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«I miei nonni sono come…». Chiediamolo ai nipoti

Articolo. In occasione della Festa dei Nonni, abbiamo invitato alcuni autori e autrici di Eppen a condividere con tutti i lettori un pensiero o un ricordo. Vogliamo farlo anche con voi

Lettura 5 min.

Dal 2005, anno in cui è stata istituita dal Parlamento Italiano, il 2 ottobre ricorre la Festa dei Nonni. La scelta di questo giorno non è casuale: nella stessa data, la chiesa cattolica celebra gli angeli custodi. Per molte famiglie, i nonni sono proprio questo: angeli custodi portatori di esperienze e conoscenze. Ricordi, racconti, tradizioni tramandate, capricci soddisfatti, aiuto prezioso.

A chi o cosa somiglia (o somigliava) vostro nonno o vostra nonna? Quale immagine vi viene in mente? Scriveteci una mail o mandateci un messaggio sui nostri social!

Nonna Camilla

Mia mamma, che è anche abbondantemente nonna, somiglia sempre di più ad Alexa. Per parlare con lei al telefono devo trovare la parola chiave della comunicazione e dirla a voce alta in mezzo alle altre parti della frase: soggetto e verbo. A volte sente, a volte fa finta di aver sentito, ma non dice niente. Come Alexa, semplicemente non dà seguito alle mie richieste. Allora riformulo il pensiero da un altro punto di vista cercando di entrare nella sua mappa concettuale. Per esempio se devo dire che domani sera vado a fare la spesa e gliela porto, posso partire da due punti: «domani sera aspettami e non chiudere che arrivo» oppure «dimmi cosa ti serve come spesa».

Se la sua risposta è muta oppure è sì, allora non ha sentito. Devo ricominciare da un’altra parte: «hai ancora del latte fresco?». In genere qui catturo la sua attenzione perché pensa di dovermi preparare qualcosa da mangiare e allora si agita per capire dove voglio arrivare.

Dopo qualche minuto, stabilito il collegamento, la mamma parte alla ricerca del biglietto dove aveva segnato tutto quello che le serve, ma il biglietto è stato spostato da qualcuno che è andato a farle visita e forse lo ha spostato. Il discorso adesso si sposta su chi è andato a trovarla. Chi era? Sai che non mi viene in mente?

Torniamo alla spesa. Cosa ti serve? Il biglietto è rispuntato e, come Alexa, elenca indistintamente il caffè, le medicine, il regalino per sua sorella, la crema antirughe e il contorno occhi, le pile dell’apparecchio acustico. Ok prendo nota di tutto. «Un po’ alla volta in settimana porto tutto. Va bene mamma?».

A questo punto accade imprevedibile. Sia alleano la forza di cento mamme e di diecimila Alexa che mi inchiodano al telefono e al dovere: «Eh no, mi hai detto di non chiudere e di aspettarti che saresti arrivata stasera con la spesa. Non un po’ alla volta».

Sorrido di dolcezza. Allora tu mi avevi capito subito!

Cara la mia bambina, quando ancora non sapevi disegnare le crocine, io avevo già tre figli e cambiato tre case senza nessuna società di traslochi, baby sitter o collaboratrici domestiche. I tuoi denti li ho visti cadere uno a uno e ho fatto la firma sulle tue pagelle. Ho pagato le rette della tua scuola e ti ho allungato quello schiaffo quando sei rientrata dopo l’orario stabilito. Quando non parlavi e piangevi, sapevo che avevi bisogno di essere coccolata e rassicurata. Non facevo tante storie per i tuoi silenzi adolescenziali. Se adesso le orecchie e la testa sono più lente. Porta pazienza. Abbracciami e rassicurami. E la spesa falla quando riesci. L’importante è sapere che posso contare su di te.

Non mi hai detto al telefono tutto questo, ma lo ha sentito il mio cuore dal tuo.

Oggi è la festa dei nonni. Non fate come me. Partite con un abbraccio, la lista della spesa viene fuori dopo.

(Daniela Taiocchi)

Nonna Emerenziana

Mia nonna somiglia alla rosa del Piccolo Principe.

È molto delicata e decisamente esigente. Ogni sabato, chiede di essere accompagnata dalla parrucchiera. Non deve andare da nessuna parte nel weekend, tantomeno in settimana. Ma se viene qualcuno a trovarla, non sia mai che i capelli, i pochi che le rimangono, restino in disordine.
Mia nonna ha avuto tante spine, quando era giovane. E forse un po’ le ha ancora: non le sfugge chi sale le scale e dimentica di salutarla, chi parcheggia davanti a casa senza il suo permesso («Isa, di chi è la macchina lì fuori?»), chi non le dice l’ora in cui esce e l’ora in cui arriva.
Con il tempo, il generale ha lasciato spazio alla bambina un po’ viziata, che alla domanda inquisitoria preferisce un bacio o una carezza.

Mia nonna ha vestito le spose di tutto il paese e ancora oggi ricorda ogni abito, anche quello che ha confezionato tra le lacrime prima di accompagnare mia mamma in Chiesa. Quando una cornice, caduta per sbaglio mentre faceva le pulizie, le ha danneggiato tendine e nervi della mano destra, ha dovuto appoggiare per sempre ago e filo. Accettare che per una volta fossimo noi a prenderci cura di lei.

Nonna Emerenziana è la nonna dal nome troppo strano perché i miei amici possano ricordarlo.
Però la sua torta alla Nutella è rimasta nel cuore di tutti gli invitati alle mie feste di compleanno.
Mia nonna è la radio della Parrocchia a volume troppo alto.
È un paio di gambaletti scuri anche quando fuori ci sono 40 gradi.
È Festa in Piazza alla tv.
È la sveglia che non funziona mai. Le dici che gliela sistemi domani. Ma no. Chissà perché deve sapere sempre che ore sono.

Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa.

(Marialuisa Miraglia)

Nonni Angelo, Carmela, Mena, Sebastiano, Francesca, Lina, Salvatore, Irma e Cornelio

I miei nonni sono come le dita di una mano. Dieci meno uno. Ogni dito racconta la storia di una famiglia allargata, dei legami di sangue e di fatto che superano il tempo e le distanze. I miei nonni sono le rughe che si scavano sul viso, le mani che si stringono prima di partire, un bacio sulla fronte che ha il sapore di un addio. I miei nonni sono nove: l’odore di sugo la domenica, il panino con la Salamella a colazione, un pacchetto di sigarette, il profumo di dopobarba, un nome che ti porti addosso per la vita, una smorfia che ti fa sorridere, il pollo con le patate, una partita a burraco, un cioccolatino donato di nascosto. I miei nonni sono nove come le dita della mano meno uno. E più divento grande e più mi sento come il mignolino che cerca di abbracciarli tutti, mentre il tempo scorre, mentre il tempo fugge...

I miei nonni sono Angelo e Carmela. Da lei ho ereditato il nome, anche se non l’ho mai conosciuta: è morta quando mio padre era molto piccolo.
C’è nonna Mena che è la seconda moglie di nonno Angelo e che a modo suo mi ha fatto da nonna.
Poi ci sono i genitori di mia madre: nonno Sebastiano e nonna Francesca.
Poi ci sono i nonni acquisiti che sono i genitori del compagno di mamma: Lina e Salvatore.
Infine ci sono Irma e Cornelio, che sono i miei nonni del nord.

Li ho elencati così non sembro pazza. O forse sembrerò pazza proprio perché li ho elencati.

(Carmen Pupo)

Nonno Pierino

Alle medie andavo piuttosto bene a scuola. Non ero certamente la prima della classe, ma me la cavavo abbastanza. Credo di aver sviluppato in quegli anni il mio amore per la letteratura e la cultura. C’era però una materia che proprio non sopportavo: musica. O meglio, odiavo con tutta me stessa il flauto dolce che il professor Oscar mi obbligava a suonare ogni settimana. La teoria, al contrario, mi piaceva e prendevo sempre voti altissimi. Studiavo con piacere le opere, i tempi e le vite dei musicisti, anche perché in casa un musicista c’era davvero: mio nonno Pietro, conosciuto da tutti come Pierino.

Lui era l’unico che sopportava le mie infinite (e pessime) ore di studio con il flauto. Sopportava qualsiasi nota stonata e, con una pazienza incredibile, mi correggeva e mi mostrava i giusti passaggi. Ogni pomeriggio così, per almeno due anni. Ancora oggi non so quantificare il dolore che devo avergli procurato in quei momenti. Lui che amava la chitarra e la fisarmonica, lui che canticchiava da mattina a sera e lui che non perdeva occasione per insegnare qualche nota anche ai miei compagni di classe.

Devo ammettere che non ho mai imparato a suonare decentemente il flauto, ma una cosa non mi scorderò mai di quei pomeriggi: il sorriso pieno di amore e di affetto di mio nonno che, anche se sotto sotto sperava che potessi fare qualche nota buona, faceva di tutto per stare con me. Annullava appuntamenti, non usciva di casa, solo per trascorrere il pomeriggio con la sua nipotina.

Al tempo non mi rendevo conto di questa cosa, ora questo pensiero mi commuove sempre di più. Oggi amo infatti il ricordo di quel flauto: in quei pomeriggi ho sentito la musica più bella e dolce della mia vita.

(Laura Arrighetti)

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