamo la conoscenza è in trasformazione». Basti pensare a fenomeni come l’amnesia digitale, per cui si dimenticano più facilmente contenuti che si sa di poter recuperare con facilità online o all’ infoxication , ossia un’intossicazione di informazioni dovuta a una navigazione compulsiva sul web da cui è difficile sconnettersi.

«Ed è proprio l’abbondanza di fonti a essere illusoria, poiché non garantisce la conoscenza – continua Gheno – perché i contenuti vanno prima saputi trovare, poi leggere e distinguere, ma soprattutto comprendere. Certo, da una parte è aumentata tantissimo la nostra potenzialità di conoscenza, dall’altra la maggioranza delle persone oggi ancora non ha la capacità di capire quale sia una fonte attendibile e quale no, o cosa abbia senso fare e cosa invece sia meglio evitare e questo ha conseguenze devastanti. Siamo come dei neopatentati alla guida di una Ferrari, una combinazione che può essere molto pericolosa».

Numerosi gli incidenti e gli scontri a cui la sociolinguista ha assistito o in cui si è trovata coinvolta direttamente frequentando i social, un’esperienza che ricostruisce tra aneddoti sui veleni del web, pratiche istruzioni per l’uso, citazioni fulminanti, spunti di lettura e riferimenti pop nel suo agile manuale. Nel libro «L’antidoto» si trovano, infatti, tante soluzioni pratiche per una buona convivenza digitale davanti a veleni come il demone della velocità, la deumanizzazione, l’odio, la manipolazione o i problemi di comprensione del testo e del contesto digitale, che rientrano nell’analfabetismo funzionale, una questione che in Italia riguarda oltre un quarto della popolazione (27,7%), ponendo il nostro paese in fondo alla classifica europea, peggio solo la Turchia, dove il dato raggiunge il 45,8% secondo il report Ocse-Piaac.

«Una buona competenza digitale deve avere basi salde, due su tutte: la consapevolezza nell’uso del linguaggio e la responsabilità, che sono connesse tra loro – spiega l’autrice – Se siamo consapevoli di ciò che diciamo, sappiamo di essere responsabili anche delle conseguenze delle nostre parole, che possono essere armi usate contro le persone e avere ripercussioni gravi sia su chi le pronuncia, sia su chi le riceve».

Caos comunicativo. La colpa online è anche dei media

In molti casi, secondo Gheno, il problema è anche non rendersi conto di non avere questo tipo di limite: «da questo deriva anche la convinzione di non avere bisogno di un’educazione sul tema e la mancata capacità di realizzare che il problema sei anche tu – continua - Questo è lo stesso meccanismo che ritroviamo anche nella questione della violenza sulle donne, per cui molti uomini si limitano a dissociarsi e non riescono ad accollarsi un pezzo di questo problema, perché non riescono a comprendere quanto potrebbero e dovrebbero fare». Un argomento, questo del femminicidio, su cui la sociolinguista torna anche nell’ultima puntata del suo podcast sui cambiamenti del linguaggio «Amare Parole», «Per Giulia e per Elena Cecchettin».

«Nel mondo social, poi, questo tema è l’ennesima e grave dimostrazione di un atteggiamento disonesto dei media dal punto di vista della comunicazione – aggiunge Gheno – Testate, giornalisti e giornaliste scelgono di comportarsi così, in modo disinformato, sapendo che chi hanno davanti, in molti casi, non ha anticorpi davanti a manipolazioni linguistiche acchiappa click o sensazionalismo, e potrebbe essere preso in giro con molta facilità da una cattiva informazione. Abbiamo grandi carenze e i media grandi responsabilità, ma tanto si può e si deve fare, a partire dall’educazione delle persone».

Dai veleni dei social a una possibile socialità online

Possibilità è una parola che per la sociolinguista rappresenta il controcanto di un panorama social avvilente: online, infatti, insieme ai veleni sono nati anche fenomeni positivi, «penso a tanto attivismo e advocacy da parte di comunità come quelle delle persone disabili o trans, che tradizionalmente non hanno avuto una grande rappresentazione in tv o su altri media e questa mi sembra comunque un’ottima cosa. Se non credessi nel potere della rete nonostante tutto, non farei io stessa tanta divulgazione sui social, mi limiterei a insegnare in università e a scrivere libri, invece penso valga la pena di presidiare questo fortino: se anche solo una persona su mille reagisce in maniera positiva a quello che io racconto, il mio impegno ha senso».

Se da un lato lo sguardo con cui si esplorano internet e i social spesso risulta miope e mette a fuoco solo le grandi piattaforme come Facebook, Instagram o TikTok, dall’altro però è importante sapere che esistono anche luoghi meno noti e ancora indipendenti, come spiega l’autrice in riferimento a «contesti digitali non lottizzati dalle multinazionali, che potremmo identificare come Taz, le Zone Temporaneamente Autonome, che danno il nome al libro di Hakim Bey», spazi subculturali di socialità e partecipazione che sfuggono al controllo sociale e commerciale.

Ed è proprio a questi luoghi digitali che Antonio Pavolini dedica il suo «Stiamo sprecando Internet», un libro in cui l’analista dei media e docente di teoria e metodo dei mass media della NABA di Milano esplora questi canali di comunicazione non convenzionali e poco conosciuti. «Ed ecco che lì si scopre l’esistenza non di un “Dark web”, ma di un “Light web”, se vogliamo chiamarlo così – spiega Gheno che nel suo saggio cita il lavoro di Pavolini – è un mondo online delle possibilità, dove esistono alternative ai social iper-commerciali a cui siamo abituati, è solo questione di andare oltre e conoscerle».

Approfondimenti