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In sala prove con i Su.Mo, la band nata tra i banchi di scuola del Lussana

Articolo. Un viaggio nella musica degli Sugarcandy Mountains tra le mille sfide artistiche che una band deve affrontare per portare il proprio show sul palco

Lettura 5 min.
La band Sugarcandy Mountains (Foto Sugarcandy Mountains)

La band che andremo a conoscere oggi credo faccia parte a buon diritto dei «classici» del mondo musicale orobico. Gli Sugarcandy Mountains, conosciuti anche come Su.Mo. come il titolo dell’omonimo album del 2022, sono un gruppo nato nel 2009 tra i banchi del liceo Lussana di Bergamo. Il cambio di passo da band scolastica a progetto strutturato arriva nel 2013 con «Nel Vostro Recinto», album di genere ska che segna l’inizio della sperimentazione artistica del combo. Nel corso degli anni, i Su.Mo. hanno affiancato allo ska anche il rock e il funky, creando uno stile riconoscibile e che ha permesso al gruppo di esibirsi dal vivo oltre un centinaio di volte in tutto il Nord Italia.

Al momento la band ha tre album all’attivo e ha da poco pubblicato l’EP «Nāga», poco meno di venti minuti per sei tracce cariche di novità a livello stilistico. Curioso di conoscere così da vicino una formazione così complessa per organico ed evoluzione, ho chiesto la possibilità di assistere ad una sessione di prove. Ecco com’è andata.

Arrivo in sala

Il mio contatto con i Su.Mo. è il trombonista Andrea Alberti, detto «Albert». Dopo aver chiacchierato su Instagram, ci siamo dati appuntamento ad Albano Sant’Alessandro, paese dove si trova la sala prove della band.

Mi presento all’orario stabilito, pensando di poter tranquillamente entrare nella location a piedi ma, con mia sorpresa, Andrea e gli altri membri del gruppo mi invitano a salire in macchina perché «c’è ancora un po’ di strada da fare». La sala prove infatti si trova all’interno di un dedalo di box auto sotterranei e anche a mani libere, ovvero senza strumenti in mano, ci si impiegherebbe almeno qualche minuto per raggiungerla senza auto. Una volta giunti a destinazione, faccio la conoscenza dei componenti del gruppo: il cantante Oscar Dordi detto «Oscare», il tastierista e secondo cantante Dario Conconi detto «Jaya», i chitarristi Michele «Bos» Botti e Nicolò Zoia, il bassista Marco «Cano» Canova, il trombettista Jacopo «J» Roncelli e il batterista Lorenzo Roncelli detto «Zenk».

Mi accomodo in un angolo mentre i componenti della band montano gli strumenti. Mi viene spiegato che il box, dalla metratura importante e allestito con pannelli di legno per attutire i rumori, climatizzatore, pedana per la batteria e strumentazione, è di proprietà di uno dei componenti della band ed è operativo come sala prove da pochi mesi. Anche in questo caso, come già visto in questa rubrica, i lavori sono stati effettuati dalla stessa band, fatto che credo possa far riflettere su quanto impegno e quanta fatica ci sia alle spalle di concerti ed esibizioni musicali.

Provare in otto, una sfida

Cominciano le prove e vengo fatto sedere tra la tastiera di Jaya e la postazione fiati di Albert e J. Sono in un box sotterraneo insonorizzato e otto persone vicino a me stanno per cominciare a suonare. Anni di concerti mi hanno abituato ai rumori forti ma comincio a temere per le mie orecchie, almeno fino a quando Albert non mi passa delle cuffie collegate all’impianto audio della stanza. Scopro così che l’intera band prova utilizzando gli In-Ear monitor, le cuffiette che da anni hanno sostituito le casse spia e che permettono ai musicisti di ascoltarsi sul palco o nelle prove senza amplificazione diffusa. Così, con un volume decisamente accettabile – senza cuffie avrei sentito solo fiati e batteria – comincio a godermi lo spettacolo.

Per la prima volta, mi trovo davanti ad una band di otto persone e mi rendo conto che le diverse sezioni strumentali hanno vita e idee proprie. Nel caso specifico della serata a cui ho partecipato, lo “scontro” principale è sulla scaletta da portare ad un concerto e sull’ordine d’esecuzione dei primi pezzi. Il lato brass (gli ottoni) non se la sente di affrontare un determinato brano come primo in scaletta per via della mancanza di riscaldamento polmonare, ma la contro proposta scontenta le chitarre per la stessa ragione. Il risultato? un terzo pezzo proposto che però va a cozzare con voce e tastiera, che ricordano ai presenti come l’attacco di quello specifico brano non sia stato azzeccato dalla band in nessuno degli ultimi concerti. In questo articolo non posso riportare la soluzione al dilemma perché, semplicemente, non è stata trovata. I tre brani sono stati eseguiti in ordine casuale e la decisione è stata rimandata ad un secondo momento.

Stare nei tempi

Tra le mille variabili di cui una band deve tenere conto durante la preparazione di un’esibizione, forse la più rognosa è la durata stessa dell’esibizione. Difficilmente una band può decidere quanto suonare e, anzi, nella stragrande maggioranza dei casi la forbice di tempo in cui esibirsi viene decisa dall’organizzazione. Di conseguenza, anche comporre una scaletta diventa un problema, poiché questa deve avere un senso a livello di spettacolo e contemporaneamente rispettare gli orari stabiliti.

La sfida di questa sessione di prove dei Su.Mo. è quella di comporre una scaletta da un’ora, comprendente brani del nuovo EP e pezzi di particolare importanza nella storia del gruppo. Zenk parte a cronometrare, mentre uno dopo l’altro vengono eseguiti i brani selezionati. Il cronometro non si ferma nemmeno durante le discussioni, già messe in conto in rappresentanza di eventuali imprevisti sul palco e perché semplicemente inevitabili alle prove. Il risultato?

Oscare: «Zenk, come siamo messi a tempistica?»
Zenk: «Abbiamo sforato
Oscare: «Di quanto?»
Zenk: «Poco. Solo quaranta minuti in più del previsto.»
Oscare: «Ottimo.»

Tra le risate generali, si tiene conto dei venti minuti passati per sistemare problematiche audio e si opta per togliere quattro pezzi dalla scaletta, rimandando il verdetto ad un secondo momento, contestualmente alla scelta dell’ordine d’esecuzione dei primi brani.

La fine delle prove

Dopo circa due ore e mezzo dall’ingresso in sala, la band decide che è giunto il momento di tornare a casa. Viene smontata l’attrezzatura personale dei singoli musicisti, mentre sul posto vengono lasciati cavi e strumentazione del gruppo. Si parla dei concerti futuri, di come organizzarsi per le prossime prove e di chi deve pagare la multa per essere arrivato in ritardo a questa sessione: essendo in parecchi, i Su.Mo. hanno adottato un sistema di micro multe in modo da evitare che i ritardi di singoli individui possano limitare l’operatività del resto della band.

In breve però le argomentazioni musicali sfumano e si comincia a parlare di lavoro, di ferie, di mangiate (nessuno dei presenti alle prove, me compreso, aveva ancora cenato) e in generale di hobby. Vengo accompagnato alla macchina da Albert, ormai mio «Virgilio» ufficiale nel labirintico complesso di box auto, e ritorno a casa canticchiando il brano «Igloo» dell’ultimo EP. Ripensando alla serata, ammetto di ammirare l’impegno messo in questo progetto da così tante persone, prese al punto di autoregolamentarsi pur di arrivare all’obiettivo.

Bonus, l’ospite della serata

I più attenti tra i lettori avranno notato nelle foto una presenza nota del mercato musicale italiano. Si tratta di Matteo Locati, il batterista dei Pinguini Tattici Nucleari, presente in sala prove per provare un pezzo in compagnia dei Su.Mo. in vista di un concerto ormai passato. Non è la prima volta che un componente dei Pinguini collabora con questa band, poiché lo stesso album «Su.Mo.» vede la presenza del tastierista Elio Biffi come voce narrante nella traccia d’apertura. Va però detto che le collaborazioni musicali tra le realtà del nostro territorio sono frequentissime, perché gli stessi gruppi tendono negli anni a creare una sorta di rete che spesso sfocia in vere e proprie amicizie che durano negli anni. Un consiglio che mi sento di dare agli amanti della musica «nostrana» che vogliono avere un quadro generale dello stato di salute del movimento musicale orobico è quello di individuare questa rete e di seguirne gli intrecci. Spesso è il modo più facile per scovare nuove realtà, nuova musica e persino nuovi eventi.

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