Tra settembre e ottobre molti spazi a Bergamo – dal parco della Malpensata all’oratorio dell’Immacolata, fino a diversi paesini in provincia – sono stati teatro di swap parties , letteralmente i cari e vecchi «baratti», che coinvolgono sempre più persone. Ma che cosa è di preciso uno swap party? Dove nasce la loro fama? E, soprattutto, come organizzarne uno?
Swap Party è un termine americano che affonda le radici nella New York di inizio XXI secolo, come diretta conseguenza della crisi finanziaria del 2008. Con un’economia bloccata, che mutò presto in una recessione globale, nei distretti della Grande Mela nacque la pratica di scambiare abiti e oggetti usati per contrastare la diminuzione del potere d’acquisto. Nei parchi, nelle case private, attraverso associazioni no profit… un gesto semplice, informale, che promuove allo stesso tempo risparmio, sostenibilità e socializzazione.
Diffuso da qualche anno anche in Italia, è un’opportunità per liberarsi degli oggetti inutilizzati e per ottenere qualcosa di “nuovo” in cambio, senza spendere e senza gravare sul Pianeta. Un forte esempio di economia circolare, in cui la moneta è abolita. In pochi anni, anche in bergamasca, questi eventi si sono trasformati da semplici scambi a delle feste organizzate. Ad accomunare chi partecipa a questi baratti c’è un concreto spirito ambientalista, perché scambiare anziché acquistare del nuovo è boicottare la moda veloce e a basso costo, responsabile del 10% delle emissioni globali di CO2.
Poche regole, molti vantaggi
La logica alla base di uno swap party è intuitiva: porti capi di abbigliamento o oggetti ancora in buono stato che non usi più e ne pendi in cambio altri. Ma dove si organizza? E come fare? Le regole sono poche e semplici, e possono variare da evento a evento. Alcuni swap hanno meno vincoli e non c’è un limite di capi d’abbigliamento che si possono portare o prendere; altri indicano un tetto simbolico e basano gli scambi su monete fittizie (bottoni, per esempio!). Tuttavia – e qui parlo per esperienza personale, da felice frequentatrice di baratti – le direttive non sono mai stringenti. Come si dice? Con la gentilezza si va ovunque. Chiedendo, la maggior parte delle volte, potrete portare a casa quel capo in più che vi fa battere il cuore anche se avrete finito le monete di scambio.
Per organizzare uno swap party è necessario un luogo dedicato, che sia una stanza della casa per un momento con amici o uno spazio pubblico se si vogliono organizzare le cose in grande. Qualche tavolo è comodo per disporre i vestiti e gli accessori, e qui spazio alla fantasia: ci si può attrezzare con specchi, espositori, o anche camerini improvvisati. Ravvivare il guardaroba grazie al baratto è una splendida opportunità, ma provare i vestiti prima di portarli nel proprio armadio è indispensabile per individuare la giusta taglia e vestibilità. In caso contrario rischieremmo di accaparrarci un vestito che finirà per non essere mai più indossato. Si può organizzare uno scambio in qualsiasi periodo dell’anno, ma i mesi più indicati sono quelli del cambio stagione, o durante l’estate per approfittare degli spazi aperti.
A conclusione degli swap party organizzati da associazioni (come La Terza Piuma o Progetto Triciclo a Bergamo) i vestiti che non sono stati scambiati vengono conservati dall’associazione stessa per programmi di recupero o per i successivi “baratti”. Quindi non per forza si devono rintracciare tutti gli abiti che sono stati portati ma non scambiati, a meno che si voglia riportarli a casa. Quando lo swap è più piccolo, familiare, invece a voi la scelta: ognuno riporta a casa i propri capi che non sono stati swappati? C’è chi si occupa di raccoglierli e portarli in un negozio dell’usato?
Gli swap parties hanno poche regole, in nome della semplicità e del buon senso. Perché quando si donano o si prendono a gratis dei capi di abbigliamento vige il codice aureo: dovrebbe essere tutto in ottimo stato, nel rispetto degli altri partecipanti. Quindi evitate di portare t-shirt bucate (possono diventare ottimi stracci, se vogliamo toglierle dall’armadio), o accessori a cui manca un pezzo. Non sono solo uno scambio di beni, ma un’occasione per socializzare, chiacchierare, scoprire nuove realtà. Perché, parallelamente agli swap, soprattutto in estate, ci sono mercatini dell’artigianato, piccoli concerti, o merende solidali. Lo spirito del baratto nasce da un vero e proprio incontro di comunità, per una cultura del riuso che parte dal basso, dal quotidiano, dai gesti più semplici.
Partecipare a un “baratto” non è solo un’occasione per dare nuova vita a vestiti e accessori che non usiamo più. Si possono scambiare libri già letti, giochi in scatola… persino piante! Questa filosofia si estende a tutto ciò che può essere riutilizzato e amato da qualcun altro. Basta poco perché un smetta di essere un semplice bene di consumo e diventa una storia che si tramanda, un gesto concreto di rispetto verso l’ambiente.
Gli swap sono comodissimi e utili anche per scambiare vestiti e accessori per i più piccoli, perché risponde in modo pratico a un’esigenza che ogni genitore conosce alla perfezione: bambini e bambine crescono in fretta, e ciò che oggi calza alla perfezione, domani è già troppo piccolo. Giacchine, scarpe, maglioncini, giochi o passeggini: trovare qualcosa di usato è un grande risparmio, in un periodo della vita in cui gli investimenti economici sono già molti. Insegnare ai più piccoli il valore del riuso è una lezione preziosa: mostra che la felicità non sta nel comprare sempre l’ultimo modello, ma nel dare una seconda vita a ciò che già esiste.
Perché swappare fa bene
In un’epoca in cui la fast fashion (la moda veloce e a basso prezzo della grande maggioranza dei marchi che troviamo nei centri commerciali) è sempre più aggressiva, scegliere l’economia circolare aiuta a ridurre anche la propria impronta ecologica, il nostro impatto sull’ambiente. Basti pensare che dal 2000 a oggi la produzione legata alla fast fashion è raddoppiata, mentre la popolazione mondiale è aumentata solo del 28%. Le aziende che vent’anni fa portavano sul mercato due collezioni l’anno, nel 2011 ne offrivano ben cinque, con picchi di ventiquattro collezioni all’anno per alcuni colossi.
C’è poi un altro tipo di guadagno, meno evidente ma ben più di valore: quello umano e relazionale. Quello che arricchisce l’anima, crea comunità, traccia un sentiero comune. L’incontrare chi condivide la stessa voglia di cambiamento, chiacchierare con chi ha la medesima visione di un mondo più verde, scoprire la storia dietro all’abito o al libro scambiato. Un modo alternativo — e più autentico — di fare economia.
