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Emanuela Evangelista, lottare per il clima nel cuore dell’Amazzonia

Articolo. Niente autostrade, ma chilometri di fiume da percorrere in canoa per tornare a casa, nella propria palafitta, in un villaggio nella foresta amazzonica. Una quotidianità tanto lontana e affascinante, quanto necessaria da conoscere per riconnettersi con l’ambiente e prendersene di nuovo cura. Emanuela Evangelista ne parla nel suo «Amazzonia – Una vita nel cuore della foresta», che presenterà domani alle 17.30 da Incrocio Quarenghi

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La foresta amazzonica è acqua. Acqua che scorre lungo i 7000 chilometri del Rio delle Amazzoni, una massa di 17 miliardi di tonnellate che finisce ogni giorno nell’Atlantico. Acqua che allaga i villaggi dell’Amazzonia durante la stagione di piena e chi li abita semplicemente si adatta. Anche gli alberi rallentano, sommersi. Acqua che è strada lungo cui muoversi, addentrandosi fin nel cuore della foresta, dove l’auto è inutile e dove ci si sposta in barche e canoe, lentamente. Acqua in cui fare il bucato dietro casa, con un occhio al caimano che ti osserva qualche metro più in là. Acqua che è vita da bere e biodiversità da proteggere. Acqua che sale e scende, anche di dieci o dodici metri, trasformando il paesaggio e segnando le stagioni: la crescente, la piena, la diminuente e la secca, con i suoi mesi di siccità, che le popolazioni del posto sanno gestire da millenni, a cui animali e piante si adattano da sempre.

La secca di quest’anno però è stata diversa, estrema, anche nel polmone verde che dà respiro a tutto il pianeta. L’acqua è mancata troppo a lungo e gli abitanti di troppi villaggi hanno dovuto attendere un elicottero per poter avere da bere, cibo e medicine. Lungo le strisce di asfalto di una città, con un condizionatore acceso, lontano dai torrenti di montagna asciutti e senza prestare troppa attenzione alle notizie, i cambiamenti climatici sembrano più distanti rispetto a quanto si rivelino in tutta la loro gravità se li si osserva dalla finestra di una palafitta nella foresta amazzonica, a 400 chilometri di fiume da Manaus, capitale di Amazonas, in Brasile.

Una palafitta che la biologa della conservazione Emanuela Evangelista chiama casa da oltre dieci anni e dove ha scritto «Amazzonia – Una vita nel cuore della foresta», che presenterà domani (venerdì 17 novembre) alle 17.30 alla libreria Incrocio Quarenghi. «Sono convinta di essere molto privilegiata nel poter vivere questa esperienza e i privilegi si condividono – spiega l’attivista ambientale – Non tutti avranno possibilità di vedere questi posti nella vita e di conoscere da vicino il quotidiano di un villaggio come quello in cui vivo. Avvicinarsi a tutto questo aiuta anche a parlare di cambiamento climatico secondo una prospettiva diversa. Ecco perché ho scritto questo libro. Credo molto in quello che la scienza ci insegna, la generosità: in questo campo condividere i risultati delle tue ricerche con gli altri è fondamentale perché si possa andare avanti tutti».

Così, tra le mappe idrografiche che si alternano alle parole fin dalle prime pagine, Evangelista guida chi legge alla scoperta della straordinaria quotidianità del villaggio di Xixuaú, poco a sud dell’Equatore, dove vive. Tra le righe fanno capolino la piccola Ana Clara, João il cantastorie, spiriti delle selve e molti altri abitanti umani e non, tutti abbracciati dalla bellezza di una natura potente e fragile allo stesso tempo, minacciata da traffici illegali, deforestazione e bracconaggio. Una natura da difendere, contrastando il cambiamento climatico: obiettivo che la biologa persegue con la sua onlus Amazônia, ma che è possibile combattere anche agendo in prima persona, nella vita di tutti i giorni, a casa, facendo scelte più consapevoli, dall’alimentazione ai consumi.

Ritrovare un diverso posto in natura

Che si parli dell’Amazzonia e delle sue foreste divorate dalle coltivazioni di soia o degli ettari di campi cementificati per costruire un’autostrada nella Pianura Padana, il punto secondo Evangelista è il credersi centro di tutto e padroni dell’ambiente.

«Se non fossi capitata in Amazzonia, credo avrei continuato a sentirmi arrogante, superiore e indipendente rispetto alla natura: vivere in un contesto in cui non mangi se la foresta non ti offre cibo e non bevi se il fiume è in secca ti porta a rispettare di più ciò che hai, mentre la paura per tutti i pericoli che ci sono ti ricorda la tua vulnerabilità e ti ricolloca in una posizione più giusta. Sei una componente di un mondo ricco di interconnessioni, sei solo una delle specie di questo sistema, non quella centrale».

Nonostante questo, l’attivista ci tiene a smontare ogni visione idealizzata della vita nella foresta: «non c’è nulla di romantico nel vivere senza i comfort e la tecnologia a cui siamo abituati, la questione non è tornare indietro o mettere a confronto le due vite. Credo sia possibile coniugare i desideri di tutti i popoli che da primitivi si sono civilizzati, ossia avere maggior benessere, fare meno fatica e sentirsi più protetti, con l’idea che siamo solo ospiti di questo pianeta, che potrebbe eliminarci in ogni momento come ha fatto con migliaia di altre specie. La chiave non è rinunciare al nostro stile di vita, ma rivederlo, utilizzando in modo virtuoso la tecnologia per fare le cose meglio».

Siamo dentro la natura

Spreco, stratificazione dei sistemi produttivi e incapacità di riconoscersi parte di un ecosistema in cui siamo immersi, anche quando siamo in casa sul divano e non solo quando si va in montagna o al lago la domenica. Questi sono i punti chiave della riflessione di Evangelista, che fa riferimento alla scienza per chiarire il perché il sistema in cui viviamo non funzioni: solo in Italia si sprecano 27 chili di cibo all’anno, mentre nel mondo si buttano 70 milioni di tonnellate di abiti usati di cui il 48% ancora in buone condizioni.

«La fisica ci insegna però che quando c’è uno spreco è perché il sistema non è efficiente, cosa che in natura non accade, dovremmo imparare da lì. Inoltre il processo di produzione del cibo è così stratificato che mangiamo cose che non sappiamo neanche da dove arrivino e, in un contesto simile, ricordarci della nostra dipendenza dalla natura è più difficile: dobbiamo perdere l’arroganza urbana che ci fa credere di esserne emancipati e ci porta a non curarci del pianeta e a sfruttarlo».

In una realtà come l’Amazzonia invece, dove c’è un rapporto più stretto con l’ambiente, anche una bambina come la piccola Ana Clara, che si incontra nelle pagine del libro di Evangelista, sa che tutto è importante e serve, per questo non lo spreca e non lo distrugge: «avere presente la nostra dipendenza è fondamentale. Se sai di non poter fare a meno dell’ossigeno dovresti smettere di produrre Co2, se sai che il pianeta è la tua casa perché non te ne curi come faresti del tuo appartamento, che ti piace tenere in ordine e rendere confortevole perché ci vivi dentro?»

Per contrastare la distruzione metodica di una casa naturale come l’Amazzonia, Emanuela Evangelista ha fondato Amazônia, una onlus che ha il macro-obiettivo di proteggere la foresta amazzonica e di ripristinare le aree deforestate. «Nell’entroterra del continente c’è ancora una regione estesa intatta, ma a rischio. Con il nostro lavoro cerchiamo di portare alternative economiche alla deforestazione valorizzando le ricchezze che questo ambiente naturale ha in sé: tagliare gli alberi non è necessario per produrre ricchezza, si può puntare su artigianato, turismo sostenibile, raccolta di frutti e progetti di sviluppo». Un approccio che funziona: grazie alle iniziative attivate dalla onlus, una superficie verde di 600 mila ettari, pari a due terzi della Corsica è oggi parco nazionale.

Secondo la biologa la buona notizia è che sappiamo come proteggere la foresta che è ancora intatta, abbiamo però poco tempo per farlo, circa 15 anni, prima che si trasformi in una savana. «Anche in Europa si può fare qualcosa, non c’è un “loro che deforestano” in Amazzonia e un “noi” qui che siamo innocenti. Siamo tutti partecipi del disastro ed è facile capirlo se pensiamo a perché si tagliano gli alberi, basta guardare nel nostro piatto: coltivare soia rende di più che tutelare la foresta e il Brasile lo sa benissimo, infatti è diventato il maggior produttore mondiale di questo ingrediente base per i mangimi utilizzati negli allevamenti intensivi. È un dato di fatto che in termini di impatto ambientale, ogni volta che parliamo di fame nel mondo, non dobbiamo sfamare 8 miliardi di bocche come si legge sui giornali, ma 80 miliardi, perché anche gli animali di cui ci cibiamo vanno alimentati. La risposta a questo problema non è sicuramente semplice e ognuno fa le sue scelte personali, ma è importante sapere che ognuno in prima persona può fare qualcosa anche solo decidendo come alimentarsi o cosa indossare».

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