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Protesta dei trattori, il punto di vista di tre giovani agricoltori orobici

Articolo. Migliaia di mezzi agricoli hanno sfilato nelle ultime settimane sulle strade di tutta Europa per contestare le politiche agricole di Bruxelles. Per capire le difficoltà che sta vivendo il mondo agricolo, abbiamo sentito tre testimonianze di giovani imprenditori del territorio

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La protesta dei trattori in centro a Bergamo (Foto di Beppe Bedolis)

Latte, carne, mais, frumento e insalate rappresentano ingredienti fondamentali per l’alimentazione dell’uomo. Nel corso degli anni, tuttavia, l’agricoltura ha dovuto far fronte a un aumento importante dei costi di produzione che, insieme ai cambiamenti climatici, sta mettendo a dura prova gli operatori del settore primario. Nelle ultime settimane sono finite sotto accusa le politiche di Bruxelles che, secondo gli stessi agricoltori, penalizzano oltremisura il comparto, favorendo l’ingresso in Italia di alimenti provenienti da altri Paesi. La protesta, accompagnata dalla mobilitazione di migliaia di trattori per le strade di tutta Europa, è partita da Francia e Germania, per poi estendersi presto anche all’Italia e alla nostra provincia. I cortei con i mezzi agricoli hanno sfilato lungo le principali arterie con veri e propri presidi per chiedere misure meno restrittive alla Commissione Europea e al governo italiano. A fianco delle associazioni di categoria, si è fatto strada anche il movimento autonomo «Riscatto Agricolo», promotore di una protesta che si è presto allargata a macchia d’olio.

Tra le richieste delle aziende ci sono il mantenimento degli sgravi sul gasolio agricolo, l’esenzione dal pagamento di Irpef e Imu, la revisione della PAC (Politica agricola comune) con la riprogrammazione del «Green Deal», il mantenimento delle agevolazioni sui carburanti e il monitoraggio dei costi di produzione, ma sul banco degli imputati è finito anche il divieto della monosuccessione, che obbligherebbe gli agricoltori ad abbandonare molte colture. Il «Green Deal» europeo prevede una diminuzione nell’utilizzo dei combustibili fossili pari al 43% per quanto riguarda le emissioni globali entro il 2030. Tra i comparti finiti sotto la lente d’ingrandimento della Commissione Europea c’è proprio l’agricoltura che però, secondo gli operatori, è stata messa eccessivamente sotto accusa come se fosse la principale fonte di inquinamento.

Per capirne di più, abbiamo provato a dare voci ad alcuni addetti del settore della nostra provincia. Fortunatamente negli ultimi tempi il comparto ha registrato anche l’ingresso di tanti giovani che, carichi di entusiasmo e con tanta voglia di innovare, stanno lanciando segnali incoraggianti. Ma è chiaro che vanno aiutati per poter garantire il futuro delle aziende agricole.

Come stanno vivendo questo momento storico gli agricoltori orobici?

Thomas Panzeri è un giovane di 23 anni, che rappresenta la terza generazione di allevatori che hanno deciso di non abbandonare la montagna. «Stare con gli animali è il lavoro più bello del mondo e il mio sogno sin da quando ero bambino – confida Thomas, che gestisce a Palazzago l’omonima azienda agricola con 70 capi da carne destinata ad essere venduta a privati e grossisti – L’attività, iniziata con mio nonno e proseguita da mio padre, registra costi e problematiche in continuo aumento e alla lunga il rischio è quello di chiudere. Noi non ci arrendiamo, anche perché siamo innamorati del nostro territorio montano e vogliamo proseguire l’attività di famiglia. Di conseguenza ci sentiamo veramente vicini e al fianco di tutti gli agricoltori e allevatori che sono scesi e stanno scendendo in piazza. Purtroppo le istituzioni ci trattano spesso male, come se l’inquinamento dell’ambiente dipendesse solo da noi. Durante la pandemia eravamo tra le poche aziende operative e nei mesi più duri per la bergamasca le emissioni si sono ridotte drasticamente: un chiaro segnale che la responsabilità non è nostra».

«Le aziende agricole sono operative 365 giorni all’anno per produrre cibo indispensabile per tutta la comunità – continua – Basta però andare al supermercato per notare come i prezzi dei prodotti siano notevolmente aumentati, mentre a noi, che rappresentiamo l’anello debole della catena, arrivano solo le briciole. I costi di produzione non sono più sostenibili. Su questo tema il popolo italiano deve dimostrarsi unito, anche perché la chiusura di un’azienda agricola significa la perdita di un patrimonio inestimabile per la sussistenza di tutta la popolazione. A meno che si voglia spingere verso la carne coltivata, il cibo sintetico e la farina di grillo: un altro capitolo e un terreno decisamente scivoloso».

Ma cosa spinge un giovane oggi a guardare avanti, nonostante tutte queste difficoltà? «Certamente la passione, ma è chiaro che poi devono anche tornare i conti perché tutti noi abbiamo una famiglia da mantenere – puntualizza Thomas Panzeri – Negli ultimi due anni è stato un vero disastro, tanto che abbiamo rischiato di finire in perdita, mentre in prospettiva speriamo che la situazione migliori. Se per un periodo siamo costretti a rimetterci dei soldi possiamo anche sopravvivere, ma se non si svolta, molte aziende rischiano veramente di chiudere e di abbandonare il territorio, che nel caso della nostra provincia conta luoghi fantastici ma anche scomodi, con una gran parte di montagna. Spesso ci definiscono eroi, ma noi ci sentiamo persone normali. È vero che in questo lavoro devi saper gettare il cuore oltre l’ostacolo, ma a noi interessa solo che ci lascino lavorare senza troppi paletti e restrizioni inutili, oltre al fatto che ci deve essere riconosciuta la giusta retribuzione».

Adriana Vismara e Luca Maria Miotto hanno invece deciso di realizzare il loro sogno imprenditoriale partendo nel 2017 con una cinquantina di capre a Calcio, nella Bassa Bergamasca. Ora l’azienda agricola Artemisia alleva 600 animali di varie razze: Camosciata, Saanen e alcune meticce, che a Spirano possono godere di una nuova stalla dotata di ogni comfort. «Purtroppo anche per noi i costi sono diventati insostenibili – affermano Vismara e Miotto – Il mangime è aumentato del 25%, i fieni registrano un + 30% e ci ritroviamo strozzati dai tassi di interesse che paghiamo per aver giustamente investito nella nostra azienda. Tra cambiamenti climatici ed emergenza idrica che ormai si ripresenta come un orologio tutte le estati, la conseguenza è che i prodotti perdono di qualità. Inoltre ogni anno assistiamo ad ulteriori fenomeni speculativi, dal discorso energetico alle guerre che rendono veramente difficile la programmazione del nostro lavoro. Cerchiamo di tamponare le difficoltà rendendoci indipendenti dal punto di vista energetico con l’installazione di pannelli fotovoltaici, mentre ultimamente abbiamo deciso di fasciare i fieni, con un ulteriore aumento dei costi, per ottenere un prodotto di qualità ed evitare altre problematiche».

«Nonostante l’inflazione, all’origine non riceviamo la giusta remunerazione e rispetto ad altri settori il prezzo del latte alla stalla viene fissato ad ottobre di ogni anno e per 12 mesi non riusciamo più a riadeguarlo in base alle cogenti necessità. Infine, rimane lo spauracchio del latte proveniente dall’estero: qui servirebbe una politica regionale e nazionale che tuteli il prodotto italiano, mentre purtroppo ogni azienda deve difendersi da sola – concludono Vismara e Miotto – Il nostro è un lavoro duro dove serve tanta passione ma ultimamente regala poche soddisfazioni, oltre al fatto che non veniamo rispettati dal sistema. Ci sarebbero tante cose da cambiare, ma oggi prevale la politica europea che finisce per colpevolizzare il nostro settore, nonostante vantiamo numeri veramente importanti. L’appello è quello di rimanere tutti uniti a tutela del comparto, nella speranza che la situazione migliori».

Tra i settori in sofferenza in questo momento storico troviamo anche la quarta gamma, che include frutta e verdure cotte e ricettate, confezionate e pronte al consumo. Nella provincia di Bergamo la produzione primaria di insalate vale 70 milioni euro all’anno e la coltivazione si estende su mille ettari di serre, con il 70% della produzione che finisce in busta. Paolo Barcella della società agricola Bioagro di Lurano sottolinea come la quarta gamma stia vivendo un momento di maturità, dopo aver trainato per diversi anni il comparto.

«Oggi il mercato è arrivato all’apice della saturazione, proprio nel momento in cui abbiamo registrato un forte aumento dei costi, con le conseguenti difficoltà a scaricare questa importante problematica sul prodotto finito – spiega il titolare – I nostri prezzi sinora non sono cambiati, nonostante abbiamo assistito ad aumenti anche nell’ordine della doppia cifra per molte produzioni orticole che vengono offerte al consumatore. Purtroppo a noi coltivatori non arriva nulla di più rispetto a prima. La conseguenza è che tutti i prodotti agricoli perdono valore. Che si parli di latte, carne o insalata, sta di fatto che il nostro lavoro non viene correttamente remunerato: il settore primario non esprime una marginalità degna per coprire tutti i costi di produzione e ora siamo al limite con un equilibrio veramente delicato tra costi e ricavi».

«Per quanto concerne i prodotti fitosanitari, che si possono inquadrare come medicine per le piante si è fatto una grande confusione parlando impropriamente di “pesticidi – conclude Barcella – Su questo punto è corretto evidenziare come negli ultimi 15 anni il 90% dei principi attivi sono stati eliminati dal processo produttivo e persino le grosse case farmaceutiche non stanno più investendo. Noi operatori chiediamo solo di poter continuare a lavorare senza lo spauracchio di chiudere l’anno in perdita, anche perché ci alziamo tutte le mattine all’alba per produrre e garantire il cibo alla comunità».

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