Perché nel periodo natalizio, accanto a pandori e panettoni, si mangia un dolce che sembra un tronco d’albero? Il tronchetto di Natale, pur essendo di per sé un dolce piuttosto recente (nacque in Francia, nel secolo scorso), ha una sua ragion d’essere antichissima e riprende la tradizione del ceppo di Natale.
È una delle più antiche usanze natalizie, diffusa in tutta Europa: la Vigilia ci si riuniva intorno al camino e si faceva bruciare un grosso ciocco di legno, che doveva ardere il più possibile, possibilmente fino all’Epifania. «Quand’ero ragazzo, nella notte di Natale si stava su a veglia novellando attorno al ceppo tradizionale ed a gran fiammate di crepitanti ginepri, le quali, come si diceva a noi ragazzi, doveano servire ad asciugare i pannolini del Bambin Gesù», riporta Antonio Tiraboschi ne «L’anno festivo bergamasco». Come si legge dalle testimonianze raccolte dal nostro concittadino, il ceppo è inserito nella tradizione cristiana, ma ha probabili origini precristiane, verosimilmente legate al solstizio d’inverno. Lo si vede anche dalle proprietà magiche attribuite ai resti del ceppo: «Prima di andare a letto si raccoglievano, e quest’uso dura tuttora in parecchi luoghi della provincia, gli avanzi carbonizzati del ceppo per essere adoperati in date circostanze come talismano; con quei carboni si fanno de’ segni cabalistici sui palchi de’ bigatti e si accende il primo fuoco nelle bigattiere per tenerne lontano le formiche e per scacciarne le influenze maligne», riporta sempre «L’anno festivo bergamasco». Il riferimento è alla bachicoltura, attività tanto fondamentale per l’economia bergamasca.
Ora tutto è cambiato, a partire dalle nostre stesse case, dove non arde più il “fuoco domestico” del camino, per millenni l’essenza stessa del focolare. Si sono trasformati gli elementi simbolico-celebrativi: dal ceppo che arde all’albero di Natale con le lucine. E dell’antico grosso ciocco di legna rimane un rotolino di pasta biscotto, ricoperta di cioccolata.
