La bellezza è un concetto vago, inafferrabile. Di bellezza si parla così tanto che forse, del suo significato, ci siamo dimenticati. «La bellezza vuol dire, secondo me, ritorno alla vita. È tutto ciò che è una corrispondenza di armonie». Le parole sono di Lucilla Giagnoni, che raggiungo al telefono la sera dell’11 settembre, ventiquattro anni esatti da uno dei momenti che più hanno inciso sulla sua vita e sul suo percorso artistico. Allora, di fronte alle immagini delle torri e delle fiamme, l’attrice, sceneggiatrice e autrice fiorentina si è sentita chiamata, per citare il finale de «Le città invisibili» di Calvino, a «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
«In una prospettiva cosmica – spiega – ciò che stiamo vivendo, le guerre, le violenze, sono uno sradicamento forzato della vita da parte dell’essere umano. Le torri che precipitano sono davvero un’immagine dello sradicamento della vita, della bellezza. Io avevo bisogno di parole di bellezza per uscire dall’inferno e lì è nata la mia ricerca su Dante».
Questa ricerca, nel tempo, si è ampliata e approfondita. Al trauma dell’11 settembre si sono aggiunti altri “inferni”: la pandemia del 2020, nuove guerre, «gratuite e inutili», altri sradicamenti, altre ferite. Eppure, nonostante tutto, Lucilla Giagnoni non ha mai smesso di dare spazio alla bellezza. È con questo obiettivo che nasce anche «La bellezza infonde gioia», meditazione teatrale scritta in occasione dell’apertura del nuovo Museo Diocesano Adriano Bernareggi . «L’ho impostata su quella stessa logica di una porta, una finestra che si apre sulla bellezza, in un mondo dove tutte le finestre, tutte le porte sulla bellezza sembrano chiudersi una dopo l’altra».
Lucilla Giagnoni sarà una delle protagoniste della grande festa con cui il museo ha scelto di presentarsi al pubblico, sabato 27 settembre. L’antico palazzo episcopale, nei mesi scorsi oggetto di un notevole intervento di recupero e restauro, accoglierà il meglio del patrimonio di arte sacra bergamasco: 60 opere d’arte che coprono un arco temporale dal Trecento al Novecento, dalla scultura medievale a Lorenzo Lotto e Andrea Previtali, da Giovan Battista Moroni a Carlo Ceresa ed Evaristo Baschenis, fino a Manzù e Scorzelli. Non sarà un contenitore chiuso, ma uno spazio vivo aperto all’incontro e al dialogo con il territorio: non mancheranno infatti opere provenienti da alcune parrocchie della Diocesi, che verranno esposte temporaneamente.
«La bellezza ha tanti volti e tante voci e metterle insieme ci permette di raccontare la multiforme bellezza della creazione, che è riflesso di quella del Creatore» ha detto il direttore del museo don Davide Rota Conti. L’appuntamento è allora a sabato mattina con il taglio del nastro alla presenza del vescovo Mons. Francesco Beschi e delle istituzioni, seguito da un omaggio teatrale di Giovanni Soldani ad Adriano Bernareggi, che fu vescovo della Diocesi di Bergamo fino al 1953 e grande studioso d’arte.
Dalle 14.30 in poi avrà inizio la vera e propria festa diffusa: dai sagrati delle chiese di Sant’Agata nel Carmine, Sant’Andrea in Porta Dipinta e San Pancrazio partiranno tre cortei accompagnati dalle bande musicali di Casazza, Gaverina Terme, Lovere e Curnasco. Le processioni confluiranno in piazza Duomo, dove si terrà la meditazione teatrale scritta da Giagnoni insieme a Maria Grazia Panigada, direttrice artistica della stagione di prosa del Teatro Donizetti.
Da San Francesco a Dante
La prima poesia sulla bellezza in lingua italiana è il Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi: è da qui che Lucilla Giagnoni ha scelto di partire. «È il primo grande ragionamento sulla bellezza, perché è un’adorazione, c’è un atteggiamento contemplativo, ma attivo anche: di tutta la natura San Francesco vede la sua azione. San Francesco ripete spesso l’aggettivo “bello”: “clarite et pretiose et belle”. E poi la bellezza per me è sempre stata Dante, il XXXIII Canto del Paradiso: “Vergine Madre, figlia del tuo figlio”… Il mio perlustrare la bellezza passa attraverso la poesia e la grande poesia in un tempo, il Medioevo, dove si era pellegrini nel mondo».
Le parole dell’attrice richiamano non a caso il motto del Giubileo 2025: «Pellegrini di Speranza». «Quella della speranza è una dimensione che stiamo dimenticando – spiega – Stiamo perdendo speranza, non siamo più pellegrini sulla terra. Pellegrino vuol dire “chi si muove con la disponibilità di accogliere ciò che avverrà”. Non è il turista il pellegrino, non è uno che vuole andare, vedere un posto e possederlo, consumarlo. La Divina Commedia è il pellegrinaggio per eccellenza, porta a una trasformazione. Il pellegrino del Medioevo era capace di cogliere la bellezza del creato, saperla cantare e lodare. Così San Francesco, così Dante Alighieri».
Lorenzo Lotto e l’unione degli opposti
Per scrivere la sua meditazione teatrale, Lucilla Giagnoni si è ispirata ad alcune opere esposte all’interno del Bernareggi, in particolare alla Pala di San Bernardino, tra i dipinti più importanti che il pittore veneto Lorenzo Lotto realizzò a Bergamo, nel 1521, per l’altare maggiore della chiesa di San Bernardino in Pignolo.
«Abbiamo deciso di concentrarci sulla Pala di San Bernardino perché lì si incarnano tutta una serie di linee narrative che emergono quando rifletto sulla bellezza: la manifestazione del creato, l’armonia degli opposti, la generatività madre-figlio. La scena che Lotto dipinge è epifanica, come una manifestazione teatrale: un gruppo di angeli danza in mezzo alla natura, tiene un velo verde, che è molto teatrale, ma lo fa su una struttura estremamente solida di pietra. Lotto riesce a unire leggerezza e pesantezza. E poi, c’è la Vergine col bambino. La madre tiene il bambino in braccio, ma lui è libero, sta per camminare. Va verso il mondo, ha una sua storia. La madre sa che cosa dovrà affrontare il bambino eppure è lì, con il suo sì. La Vergine “figlia del tuo figlio” ci riporta a quella “coniunctio oppositorum” di Dante, quella congiunzione armonica degli opposti, che dice di più di tanta teologia. In un mondo, quello di oggi, dove gli opposti si distruggono, lei riesce a metterli insieme, a unire l’impossibile».
Il titolo della meditazione teatrale è ispirato ad alcune parole che Papa Paolo VI rivolse agli artisti, nel 1965: «La bellezza, come la verità, infonde gioia». Come sottolinea l’attrice, «quando al mondo sembrano venire meno le parole, gli artisti hanno il compito di cercare e mostrare l’uscita dall’inferno».
Davanti a questa chiamata, profondamente umana, non c’è intelligenza artificiale che tenga. «L’intelligenza artificiale sarà uno strumento fantastico, ma noi abbiamo bisogno di esperienza. Abbiamo bisogno di nutrimento e di vita, di una relazione autentica con le persone. L’arte cerca questa autenticità. L’arte è la risposta autentica alla tecnologia. I greci chiamavano “techne” sia l’arte che la tecnologia, intendendo entrambi come strumenti. Adesso viviamo in un momento storico in cui la tecnologia è un mondo, non è più uno strumento. Quindi abbiamo bisogno di quell’altro mondo: quello dell’autenticità. L’arte, dentro a quel mondo, cercava una verità più profonda. La tecnica non va verso la verità, ma verso la separazione dalla verità».
Se l’arte e la bellezza sono la strada verso la verità, all’essere umano, che è limitato, la verità resta però irraggiungibile. «La verità confina con il mistero – continua Giagnoni – Il mistero è quello che irradia, lo vuoi chiamare Dio, lo vuoi chiamare radice della vita, acqua della vita, potrebbe avere mille nomi, la parola “mistero” li accoglie un po’ tutti. La bellezza ha a che fare col mistero. E del mistero non può parlare nessuno». Anche Dante, il Sommo Poeta, davanti all’«amor che move il sole e le altre stelle», non ha parole.
La festa prosegue con le visite al museo anche il 28 settembre
Paolo Pizzimenti, compagno di vita e professionale di Lucilla Giagnoni, ha composto la musica finale della meditazione («Le mie parole sono sempre intrecciate al suo lavoro» rivela Giagnoni). Al termine, il TTB – Teatro Tascabile di Bergamo, affiancato da Silence Teatro e Circolo dei Narratori di Bergamo, proporrà un’azione scenica ispirata a sua volta alla Pala di San Bernardino del Lotto, che proprio nella nostra città, del resto, visse i dieci anni più felici della sua vita.
Dalle 17 alle 24, il Bernareggi sarà aperto con ingresso gratuito e visite a piccoli gruppi. Il giorno successivo, domenica 28 settembre, sarà visitabile dalle 10 alle 18, con visite guidate ogni 30 minuti, curate dai giovani di Le Vie del Sacro, dagli educatori della Fondazione Bernareggi e dagli utenti e dagli educatori del Laboratorio Tantemani, in collaborazione con l’Ufficio diocesano per la Pastorale delle persone con disabilità.
La prenotazione alla grande festa di inaugurazione del museo è obbligatoria a questo link .