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La strana storia di Enrico Brusoni, campione olimpico senza mai saperlo

Articolo. Primo italiano a conquistare l’alloro nel ciclismo, ma soprattutto primo bergamasco a ottenere un successo nella kermesse a cinque cerchi. Ernesto Mario Enrico Brusoni, nonostante il risultato raggiunto a Parigi nel 1900, non ebbe la possibilità di festeggiare: la «Course des primes» non venne considerata alla stregua di una prova olimpica, ma “una competizione di contorno”

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Enrico Brusoni accanto al poster ufficiale della II Olimpiade

Vincere un oro alle Olimpiadi non significa semplicemente mettersi al collo una medaglia e salire sul gradino più alto di un podio mentre risuona il tuo inno nazionale. Significa diventare un mito per migliaia di persone, ispirare centinaia di ragazzi, prendersi sulle spalle la responsabilità di uno stato intero. Sin dall’antichità, chi vince le Olimpiadi entra nell’Olimpo del suo sport e, nonostante sia magari necessario aspettare altri quattro anni prima di vedere riconosciuto il proprio valore, un posto nella gloria è garantito.

Chi non ha mai potuto vivere queste sensazioni nonostante le abbia meritate a tutti gli effetti è Ernesto Mario Enrico Brusoni, primo italiano a conquistare l’alloro nel ciclismo, ma soprattutto primo bergamasco a ottenere un successo nella kermesse a cinque cerchi.

Quando Enrico muore, il 26 novembre 1949 a Bergamo, il suo nome finisce nel dimenticatoio, spazzato via da due Guerre Mondiali e un ventennio di dittatura nel mezzo, ma soprattutto da un’edizione delle Olimpiadi (la seconda nella storia) completamente da rivedere, dove la sua vittoria non viene nemmeno riconosciuta da chi dovrebbe occuparsi di tenere memoria di questa impresa. Il tutto perché quanto succede a Parigi nell’estate del 1900 è decisamente confuso.

Le gare si svolgono contemporaneamente all’Esposizione Universale, quella che porta alla realizzazione di monumenti come la Gare de Lyon, la Gare d’Orsay (ora Museo d’Orsay), il Ponte Alessandro III, il Grand Palais, La Ruche e il Petit Palais. Le competizioni sono soltanto un contorno e vanno in scena dal 14 maggio al 28 ottobre senza ben sapere chi vi partecipi, con che criteri e quali siano realmente considerate delle vere gare da medaglia.

Questo destino spetta anche alla «Course des Primes», dieci giri di pista con una volata in programma al termine di ogni tornata, e che mette in palio tre punti al primo, due al secondo e uno al terzo, il tutto triplicato in occasione dell’ultimo sprint. Chi conosce il ciclismo attuale si rende immediatamente conto che assomiglia tremendamente alla corsa a punti che oggi mette in palio maglie iridate nel ciclismo su pista e che ha fatto parte del programma olimpico dal 1984 al 2008.

Insomma, vi sono tutti i sacri crismi perché possa essere considerata una gara da medaglia, ma a Parigi vige il caos e quindi serviranno cent’anni per rendersi conto di tutto ciò. Non se ne rende conto nemmeno Brusoni, che è arrivato da Bergamo, attratto dal blasone che hanno le corse in bicicletta in Francia, dopo aver fatto un’ottima carriera nel Bel Paese.

Dal Ciclodromo della Foppa al record del mondo nel mezzofondo

Enrico nasce ad Arezzo nel 1878. Il padre è ingegnere delle Ferrovie, un ruolo che lo conduce ben presto nel capoluogo orobico insieme a tutta la famiglia. È per questo che in tenera età Enrico arriva nella “perla della Serenissima”, dove rimarrà di fatto tutta la vita. La bicicletta del padre lo ispira e inizia così a cimentarsi in questo sport ancora rudimentale, ma pronto a fare un grande salto in avanti, tanto da risultare nel 1895 uno dei promotori del Velo Club Orobia. Le sue doti si vedono già all’ombra dei Propilei, quando prende parte alle competizioni in programma al Ciclodromo della Foppa, eretto poco tempo prima nella zona di Porta Nuova. Proprio lì conosce un certo William Frederick Cody, noto a tutti come Buffalo Bill, giunto in Italia con il suo “Buffalo Bill Wild West Show” che fa tappa in alcune città del Nord Italia.

Enrico è veloce, ma al tempo stesso resistente, sa destreggiarsi al meglio sia su strada che in pista, tanto da vincere nel 1898 la Coppa del Re, classica organizzata per i ciclisti dilettanti e dal valore simile al Campionato Italiano. Si mette in luce anche nelle corse dietro moto, realizzando il record nazionale dell’ora dietro moto, percorrendo in sessanta minuti cinquantacinque chilometri.

Nel 1900 si trasferisce a Parigi per disputare i Campionati del Mondo dilettanti di velocità, dove viene battuto dal belga Leon Didier-Nauts nei turni preliminari, prima vincere la gara ad handicap sul vice-campione del mondo, lo statunitense John Lake. Brusoni non si ferma, e si rimette in sella alle spalle di una moto guidata, in questo caso dal meccanico Ettore Bugatti, divenuto poi celebre per la fondazione dell’omonima casa automobilistica. Percorre 51,783 chilometri e realizza così il record del mondo nel mezzofondo.

Quel settembre del 1900 a Parigi

Enrico è ormai una star del ciclismo internazionale ma, dopo aver trascorso qualche settimana a Bergamo, scavalla nuovamente le Alpi prendendo parte a tutti gli effetti alla seconda edizione delle Olimpiadi Moderne. Prima della «Course des Primes», Brusoni è al via della velocità, gara che conosce molto bene avendo preso parte più volte alla competizione iridata. L’11 settembre supera il primo turno, ma ai quarti di finale viene sconfitto “per un quarto di ruota” dal transalpino Joseph Mallet, dicendo addio alle possibilità di mettere al collo una medaglia.

A quel punto eccoci al 15 settembre 1900, data che consacra Brusoni grazie a quella «Course des Primes» che in molti considerano un’esibizione di contorno. Enrico è in giornata di grazia e, dopo aver lasciato il francese Ferdinand Vasserot aggiudicarsi il primo sprint, si impone nei due successivi davanti al padrone di casa Louis Trousselier, un nome che farà strada nel ciclismo moderno, visto che vincerà un’edizione della Parigi-Roubaix e una del Tour de France. L’orobico tira un poco il fiato e riparte vincendo la quinta volata davanti a un altro francese, Stephane Chaput.

I due successivi sono appannaggio del tedesco Karl Duill, ma Brusoni non vuole lasciare nulla al caso e fa poker all’ottavo giro, salendo a quota dodici punti, nonostante Duill poco dopo riesca ad andare a segno e volare a tre lunghezze dalla vetta con una sola tornata da disputare alla pari con Trousselier. Il bergamasco potrebbe rimanere tranquillo sulle ruote degli avversari, pure accontentarsi di un secondo posto nell’ultimo appuntamento, ma lui non si arrende e vince l’ultima sfida.

La poca importanza che hanno le Olimpiadi in quel contesto porta a ridurre al minimo le celebrazioni per il successo di Brusoni, che si prende qualche regalo per il risultato, una bella dose di applausi e il pronto ritorno in patria dove lo aspettano altre sfide.

Le imprese continuano

Ormai Brusoni è conosciuto da tutti coloro che svolgono lo sport della bicicletta, ed è per questo che nel 1901 vince il Campionato Italiano Dilettanti, prima di passare l’anno dopo professionista aggiudicandosi due edizioni della Gran Fondo-La Seicento organizzata da La Gazzetta dello Sport. Una sorta di “antenata” del Giro d’Italia, una corsa massacrante con partenza e arrivo a Milano per un totale di 540 chilometri da svolgere tutta in sella, rigorosamente senza soste intermedie.

Nel 1903 Brusoni ha la meglio su Gustavo Beccaria e Rodolfo Muller, mentre quinto è Giovanni Gerbi, noto a tutti come “Il Diavolo Rosso” e uno dei principali nomi del ciclismo delle origini. Nel 1904 Enrico deve superare 603 chilometri in piena estate, un’impresa che porta a casa in 28h50’48” precedendo Ugo Sivacci ed Enrico Favarelli, mentre finisce fuori dal podio il futuro vincitore del Giro d’Italia Carlo Galetti.

Le vittorie gli fruttano 2000 lire ciascuna, l’equivalente di 8500 euro del giorno d’oggi, e per Brusoni bastano e avanzano, tanto che nel 1906 appende gli scarpini al chiodo, diventando direttore sportivo di alcune squadre bergamasche prima dell’avvento della Grande Guerra. Tolta una citazione su La Gazzetta dello Sport nel 1941, il nome di Enrico Brusoni sparisce insieme a lui nel 1949.

Il riconoscimento dell’oro olimpico

Tutto ciò almeno sino al 2000, quando William James “Bill” Mallon, ortopedico statunitense, già giocatore di golf professionistico, ma soprattutto cofondatore e presidente della Società internazionale degli storici olimpici, nonché consulente del Comitato Olimpico Internazionale, decide di approfondire meglio la questione Brusoni.

Lo storico americano si accorge della «Courses des Primes» e soprattutto di come il CIO non la abbia presa in considerazione nella sua lista delle medaglie assegnate, nonostante fosse stata inserita rigorosamente nel programma olimpico. Il Comitato Olimpico Internazionale si scuserà per la svista, senza però inserirlo nella lista ufficiale. Chi invece si è ricordato di Brusoni è stato il CONI che, a distanza di cent’anni, ha tributato a Brusoni la gloria che non ha potuto assaporare in vita, ma che per questo lo ha reso così celebre.

La storia di Enrico Brusoni viene raccontata da Paolo Marabini nel libro « Bergamo Olimpica. Storie di giorni di gloria » (Bolis Editore). Ringraziamo l’autore per averci concesso di leggere il volume in anteprima e utilizzarlo come fonte principale del nostro articolo.

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