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«Educare è amare»: «BergamoIncontra» si interroga sul futuro della scuola e dei giovani

Articolo. Sabato 18 ottobre alle 18.15 il ChorusLife di Bergamo ospiterà l’incontro tra il rettore della «Traccia» Francesco Fadigati ed Eraldo Affinati, scrittore e insegnante

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La scuola ha bisogno di un rinnovamento, perché il mondo corre veloce e la società si evolve costantemente. É impossibile rimanere ancorati a metodi pensati nel secolo scorso, con il nozionismo in prima posizione a discapito dell’Educazione con la «E» maiuscola. La scuola non deve insegnare semplicemente, ma educare nel vero senso della parola, dando valore agli studenti e al loro futuro.

Ne è convinto Francesco Fadigati, rettore della scuola «La Traccia» di Calcinate e protagonista di «Educare è amare», incontro inserito nel palinsesto dell’edizione 2025 di « BergamoIncontra ». L’evento, in programma sabato 18 ottobre alle 18.15 al ChorusLife di Bergamo, vedrà il docente dialogare con Eraldo Affinati, scrittore e insegnante, nonché cofondatore della Scuola Penny Wirton, per tracciare il futuro della scuola, sempre più a misura di studente.

«Per il mio intervento – spiega il rettore – vorrei partire dall’analizzare quanto proposto da don Giussani nel volume “Il rischio educativo”, uno sguardo che il mio istituto segue sin dalla sua nascita, frutto dell’incontro fra Franco Nembrini e i genitori del territorio che chiedevano una scuola che valorizzasse la persona, permettendo di comunicare un certo sapore della vita. Nel nostro caso possiamo continuare a portare avanti questo processo perché non applichiamo automaticamente quanto proposto da don Giussani, ma verifichiamo creativamente come questo rilancio può quotidianamente rispondere alle circostanze odierne».

Nonostante siano trascorsi quasi cinquant’anni dalla sfida lanciata dal sacerdote milanese, la proposta appare ancor più valida, soprattutto dopo la pandemia da Covid-19 e l’esplosione dei social che hanno cambiato radicalmente la nostra società, toccando soprattutto i più giovani. Situazioni che non vanno demonizzate, ma analizzate attentamente non dimenticando come vi sia sempre la speranza di ritrovare quella spinta che caratterizza i ragazzi.

«Dobbiamo renderci conto delle sfide che l’educazione ci presenta, sia sul fronte degli insegnanti che dei genitori, chiamati ad affrontare le fragilità dei ragazzi, esasperate dalla pressione dei social e dalla performance che la società richiede loro, condizioni che spesso li costringono a partire già con la lingua a terra. Lo stesso vale anche per il Covid che ha lasciato importanti ferite che si mostrano in una nuova “epidemia da ritiro sociale”, la tendenza che vede i ragazzi non uscire più dalla propria stanza e allontanarsi dalle relazioni», precisa Fadigati che aggiunge: «Ciò che è fondamentale è comprendere la fisionomia di queste difficoltà, senza dimenticare che queste ferite non esauriscono il valore dei ragazzi che continuano, in qualsiasi situazione si trovino, a disporre di una grande risorsa educativa. Ciò che spesso vogliono trasmetterci è il bisogno di essere amati. In educazione occorre amare, inteso come stimare alla radice una generazione che tante volte si sente guardata con ferocia, giudicata e misurata da una severità mortificante. Per fare la differenza basta a volte lo sguardo di un adulto o di una comunità di adulti, motivo per cui non bisogna accontentarsi, ma concepire questa stima come l’inizio di un ingaggio, di un cammino educativo che punta su di loro, che fa crescere sia il ragazzo che l’educatore».

Per poter affrontare questa sfida così impegnativa, è necessario mettersi in gioco e ripensare al modo di approcciarsi con i ragazzi, talvolta ancorato a tradizioni del passato che non sono più al passo con i tempi e che dimostrano la necessità di ripensare il rapporto fra la scuola e i giovani. A partire anche dal tema della valutazione, recentemente messo sotto la lente d’ingrandimento e probabilmente punta di un iceberg che nasconde sotto di sé un mondo di fragilità e difficoltà di apportarsi con le nuove generazioni.

«Le forme di valutazione vanno sempre migliorate, non si può arrivare a un punto definitivamente conquistato. Il compito delle scuole è quello di lavorare sul significato e sugli strumenti di valutazione, affinché non si riduca alla misurazione di performance o all’idea di valutare solo delle competenze individuali. È fondamentale aprirsi a nuove forme che tengano conto delle competenze relazionali, che il mondo del lavoro ci ricorda essere fondamentali tanto che molti imprenditori lamentano la difficoltà dei nuovi dipendenti a lavorare in team» ricorda ancora il rettore. « Nella nostra scuola amiamo dire che valutare è dare valore, per cui cerchiamo di mettere al centro la persona e non a ridurre alla mera valutazione di una verifica o un esame. Può capitare di prendere un quattro in un tema, ma ciò non significa che non si è un bravo studente di italiano. Alcune scuole hanno persino provato a troncare il problema alla radice togliendo i voti, ma i ragazzi desiderano essere valutati perché vogliono lo sguardo di un adulto che li aiuti a cogliere il valore di ciò che fanno e quindi serve questa svolta nelle valutazioni, non rigidi nelle forme, ma certi del valore che possano avere».

Se la scuola ha un grosso compito da svolgere, da meno non possono essere le famiglie da cui arriva il principale afflusso di affetto nei confronti di bambini e adolescenti. Pensare che il sistema scolastico debba andare a coprire eventuali mancanze è pura utopia, serve piuttosto un’«alleanza educativa» come sottolinea il rettore della scuola «La Traccia» di Calcinate con genitori e insegnanti che possano operare fianco a fianco per una missione comune: offrire ai più piccoli quel sostegno per diventare gli adulti di domani.

«La scuola può fare moltissimo perché, oggi come oggi, i contesti sociali e lavorativi in cui vivono molte famiglie impediscono loro di stare per molto tempo con bambini e ragazzi. Ciò lo si nota a tutti i livelli scolastici, motivo per cui la scuola come comunità educante di insegnanti deve dare il proprio contributo, mettendo i ragazzi in rapporto con adulti che si appassionano al proprio lavoro, alle proprie materie, alla vita dei giovani stessi. Laddove la scuola mette i ragazzi in contatto con figure ciniche che disistimano sé stesse, ecco che il sistema educativo spegne le domande, aumenta l’ansia da prestazione nei ragazzi perché si riduce solo a misurarli per le loro performance, distruggendo la cultura che diventa puro nozionismo», conclude Fadigati. « La scuola non può illudersi di poter fare tutto da sola, ma deve accettare anche il confronto con i genitori e con le famiglie, il luogo dove si impara il rapporto con gli altri e l’amore per la vita, le motivazioni per alzarsi la mattina e affrontare la giornata. Troppo spesso le famiglie rischiano di diventare delle monadi dove si cerca di ricavarsi il proprio rifugio sicuro e si chiude la porta agli altri perché magari arrivano e la casa è in disordine. Da questo punto di vista, meglio privilegiare la possibilità di una comunità educante-anche imperfetta- che affannarsi per ottenere un’immagine ideale ma solitaria di famiglia. Se scuola e famiglia accettano di dialogare nel rispetto dei propri ruoli, si può crescere insieme».

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