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Narges Mohammadi, un Nobel per la pace al grido di «Donna, Vita, Libertà»

Articolo. È notizia di pochi giorni fa la condanna a diversi anni di prigione di Elaheh Mohammadi e Nilougar Hamedi, due giornaliste iraniane da mesi in carcere per aver contribuito a rivelare al mondo il caso di Mahsa Amini. L’impegno di Narges Mohammadi, l’attivista per i diritti umani detenuta in Iran che quest’anno ha vinto il Nobel per la pace, rappresenta anche loro. E il coraggio di tutte le donne iraniane

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Narges Mohammadi (Foto Reihane Taravati)

«Lo slogan delle proteste in Iran, che è “Donna, Vita, Libertà”, esprime correttamente l’altruismo di Narges Mohammadi che lotta per la discriminazione sistematica e l’oppressione contro le donne». Berit Reiss-Andersen, presidente del Comitato per il Nobel norvegese, ha insignito Narges Mohammadi del Nobel per la pace per le sue campagne contro la Repubblica Islamica, per la difesa dei diritti delle donne iraniane e per il suo tentativo di promuovere la libertà dei cittadini iraniani.

Prima di lei, nel 2003, anche Shirin Ebadi aveva ricevuto il premio Nobel per la pace in quanto attivista iraniana per i diritti umani.

Negli ultimi due decenni, Narges ha dovuto affrontare dure pene nelle carceri iraniane e vessazioni da parte del governo. Portavoce dei difensori iraniani dei diritti umani, è stata arrestata l’ultima volta nel novembre del 2022 e da allora è reclusa nella prigione di Evin. In prigione, Narges Mohammadi non ha interrotto le sue attività politiche continuando a pubblicare lettere dal carcere, protestando contro le azioni delle autorità della Repubblica islamica, denunciando la terribile situazione delle donne prigioniere e la tortura o gli abusi sui prigionieri politici e ideologici.

Nella sua ultima protesta, per esempio, ha chiesto alla comunità internazionale di non rimanere in silenzio davanti alla situazione di Armita Geravand, un’adolescente che sarebbe stata aggredita fisicamente e ridotta in fin di vita per essersi opposta all’hijab obbligatorio. Mohammadi interpreta l’obbligo di indossare l’hijab come un «complotto del governo religioso e antifemminista per dominare le donne ed escluderle dall’arena pubblica» e dice: «Ora il mondo è testimone che il potere del rifiuto delle donne ha spezzato il potere tirannico del governo religioso e le donne hanno raggiunto una posizione storica».

Il comitato per il Nobel ha espresso la speranza che Narges venga rilasciata in modo che possa partecipare alla cerimonia di premiazione. Dopo la notizia di questo riconoscimento, però, i media affiliati alla Repubblica islamica l’hanno presentata come «una delle figure attive nelle azioni sovversive contro la Repubblica islamica» e hanno cercato di sminuire il Nobel per la pace.

Un passo indietro: la storia di Narges Mohammadi

Narges Mohammadi è nata nell’aprile del 1972. Laureata in fisica, ha iniziato la sua attività di monitoraggio dei diritti umani e di protesta già durante gli anni universitari. Nel 1999 ha sposato Taghi Rahmani, un attivista nazional-religioso ed ex prigioniero politico che ha trascorso più di 14 anni in prigione negli anni successivi alla rivoluzione islamica. Da lui ha avuto due figli. Dopo che la madre è stata imprigionata, i figli hanno lasciato l’Iran e hanno raggiunto il padre in Francia.

Narges Mohammadi è stata arrestata per la prima volta nel 2011 come vicepresidente e portavoce dei difensori dei diritti umani, cosa che ha portato il suo nome alla ribalta. Oggi, Mohammadi è infatti una tra i quindici attivisti politici e civili iraniani che considerano il governo iraniano «irriformabile» e hanno chiesto che si tenesse un referendum sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Nel febbraio del 2018, Narges ha anche chiesto al popolo iraniano di non partecipare alle elezioni locali.

Durante la prigionia, inoltre, ha inviato una lettera al relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Iran, Javed Rahman, accusando il governo iraniano di usare la «violenza sessuale» come parte del piano di repressione delle donne che protestano. La lettera, insieme ad altri quattro casi, ha portato all’apertura di un nuovo procedimento contro Narges con l’accusa di «propaganda contro il regime mediante dichiarazioni dall’interno del carcere».

A settembre Narges, che da anni non osserva l’obbligo di indossare l’hijab, è stata aggredita da agenti repressivi per essersi presentata a capo scoperto alla presenza dei funzionari della prigione di Evin. Il marito Rahmani ha denunciato più volte la situazione in cui versa la madre dei suoi figli, dicendo che non le è concesso nemmeno di sentirli per telefono. Rahmani ha scritto sulla sua pagina Instagram: «Narges, mia moglie, è un’attivista per i diritti umani che è attualmente in prigione. Ha già scontato 7 anni di prigione e ora deve scontarne 8 e mezzo». Ma anche dalla prigione, Narges sostiene le lotte del popolo iraniano considerandolo un suo dovere.

La sua coraggiosa battaglia ha avuto un grande costo personale. Il regime l’ha arrestata complessivamente 13 volte, condannandola cinque volte a 31 anni di carcere e 154 frustate. Per il suo impegno, Narges ha ricevuto numerosi premi internazionali tra cui il Premio Sakharov dell’American Physical Society nel 2018, il Premio Alexander Langer nel 2009 e il Premio per la Giornata mondiale della libertà di stampa nel 2016.

Perché Narges rappresenta tutte le donne iraniane

Nel settembre del 2022, una giovane donna curda di nome Mahsa Amini è stata uccisa mentre era sotto custodia della polizia iraniana per la sicurezza morale. Il suo omicidio ha scatenato le più grandi manifestazioni politiche contro la teocrazia iraniana da quando il regime è salito al potere nel 1979.

Al grido di «Donna, Vita, Libertà», centinaia di migliaia di iraniani hanno partecipato a manifestazioni pacifiche contro la violenza e l’oppressione delle autorità contro le donne. Il regime ha represso duramente le proteste: sono stati uccisi più di 500 manifestanti. Migliaia sono rimasti feriti, molti dei quali accecati da proiettili di plastica sparati dalla polizia. Almeno ventimila persone sono state arrestate e detenute dal regime.

«Donna, vita, libertà», lo slogan scelto dai manifestanti, esprime correttamente la dedizione e il lavoro di Narges Mohammadi.

«Donna», perché si combatte per le donne contro la discriminazione e l’oppressione sistematiche. «Vita», perché si sostiene la lotta delle donne per il diritto ad avere una vita piena e dignitosa. Questa lotta ha inasprito vessazioni, incarcerazioni, torture e ha disseminato morte tra i protestanti in tutto l’Iran. «Libertà», perché si lotta per la libertà di parola e il diritto all’indipendenza, e contro le leggi che impongono alle donne di essere invisibili, quasi prive di diritti e di coprire il proprio corpo. La richiesta di libertà, espressa dai manifestanti, non riguarda solo le donne, ma tutta la popolazione.

Narges non è l’unica ad essere reclusa a causa della sua attività per i diritti umani, molti altri vivono la stessa condizione come Kivan Samimi, Saeed Madani, Mustafa Nili, Hassan Younisi. Ora, dopo 20 anni, Narges Mohammadi è la seconda persona iraniana a vincere il Nobel per la pace, un premio che ha riaperto la speranza nel cuore degli iraniani. Dimostra infatti che forse altri Paesi hanno creduto nei loro diritti e nella loro richiesta di libertà.

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