La 23esima edizione di «BergamoScienza» si avvicina al traguardo, ma prima di calare il sipario regala al pubblico un ultimo weekend carico di energia, idee e curiosità. Dalle conferenze con scienziati internazionali ai laboratori interattivi per grandi e piccoli, fino agli spettacoli che fondono arte e ricerca, la città si trasforma ancora una volta in un laboratorio a cielo aperto, dove la conoscenza è esperienza condivisa.
Tra gli appuntamenti più attesi di questo fine settimana, sabato alle ore 17 al PalaSDF, si terrà la conferenza «Antarctic Mindset: prosperare in condizioni estreme» con Chiara Montanari, ingegnera, esploratrice e prima italiana a capo di una spedizione in Antartide. Con oltre vent’anni di esperienza nella gestione di missioni scientifiche ai confini del mondo, Montanari ha imparato a convivere con il rischio, la solitudine e l’imprevedibilità, trasformando l’Antartide in una scuola di vita e di leadership. Nel suo intervento al festival non svelerà soltanto i segreti della vita tra i ghiacci, ma inviterà il pubblico a scoprire un nuovo modo di affrontare le sfide del presente, un invito a coltivare lucidità e flessibilità anche quando il terreno sotto i piedi sembra mancare.
Ne abbiamo parlato proprio con lei, che ci ha raccontato come si impara a “navigare nell’incertezza” e perché, a volte, la distanza dai luoghi più estremi della Terra ci aiuta a comprendere meglio noi stessi e il nostro futuro.
AL: Oggi porti l’«Antarctic Mindset» anche nelle aziende. In cosa consiste il tuo lavoro e la tua quotidianità?
CM: Creo percorsi di formazione e workshop per aiutare persone e organizzazioni a gestire l’incertezza, a livello individuale e collettivo. L’obiettivo è imparare a muoversi con efficacia nel cambiamento, non a subirlo. È un allenamento concreto, basato sull’esperienza: perché solo chi ha attraversato l’imprevisto può davvero accompagnare gli altri a farlo.
AL: Come è nata la tua passione per l’Antartide?
CM: In realtà è stata l’Antartide a entrare nella mia vita. Mi sono laureata in ingegneria civile, e durante la tesi cercavo un argomento che unisse tecnologia e sostenibilità. Mi proposero di progettare un impianto di riscaldamento ad alta efficienza che simulava le condizioni di una base antartica. Quel progetto venne poi selezionato per essere realizzato davvero in Antartide, e così, dopo un paio d’anni di preparazione, mi sono ritrovata laggiù come direttrice di cantiere. È stata un’esperienza che mi ha cambiata profondamente: mi sono innamorata dell’Antartide appena arrivata, e da lì il resto è storia.
AL: Qual è stata la sfida più grande nel guidare spedizioni in un ambiente così estremo?
CM: L’Antartide è un contesto unico, ma anche estremamente complesso. Si tratta di missioni scientifiche con tanti progetti diversi tra loro, ciascuno con priorità, tempi e modalità differenti. Lavori con team internazionali composti da persone con competenze molto varie (dai ricercatori agli ingegneri, dai tecnici ai logisti) e spesso alcuni sono presenti in base, altri operano in remoto. È una comunità piccola ma estremamente eterogenea, in cui bisogna imparare a collaborare superando distanze geografiche e culturali. Tutto questo, in un ambiente che cambia di continuo, dove ogni decisione va presa rapidamente e può avere conseguenze importanti, anche sulla sicurezza delle persone. In Antartide non puoi permetterti di sbagliare: devi decidere in fretta, con le informazioni che hai, e devi farlo bene.
AL: Ti ha plasmata l’Antartide o, al contrario, ha fatto emergere qualcosa che era già in te?
CM: Direi entrambe le cose. C’è una parte di crescita tecnica, fatta di studio, tentativi, errori e miglioramenti, anni di try and learn, come si dice. Ma poi c’è una dimensione più profonda, quella che definisco un risveglio. L’Antartide mi ha costretta a convivere costantemente con l’imprevisto, e questo ha risvegliato in me la capacità di affrontare l’incertezza con lucidità. Ho studiato le scienze della complessità, anche a Bergamo, e da lì ho capito che non si tratta di “capire” la complessità, ma di risvegliarsi ad essa. È un’esperienza, non una teoria: impari a vedere il mondo per ciò che è, instabile e interconnesso, e a trovare equilibrio proprio dentro quel movimento.
AL: Nel tuo talk a «BergamoScienza» parlerai di «Antarctic Mindset». Cosa significa davvero?
CM: Per me è un allenamento mentale ed emotivo a muoversi nell’incertezza. Da un lato serve la preparazione tecnica: conoscere procedure, materiali, emergenze, come gestire le persone e le risorse. Dall’altro, però, c’è un lavoro più interiore: imparare a stare nel caos senza fuggirlo, a lasciar andare l’illusione del controllo. L’Antartide mi ha insegnato che l’incertezza non è un ostacolo, ma una fonte di vitalità. Quando smetti di combatterla, risvegli la tua energia, la tua capacità di agire con lucidità. È un’esperienza concreta, non una filosofia astratta: se non hai mai affrontato un imprevisto reale (un guasto, una crisi, una tempesta) non puoi davvero capire cosa significhi superare i propri limiti.
AL: Cosa potranno aspettarsi i visitatori del tuo intervento al Festival?
CM: Racconterò proprio questo: come attraversare la crisi del nostro quotidiano. Oggi viviamo in un mondo che cambia di continuo, dove ogni novità (tecnologica, economica, climatica) può spiazzarci. È normale sentirsi in difficoltà, ma l’incertezza può diventare una risorsa se impariamo a starci dentro con consapevolezza. Le aziende con cui lavoro, dai settori finanziari all’alta moda, condividono la stessa sfida: come restare efficaci in un contesto instabile. Lo stesso vale per ognuno di noi, nella vita di tutti i giorni. Nel mio talk cercherò di offrire strumenti ed esempi per allenarsi a questo, non per “controllare” l’imprevisto, ma per ritrovare presenza e fiducia.
AL: C’è un momento delle tue spedizioni che ti è rimasto particolarmente impresso?
CM: Ne ho vissuti molti, tra emergenze, conflitti, guasti e imprevisti di ogni tipo. Ma il ricordo più intenso è quello del silenzio assoluto sulla calotta polare, a 4.000 metri d’altitudine. Lì non ci sono rumori, odori, movimenti: tutto è immobile, e la tua attenzione torna completamente dentro di te. È un’esperienza di presenza totale, quasi un contatto con l’universo. Ti rendi conto di quanta energia hai quando smetti di disperderla negli stimoli esterni.
AL: Perché l’Antartide è così importante per la ricerca e per il futuro del pianeta?
CM: È un laboratorio naturale straordinario. Si studiano il clima, l’atmosfera, il campo magnetico terrestre, l’astrofisica, le relazioni tra Terra e Sole. Alla base Concordia, per esempio, sono state estratte carote di ghiaccio che risalgono fino a 1,5 milioni di anni fa: un archivio prezioso per capire l’evoluzione del nostro clima e prevederne i cambiamenti futuri. Si fanno anche ricerche tecnologiche, mediche e psicologiche, utili persino per le future missioni su Marte, perché l’Antartide è uno dei pochi luoghi al mondo che riproduce davvero l’isolamento e le condizioni estreme dello spazio. Ma c’è un valore simbolico ancora più grande: l’Antartide è l’unico territorio del pianeta che non appartiene a nessuno, dove sono proibite le attività estrattive e si può fare solo scienza e cooperazione. È il simbolo di una comunanza planetaria che dovremmo riscoprire: ricordarci che siamo tutti cittadini dello stesso pianeta.
Un ultimo weekend per lasciarsi stupire
«BergamoScienza» si avvia al gran finale con un weekend ricco di appuntamenti tra conferenze e spettacoli.
Domani, sabato 18 ottobre, si aprirà con le «Mattine fuoriclasse»: alle 9 Debora Nozza (Università Bocconi) parlerà di linguaggio e intelligenza artificiale, mentre alle 11 Nicola Segata (Università di Trento) esplorerà il ruolo del microbiota nella nostra salute. Nel pomeriggio, alle 15, Ron Milo e Telmo Pievani discuteranno di batteri e crisi climatica, seguiti alle 17 dal doppio appuntamento con Chiara Montanari e il suo «Antarctic Mindset» e con «L’Ecologia del regno minerale» di Jacopo Pasotti e Alberto Vitale Brovarone. La giornata si chiuderà alle 21 con l’esibizione del Gurdjieff Ensemble, tra sonorità armene e mediorientali.
Domenica 19 ottobre si parlerà di futuro: alle 9.30 Paolo Villoresi introdurrà «La rivoluzione dell’informazione quantistica», alle 11.30 Katie Moussouris racconterà come gli hacker possano diventare alleati della sicurezza digitale, e nel pomeriggio Rachael McDermott e Anna Grassellino guideranno il pubblico tra energia pulita e computer quantistici. Gran finale alle 21 con la chitarra di Zsófia Boros per un viaggio musicale tra eleganza e introspezione.