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Tra muri di pietra e preziose opere d’arte: il fascino discreto di Olera

Articolo. A pochi chilometri da Alzano Lombardo, la frazione di Olera incanta chi passeggia tra i suoi vicoli ricchi di storia ed è un ottimo punto di partenza per sentieri immersi nei colori dell’autunno

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Il borgo di Olera

La mattinata è già tarda, ma il sole non si decide a uscire da dietro i veli delle nuvole. Gli escursionisti che sono partiti alle prime ore del giorno stanno già tornando alle loro auto, con i bastoncini da trekking tenuti svogliatamente in una mano e il profumo di un buon pranzo già sotto le narici. Il mio, di pranzo, è nello zaino e oggi ho intenzione di gustarmelo in un posto panoramico, magari con un timido raggio di sole a scaldarmi la schiena.

Olera mi accoglie silenziosa, con qualche sorriso sparso per i suoi vicoli. Di questo pugno di case tra le montagne della Val Seriana, a cinque chilometri da Alzano Lombardo, mi colpisce subito la cura. È un borgo che sembra essere tra i più antichi insediamenti in muratura della zona, ma non gli si notano né gli anni, né ritocchi troppo marcati che abbiano snaturato la sua figura originale.

Con il «Buongiorno!» cordiale di un uomo con una gerla sulle spalle, mi avventuro in una storia che inizia almeno nel 1165, anno del primo documento in cui appare il nome «Holera» in una pergamena che parla di controversie e di decime da riscuotere in queste terre. Una figura importante per l’assetto dell’abitato fu Alberto Acerbis, di ricca famiglia bergamasca, che nel 1296 fece costruire una chiesa e la casa di quel ramo genealogico che ha reso il cognome molto diffuso nella zona.

Olera fu parte del Comune di Poscante per molto tempo, fino a quando già agli inizi del Novecento il gruppo dei 45 capifamiglia del borgo presentò un ricorso al Prefetto. La frazione fu perciò aggregata a Nese, più vicina e con migliori servizi, nel 1925, e poi al Comune di Alzano Lombardo nel 1939. Il rumore dei miei passi si disperde tra i muri di pietra del borgo, che sulle stesse pietre costruì anche la sua fortuna nell’intero territorio della Serenissima: le maestranze di Olera erano presenti anche nei cantieri della stessa Venezia, e questo prestigio permise al borgo di arricchirsi anche delle opere d’arte che sto per andare a ammirare.

Nel frattempo, dietro i davanzali fioriti delle finestre riesco facilmente a immaginare il mondo antico in cui al posto delle pentole moderne si utilizzavano le öle, recipienti di pietra ollare, un tipo di roccia che assorbe e irradia calore lentamente e che veniva ricavata proprio dalla montagna su cui sorge Olera. In questo stesso mondo antico, ma non lontano dalle memorie dei nostri nonni, c’è spazio anche per il duro lavoro tra i ruc, i terrazzamenti coltivati, per inverni rigidi, stufe calde e qualche animale al riparo in stalle e fienili.

Inseguendo questi pensieri mi ritrovo ad osservare la luce che entra dalle vetrate della chiesa Parrocchiale creando giochi colorati sulla parete. La chiesa cela al suo interno il tesoro più prezioso di Olera, sebbene poco conosciuto: si tratta del polittico di Cima da Conegliano, risalente al Quattrocento e composto di nove pannelli disposti su tre livelli intorno alla statua lignea di San Bartolomeo, a cui è dedicata la chiesa. Nel pannello in alto al centro svetta una Madonna con Bambino che sembra contemplare la navata. Il polittico è prezioso anche per via della splendida cornice ancora integra. Sarà stato commissionato proprio da qualche abitante di Olera che, emigrato a Venezia, avrebbe fatto fortuna e donato un’opera al suo paese natale? Questo resta un elemento circondato da un alone di mistero, così come la decisione di ingaggiare proprio Cima da Conegliano, all’epoca ancora poco noto, che potrebbe essere spiegata con l’insediamento di maestranze bergamasche proprio a Conegliano. Non sappiamo nemmeno di preciso in quali anni il polittico arrivò a Olera, né come, ma sicuramente siamo fortunati a poter godere di un’opera simile a poca distanza da casa. Nella chiesa Parrocchiale è conservata anche l’«Icona della Madre di Dio della Passione», del XV secolo, attribuita all’artista cretese Andrea Rizo da Candia.

Affacciata sulla stessa piazzetta della Parrocchiale c’è un’altra piccola chiesa, più antica: si tratta della Chiesa della Santissima Trinità, proprio quella fatta costruire da Alberto Acerbis nel 1296, detta anche Chiesa dei Morti poiché sotto alla pavimentazione c’era un ossario. La porta è chiusa, e mi accontento di sbirciare dalle finestre prima di dirigermi verso la prossima tappa. Per strada mi imbatto però nel Centro Studi dedicato a Tommaso Acerbis, che raccoglie opere d’arte che lo raffigurano. Il Beato nacque ad Olera nel 1563 da una famiglia di pastori, e la vocazione religiosa lo portò ad essere guida spirituale in Veneto, Trentino e Tirolo, fino alla sua morte a Innsbruck. Per il suo operato e una guarigione miracolosa avvenuta per sua intercessione a Thiene, è stato beatificato il 21 settembre 2013.

Leggo la storia del Beato Tommaso da Olera davanti alla terza chiesa della frazione, quella di San Rocco, protettore contro la peste che nel 1630 decimò anche la popolazione di Olera. La chiesina si trova appena fuori dall’abitato, in una posizione panoramica da cui mi godo la vista sul caseggiato di Olera, abbracciato dalle montagne circostanti che si stanno lentamente tingendo d’autunno.

La mia visita a Olera finisce qui, ma non la mia passeggiata. Dal borgo si possono raggiungere il Canto Basso, il Monte di Nese, la Maresana e altre frazioni nelle vicinanze tramite sentieri molto belli. Io scelgo quello che mi sembra il meno impegnativo, e mi dirigo verso Burro, seguendo il sentiero CAI 532. Il percorso è stupendo, si snoda sulla costa del Monte Colletto tra querceti e qualche castagno. I ricci caduti a terra sono quasi tutti vuoti, ma la luce che penetra tra le fronde degli alberi illuminando le foglie gialle e rossicce è magica. In meno di un’ora, incrociando pochissime persone, sono arrivata a Burro, da dove volendo si raggiungono in un attimo le celeberrime buche di Nese. Io decido di salire tra le poche case dell’abitato, tranquillo nell’aria tiepida del primo pomeriggio e guardato a vista dalla Chiesa di Brumano, altra frazione che si staglia sul versante opposto della valle.

Sulla piccola chiesa di Burro, costruita nel 1524 come segnalato sulla facciata, leggo invece un aneddoto curioso. Dedicata a San Bernardo, non è chiaro se il Santo in questione sia quello di Chiaravalle o di Mentone: anche se la chiesa ospita una statua lignea del santo francese, la popolazione festeggia la data associata a San Bernardo da Chiaravalle, nel mese di agosto. In ogni caso, la piazzetta davanti alla chiesa è stata per anni il luogo dove veniva battuto il granoturco prima di venire trasferito ai mulini per la macina, un momento importante e conviviale per le famiglie locali.

Torno verso Olera ripercorrendo lo stesso sentiero dell’andata ma senza annoiarmi nemmeno un po’. La luce, che continua a cambiare mentre le nuvole si spostano e il sole si nasconde dietro alle cime dei monti, mi mostra dettagli sempre nuovi tra le foglie che ricoprono il suolo. Anche Olera, nel pomeriggio inoltrato, mi sembra diversa da quella di qualche ora fa e ne ripercorro le stradine per osservare scorci che prima non avevo notato. Scambio una manciata di consigli con altri visitatori, qualche saluto con le signore del borgo, e per me è ora di tornare a casa. Mi sembra di aver fatto un viaggio lontano, nello spazio e nel tempo, e invece ho solo toccato le pietre antiche dei muri di Olera.

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