C’è chi voleva fare l’astronauta, chi il calciatore e chi il veterinario. Tutti, da ragazzini, fantasticavamo sul nostro lavoro dei sogni. Oggi, le tendenze sono cambiate: una ricerca svolta nel 2023 da Remitly svela che le nuove professioni sono quelle che vanno per la maggiore: i giovani vogliono diventare influencer, DJ, blogger, YouTuber, informatici e sviluppatori, senza disdegnare qualche sognatore che si immagina pilota, scrittore o attore. È un segno dei tempi che cambiano, questo è certo, ma non solo: il mercato del lavoro sta mutando, la scuola deve adeguarsi.
Tra le prime risposte del nostro sistema educativo ci sono i corsi di robotica e di programmazione, pensati per formare ragazzi e ragazze, anche giovanissimi, alle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Spesso, questi corsi vengono trasformati – sempre in relazione alle nuove esigenze educative, che premiano le esperienze ludiche più che l’insegnamento frontale – in piccoli esempi di gamification , all’insegna del motto «imparare giocando»: è così che nelle aule entrano mattoncini LEGO®, api programmabili e automobili radiocomandate. Come funziona l’offerta di corsi di robotica nelle scuole di Bergamo?
Eppen lo ha chiesto a due realtà in prima fila nell’implementazione della robotica nella propria offerta didattica: l’Istituto Comprensivo di Calcinate (che comprende le scuole primarie e secondarie di primo grado di Calcinate, Cavernago, Mornico al Serio e Palosco) e il liceo «Lussana» di Bergamo.
Insegnare il pensiero computazionale
«Il primo obiettivo dei progetti STEM nella scuola primaria è quello di insegnare il pensiero computazionale», ci spiega Anna Firetto, docente che si occupa dei programmi di coding e robotica per l’IC di Calcinate. «Ciò che ci interessa maggiormente è che i ragazzi e le ragazze capiscano come pensa un computer: devono imparare ad affrontare i problemi con un approccio ragionato e per passi, scomponendo i quesiti complessi in parti semplici, per poi risolverle una a una», continua l’insegnante. Si tratta dunque di esercizi di ragionamento, in primo luogo. Facciamo un esempio pratico: provate a scomporre la vostra routine mattutina in azioni semplici. Vi alzate dal letto, poi andate in bagno, vi lavate il viso, indossate i vestiti, fate colazione, vi lavate i denti e così via.
Ma, di nuovo, tutte queste azioni vanno scomposte in movimenti fondamentali: solo per lavare i denti, per esempio, è necessario afferrare lo spazzolino, ma prima di farlo forse è meglio svitare il tappo del dentifricio, poi bisogna aprire il rubinetto, ma senza dimenticare di spremere il dentifricio sulle setole dello spazzolino, e poi ancora occorre muovere quest’ultimo su e giù, a destra e a sinistra per più volte su tutti denti. E non dimenticate di sciacquarvi la bocca, usare il collutorio e il filo interdentale! « La scomposizione delle azioni complesse in problemi fondamentali è difficilissima. È un nuovo modo di pensare, e per questo molto spesso è più immediata per i giovani di quanto non lo sia per gli adulti», riporta Firetto.
Una volta appreso questo metodo di lavoro, con il supporto dei docenti, gli alunni e le alunne lo applicano alla robotica. Nella scuola primaria, gli strumenti utilizzati sono tantissimi: si va dai Blue-Bot, simpatici robottini a forma di ape, fino agli strumenti didattici targati iRobot (sì, la stessa azienda dei robot aspirapolvere!) e agli SpheroBot, di forma sferica. «Ma il lavoro in classe parte dal corpo: agli studenti insegniamo a immaginare il mondo come una griglia, a ordinare le istruzioni da impartire a se stessi e agli altri – come andare avanti, girare su se stessi, curvare e così via – e a orientarsi nello spazio. Il primo “robot” che usiamo sono le ragazze e i ragazzi stessi, che si muovono su appositi tabelloni a griglia secondo un approccio ludico che si lega a discipline come matematica, scienze e geografia». All’inizio, insomma, si apprende a formulare le istruzioni in modo corretto; solo poi si passa all’azione con i robot.
In mezzo, c’è il coding, ossia la scrittura dei set di comandi in un linguaggio comprensibile per le macchine. Ovviamente, alle scuole elementari e medie non si programma davvero – lo si fa alle superiori, al più – ma ci sono comunque degli strumenti “a blocchi” che permettono di traslare il pensiero computazionale dalla mente dello studente alla scheda madre del robot: «Generalmente utilizziamo strumenti basati su “Scratch” per la programmazione. Nelle classi più basse, siamo noi docenti a disegnare le istruzioni e a chiedere agli studenti di metterle in ordine. Più avanti, anche la scrittura del codice viene eseguita direttamente dagli alunni », conclude la docente dell’IC di Calcinate.
Che tempo fa a Tokyo?
Lo stesso approccio indirizza anche il lavoro dei docenti delle scuole medie: «Quando organizziamo la restituzione del lavoro svolto ai genitori, uno dei progetti che più ci piace mostrare riguarda un robottino con una penna integrata, che scrive lettere e simboli sulla base del codice scritto dai ragazzi. La prova più difficile è quella che chiede di disegnare la lettera “A”: bisogna ricordarsi di indicare al robot gli angoli di rotazione, le distanze da percorrere e persino quando abbassare e sollevare la punta della penna. Tanti genitori ci dicono che non riuscirebbero mai a farlo, almeno non senza la guida dei figli e delle figlie, che hanno imparato il pensiero computazionale in classe», esordisce Silvia Ghezzi, che insegna matematica all’IC di Calcinate.
Alle scuole medie, insomma, i programmi STEM compiono un enorme passo in avanti: dalla sperimentazione sul corpo e sui robot più semplici si passa alla programmazione a blocchi, per quanto semplificata, secondo linguaggi matematici. Non solo: c’è anche il salto verso robot e macchine sempre più complesse, tra cui quelle targate LEGO®. «Il bello dei mattoncini – precisa Ghezzi – è che permettono una libertà enorme di approcci: chi ama raccontare storie può farlo costruendo i propri modellini che si muovono, ma c’è anche la possibilità di focalizzarsi su oggetti molto concreti, come le macchinine».
Uno dei progetti realizzati con i robot LEGO® nell’ambito della progettazione STEM dell’istituto della bassa bergamasca, per esempio, è un piccolo robot umanoide dotato di ombrello, che viene alzato e abbassato a seconda del meteo. E non solo del meteo di Calcinate o Palosco: «L’utente può porre al dispositivo domande come “che tempo fa a Tokyo?”: il robot si connette a internet, verifica i dati in tempo reale e alza l’ombrello se sta piovendo o lo abbassa se c’è il sole», aggiunge Ghezzi, che continua: «La cosa più bella del lavoro con i LEGO® è che ti impone di fare due cose allo stesso tempo. In primo luogo, devi imparare a seguire le istruzioni, passando spesso dal mondo bidimensionale a quello tridimensionale, cosa tutt’altro che scontata, a quell’età. Poi, è necessario adottare un approccio che scompone i problemi per gestirli consapevolmente. È un’abilità utilissima anche nella vita di tutti i giorni, che aiuta a ridurre l’ansia sui ragazzi e sulle ragazze, ma non solo. Se devo preparare un pranzo per dieci persone vado nel panico. Se decostruisco il problema e penso che devo prima fare la spesa, poi preparare la tavola, poi cucinare l’antipasto, il primo e il secondo mi sento in grado di controllare la situazione: sono più tranquilla».
Alcuni studenti, addirittura, hanno adottato un approccio più narrativo, inventandosi un racconto con un cane-robot, replicato nel mondo reale proprio attraverso i mattoncini danesi: «i LEGO® sono utili perché ci permettono di assecondare le aspirazioni degli alunni: chi ama le discipline umanistiche può usare i robot per raccontare storie, chi è più scientifico può sbizzarrirsi con sensori e costruzioni tecniche», conclude la docente.
Programmazione, robotica… e non solo!
Alle superiori, l’approccio alle discipline STEM si fa più competitivo, ma non per questo meno giocoso. Per diversi istituti e indirizzi, ovviamente, l’informatica diventa una disciplina curricolare, perciò la programmazione viene insegnata al pari della letteratura italiana, della fisica e dell’inglese. Per i curricula a indirizzo scientifico e informatico (si va dai licei delle scienze applicate agli ITIS), l’offerta complementare alla didattica prevede l’iscrizione a gare e concorsi di robotica. «Il nostro liceo partecipa a competizioni individuali e a squadre, in cui la robotica e la programmazione sono fondamentali, ma si ibridano alle altri materie di studio», ci racconta Lucia Molinari, che insegna informatica al liceo scientifico «Lussana» di Bergamo. «Per noi, la robotica significa costruire e organizzare un robot - nella maggior parte dei casi fatto di mattoncini LEGO® - con bracci, ruote e sensori. Poi c’è una parte più prettamente scientifica: attorno a ogni robot viene implementato un piccolo progetto scientifico, in linea con i temi dei concorsi nazionali dell’anno. Per esempio, nel 2024 il tema era “scienza e arte”: le nostre squadre sono arrivate in finale, e una ha visto il suo progetto scientifico selezionato tra i migliori in concorso».
L’obiettivo finale è semplice: migliorare le competenze non solo nella robotica, ma anche nella programmazione e nel pensiero interdisciplinare, permettendo ai ragazzi più abili di cimentarsi con linguaggi di programmazione avanzati come Phyton. «L’anno scorso, i nostri studenti hanno costruito dei quadri per non vedenti, sfruttando una serie di competenze trasversali che vanno dalla robotica all’automazione e dalla programmazione alla stampa 3D: crediamo che queste abilità li aiuteranno molto, nel mondo del lavoro».