A tutti i curiosi, gli appassionati e a chi ha sempre sentito parlare di Intelligenza Artificiale (IA o AI) senza mai avvicinarcisi davvero, maggio è il mese giusto per iniziare a scoprire questo mondo affascinante e in continua evoluzione. Ne parliamo con Giancarlo Facoetti, responsabile Strategia AI per Tinexta Innovation Hub, che in queste settimane sta tenendo, presso la Biblioteca Comunale Popolare di Villa di Serio, un ciclo di incontri introduttivi all’Intelligenza Artificiale . Facoetti si occupa della progettazione di sistemi di Intelligenza Artificiali affidabili. «Proprio come l’intelligenza umana, anche quella artificiale può incorrere in errori o “allucinazioni”, cioè generare risposte scorrette o inventate. Il nostro obiettivo è creare una rete di sicurezza che limiti questi errori e che ci permetta di intervenire quando si verificano, così da garantire risultati il più possibile affidabili. In fondo, anche gli esseri umani sbagliano».
AL: Ci sono ambiti in cui l’AI sta segnando un passaggio epocale?
GF: Per quanto riguarda la scuola, stiamo vivendo un cambiamento epocale. Il mese scorso ho partecipato al Google Cloud Next di Las Vegas, durante il quale due università degli Stati Uniti hanno condiviso i loro approcci innovativi per integrare l’AI nell’istruzione. A mio parere, i docenti che si opporranno rigidamente a questi strumenti rischiano di essere superati. Bisogna invece insegnare a fare le domande giuste, a sviluppare il pensiero critico. L’approccio va ripensato, perché gli studenti di oggi saranno i lavoratori di domani, e dovranno sapersi orientare in un nuovo mondo del lavoro. In Cina, ad esempio, stanno già introducendo corsi sull’IA a livello elementare: sarebbe importante che anche genitori, educatori e insegnanti venissero formati. Dopotutto, quei bambini saranno i professionisti del futuro.
AL: Nel mondo medico e sanitario, l’IA è al centro di tante ricerche per capire come trovare nuove terapie e capire alcuni meccanismi alla base delle malattie. Per esempio, ci sono modelli di IA che imparano a “leggere” le retine degli occhi dei pazienti per diagnosticare il morbo di Parkinson. Ma come funzionano?
GF: Esistono due approcci principali nell’Intelligenza Artificiale applicata alla medicina. Il primo è basato su dati “strutturati”: abbiamo molti esempi etichettati, cioè associati a diagnosi precise. Se so che una retina con certe caratteristiche è associata alla malattia A, e un’altra con caratteristiche diverse alla malattia B, posso addestrare un modello di IA a riconoscere queste differenze. Così, quando analizza la retina di un nuovo paziente, il sistema può suggerire quale malattia sia più probabile in base a quanto ha appreso.
Il secondo approccio, come quello utilizzato da ChatGPT, si basa invece su una quantità di dati ancora maggiore ma non etichettati: si forniscono all’algoritmo milioni di testi o immagini, senza indicazioni specifiche, e il modello impara da solo a riconoscere pattern e strutture.
AL: Quanto possiamo fidarci di un “medico non umano” per la diagnostica? Arriveremo al punto in cui l’IA andrà a sostituire medici, ricercatori, statistici tradizionali?
GF: Affidarsi all’IA per la diagnostica richiede che i sistemi siano progettati con molta cura: non solo per quanto riguarda il modello generativo, ma anche per gli aspetti legati alla sicurezza e alla qualità dei dati utilizzati. È fondamentale che l’IA non si basi sulla conoscenza generica presa da Internet, ma su dati specifici, affidabili e verificati. Detto questo, penso sia ancora presto per immaginare un futuro senza il contributo dei medici. Non tutto può essere espresso tramite testo o immagini, e anche l’empatia, per quanto possa essere simulata, ha dei limiti. L’Intelligenza Artificiale sarà sicuramente un sistema di supporto, uno strumento che potenzia le capacità del medico, ma non credo che lo sostituirà completamente. Nel campo della bioinformatica esistono già numerosi modelli molto potenti, sia per prevedere la struttura di proteine e farmaci, sia per stimare trattamenti personalizzati, sia per generare dati sintetici (dati artificiali ma statisticamente simili a quelli reali). Questo è particolarmente utile quando si lavora con dati sensibili, come quelli sanitari, che non si vogliono o non si possono condividere. Alla fine, ci fideremo davvero dell’IA quando saremo disposti a salire su un aereo pilotato da ChatGPT. Per ora, però, la differenza la facciamo ancora noi.
AL: Nel mondo delle malattie rare il problema può essere proprio la scarsità dei dati. Giusto l’anno scorso è stato pubblicato uno studio su Nature su Evo-2, un modello di IA generativa capace non solo di leggere e interpretare il DNA, ma anche di creare da zero delle sequenze genetiche nuove, come se provenissero da altri pazienti. Ma come funziona il “creare da zero” per un modello di IA?
GF: Questo “creare da zero” non è una magia, anche se può sembrarlo. In realtà, tutto parte da una grandissima quantità di dati che i modelli analizzano per imparare le regole e le strutture sottostanti. Se i dati di partenza sono sufficientemente vari e rappresentativi, l’IA è in grado di generare nuove sequenze che rispettano le stesse regole statistiche. Ovviamente, più dati fornisci, più il modello può generalizzare e dare risposte sensate. La questione della validazione delle risposte, però, resta aperta: spesso i dati di addestramento non sono pubblici o facilmente accessibili, quindi bisogna sempre essere cauti nell’interpretare i risultati. È una tecnologia potente, ma va gestita con consapevolezza.
AL: Oggi come oggi, considerando la disinformazione scientifica, come fa una persona a trovare fonti sicure da cui informarsi?
GF: Il primo passo è smettere di vedere l’Intelligenza Artificiale come una magia nera. In fondo, è un programma informatico, non una forza misteriosa che ci dominerà entro un mese. Non bisogna aver paura, ma anzi, è importante sperimentare e “sporcarsi le mani”. Allo stesso tempo, però, bisogna fare attenzione: dal 2022 in poi, sembra che tutti si siano improvvisamente scoperti esperti di IA, quindi è importante valutare la credibilità delle fonti. L’IA è una tecnologia dirompente, e il modo migliore per conoscerla è sperimentare con un minimo di consapevolezza e, se possibile, con una guida. Anche noi che ci lavoriamo dobbiamo aggiornarci continuamente: i modelli si evolvono rapidamente e restare al passo è una sfida costante.
AL: A Villa di Serio ci sarà un ciclo di incontri dedicato all’IA. Cosa si potrà imparare?
GF: Abbiamo pensato a tre serate. Dopo la prima, che si è concentrata sulla storia dell’AI, sui primi chatbot e sulle principali innovazioni, la seconda serata sarà dedicata ad alcune applicazioni pratiche: inizieremo a usare l’IA direttamente, per capire come approcciarla e soprattutto come porre le domande nel modo corretto, con consapevolezza rispetto ai dati e alle fonti. La terza serata sarà più creativa e interattiva: useremo modelli generativi per creare immagini, musica, video, modificare documenti e anche giocare un po’, per metterne alla prova i limiti. L’idea è imparare divertendosi, ma con spirito critico.
AL: Nella locandina dell’evento si menziona a «un futuro che è già presente». Considerata la velocità con cui l’IA sta prendendo piede in diversi ambiti, cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi anni?
GF: Fino all’anno scorso si parlava moltissimo di AGI, l’Artificial General Intelligence. Ora, se ci fa caso, se ne parla molto meno: l’attenzione si è spostata sugli “agenti”, su strumenti più concreti. L’idea di un’intelligenza senziente è affascinante, ma ci sono ancora ostacoli tecnici enormi. La narrativa si è spostata perché ci si è resi conto che siamo lontani da quel tipo di evoluzione. Dal punto di vista tecnico, poi, la base dell’IA attuale – i transformer – è inefficiente: per ottenere un miglioramento, bisogna moltiplicare lo sforzo per quattro. I primi progressi sono stati rapidissimi, ma ora stiamo rallentando. A meno che non ci sia un salto tecnologico radicale – qualcosa che superi i transformer e introduca un nuovo modo di usare o generare dati – non mi aspetto cambiamenti davvero sconvolgenti nel breve termine. Gli scenari alla Terminator mi sembrano ancora molto lontani. Ma, naturalmente, vedremo cosa ci riserveranno i prossimi anni.