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Psicogeografie: cerchiamo di vedere le sfumature per capire la ricchezza della diversità

Articolo. Negli ultimi anni, i social media hanno contribuito a creare una crescente polarizzazione delle opinioni. Per superare questa scissione dobbiamo però provare a vedere la realtà non solo in bianco e nero, ma con le sue infinite variazioni di colore

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In Toscana, qualche chilometro di Via Francigena (la più famosa via di pellegrinaggio in Italia) costeggia una ferrovia. Mi affascinano sempre le ferrovie, un po’ perché adoro viaggiare in treno, un po’ perché evocano in me memorie di viaggi non miei, fra libri letti di autori della beat generation, canzoni dei Nomadi e ricordi di lunghi tratti in cammino percorsi su ferrovie dismesse e variamente adattate ad accogliere viandanti a piedi. Questa volta l’immagine di due rette parallele ha evocato in me una riflessione sui tempi che stiamo vivendo.

Negli ultimi anni, i social media hanno contribuito a creare una crescente polarizzazione delle opinioni: l’algoritmo facilità questo schieramento polarizzato, un comportamento bipolare, come viene descritto nel documentario «The Social Dilemma», che crea due posizioni contrapposte senza possibilità di mediazione. Tutto questo si è inasprito durante la pandemia, in cui l’opinione si è divisa di volta in volta fra “corridori” e chi stava a casa, chi era a favore del vaccino o contro, eccetera. Da quel momento in poi, ho l’impressione che questa tendenza a dividersi in due fazioni sia rimasta sempre presente: Russia o Ucraina, Israele o Palestina, senza possibilità di una visione più ampia e complessa.

Questa scissione ha anche una radice culturale, almeno secondo la psicologia junghiana. La psiche di una cultura si costruirebbe infatti sul mito di creazione di quella cultura, e il nostro mito procede in una sequenza di separazioni in coppie di opposti: luce e tenebre, terre e acque, fino a bene e male, dio e diavolo, senza nulla in mezzo. Una semplificazione estrema che psichicamente può portare a estreme conseguenze: o con me o contro di me, ciò che è diverso da me mi è nemico. Sembra che abbiamo sviluppato una tendenza a essere pro o contro qualsiasi cosa, in una logica dualista, in cui manca il terzo. Un continuo gioco a somma zero, mentre sarebbe più utile e positivo provare a cercare la somma positiva , specialmente nelle relazioni: coppia, amicizia, squadra, o se si amministra un bene comune. Spiacevole esempio di questo comportamento ne danno frequentemente politici, più avvezzi a scagliarsi contro la parte opposta che a guardare al bene comune, ma la stessa dinamica avviene anche nelle coppie, quando si perde di vista il bene comune e ci si impegna a “vincere” una discussione a scapito della coppia.

Possiamo vivere qualcosa di simile anche nella nostra vita personale, quando passiamo da un estremo all’altro, come può capitare per esempio con le passioni che, in alcune fasi della vita, occupano ogni istante libero e poi, in altri momenti, quasi detestiamo. Oppure l’amore per qualcuno che si trasforma in odio. Carl Gustav Jung definiva questa tendenza a precipitare da un opposto all’altro «enantiodromia» e proponeva come possibile soluzione alternativa a un oscillare eterno la «funzione trascendente», la capacità di resistere e restare nello sforzo e nella tensione fra i due opposti. Da questa tensione può nascere un terzo che non era visibile prima: questo ha il potere di unificare, di tenere assieme opposti inconciliabili, è il simbolo. Prendendo come simbolo e metafora di questa dinamica «Il pozzo e il pendolo» di Edgard Allan Poe, il pendolo è la tendenza alla unilaterale e alternata fissazione in un opposto, che porterebbe a una letteraria “scissone” del protagonista, legato e imprigionato. Il pozzo è l’enantiodromia, l’abisso in cui si rischia di cadere se si cerca di evitare il dilemma, e il simbolo è la salvezza che arriva inaspettata quando tutto sembra perduto.

Sembra esistere in noi, insomma, una tendenza a schierarsi a favore di un estremo o del suo opposto e a vedere il mondo diviso in due poli, ignorando ciò che sta in mezzo. Ma fra bianco e nero esistono infinite variazioni di grigio, e inoltre esistono tutti gli altri colori dello spettro visibile (e, per essere pignoli, anche quelli che non riusciamo a percepire per i limiti del nostro apparato visivo). La realtà non è una medaglia con solo due lati (più il bordo), ma una sfera con infinite facce (devo questa immagine a una persona che conobbi una decina di anni fa, che ringrazio). In psicologia è ormai ampiamente condiviso che molte delle categorie in cui si era soliti dividere le sfaccettature della psiche (come intelligenza, personalità, orientamento, alcuni tratti che possono diventare disturbi, per fare alcuni esempi) sono artificiali ed è molto più utile considerare queste dimensioni come uno spettro di sfumature fra due estremi. Possiamo quindi provare a vedere la realtà non in bianco e nero, ma coglierne tutte le sfumature, passare da una visione duale a una che provi a cogliere lo spettro.

Il rischio è di continuare a fare come i binari paralleli che stanno a poca distanza senza mai incontrarsi, perdendo per strada l’umanità. Forse il terzo invisibile, in questo caso, è la volontà di muoversi, andare oltre e seguire la via per vedere se raggiungiamo, passo dopo passo, il punto in cui due linee si incontrano. L’importante è mettersi in moto, fare qualche passo verso l’utopia che, come scriveva Eduardo Galeano «è all’orizzonte. […] Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare».

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