93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Una vita al servizio dei campioni, l’esempio del gregario Alessandro Vanotti

Articolo. L’ex ciclista bergamasco presenterà il suo libro scritto con Federico Biffignandi venerdì 13 giugno alle 17.45 al Museo del Falegname «Tino Sana» di Almenno San Bartolomeo

Lettura 4 min.
Vanotti brinda con Vincenzo Nibali nell’ultima tappa del Tour de France 2014 (Archivio Vanotti)

Il gregario è colui che si mette sempre a disposizione dei propri capitani, non tanto perché non abbia le capacità per vincere, ma perché il ciclismo è un vero e proprio sport di squadra. Se è vero che vince soltanto uno, i compagni di squadra sono fondamentali per raggiungere quel traguardo e per questo il ruolo del gregario è preziosissimo. Anche in una categoria spesso troppo poco considerata, esistono dei «fenomeni generazionali» e se pensiamo agli ultimi decenni il nome di Alessandro Vanotti non può mancare.

Il 44enne di Almenno San Salvatore ha guidato capitani di spessore come Danilo Di Luca, Ivan Basso e Vincenzo Nibali alle vittorie al Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta di Spagna, vestendo inoltre la maglia azzurra in occasione del Mondiale andato in scena a Firenze nel 2013. Fido collaboratore dei più grandi campioni del nostro movimento, l’ex corridore orobico ha raccontato la propria carriera in «Gregario. Una vita al servizio dei campioni», volume scritto a quattro mani con Federico Biffignandi e che verrà presentato venerdì 13 giugno alle 17.45 al Museo del Falegname «Tino Sana» di Almenno San Bartolomeo.

«Questo libro è nato dalla passione di Federico che ha seguito tutta la mia carriera e mi ha spinto a raccontarmi a nove anni dal mio ritiro. In genere i libri si scrivono subito, anche per battere il ferro finché è caldo, tuttavia nion me la sono sentita prima. Lui mi ha trovato nel momento giusto e questo mi ha spinto a ripercorrere la mia carriera, non solo dal punto di vista sportivo, ma anche umano – racconta Vanotti – In genere sono i campioni a scrivere libri di questo genere perché, per quanto sia stato nominato come uno dei cinque gregari più influenti della storia del ciclismo, sono coloro che stanno in cima al podio a raccontarsi. Per me è stato molto complicato perché mi sono messo a disposizione di Federico per alcuni mesi, ma soprattutto ho faticato a parlare di me. È vero, in genere sono superchiaccherone, ma un libro è qualcosa che rimane per sempre, si va in profondità e un po’ mi ha messo in difficoltà».

Ciò che «Il Gregario» vuol raccontare è soprattutto quella dicotomia tra quanto si vede in gara, con gli atleti chiamati a lavorare a fondo per i propri capitani e farsi da parte nel momento in cui la corsa entra nel vivo, sempre con il sorriso stampato sul viso, e quanto accade dentro di loro, fra difficoltà e delusioni. Se è vero che nel ciclismo si vince tutti assieme, quando la vita di tutti i giorni presenta il conto, si è paradossalmente da soli e tutto ciò rischia di esser molto più complicato che scalare lo Zoncolan o il Mortirolo.

«Devo ringraziare parecchio i miei genitori e il mio territorio per avermi insegnato quell’etica tipica di noi bergamaschi che siamo tosti, sia nel lavoro che fuori. Ciò che ha caratterizzato la mia carriera è che non sono andato forte per due, tre, quattro anni e poi sono calato dovendo ricominciare da zero, ma sono sempre stato costante, rimanendo sempre là davanti per tutta la carriera – ricorda Vanotti – Io sono nato vincente: qualsiasi cosa facessi, volevo vincere. A un certo punto con il mio mental coach Omar Beltran abbiamo capito che forse era meglio puntare su un ruolo di “regista” in gruppo, diventando quella figura che fa da collante durante le corse. Così ho potuto vincere con i miei capitani Giri d’Italia, Tour de France, Vuelte di Spagna, ma soprattutto ho imparato a sapermi rialzare; un aspetto da non sottovalutare soprattutto dopo che la mia carriera si è conclusa e dovevo iniziarne un’altra».

Se è vero che il nome di Alessandro Vanotti si è legato indissolubilmente a quello della Liquigas, squadra World Tour che ha rappresentato per anni l’apice per l’Italia del ciclismo, tutti ricordano il rapporto con Vincenzo Nibali con il quale è salito sui podi più importanti del globo. Da Parigi a Madrid passando per Brescia, il gregario bergamasco ha creato un duo indissolubile che molti ancora oggi invidiano. «Devo dire che l’intuizione giusta l’hanno avuta in Liquigas quando nel 2006 hanno deciso di mettermi in camera con un giovane come Vincenzo. Da una parte un ragazzo che è partito dalla Sicilia con nulla se non un sacco di sogni, dall’altro un bergamasco pronto a faticare. Questa visione della vita ci ha sicuramente uniti, grazie anche a un’etica comune. A quel punto in gara bastava uno sguardo per capire come muoversi e quella sintonia è sempre rimasta – spiega Vanotti – Vincenzo è come lo vedete, anche perché dietro le quinte era ancor più bello. È capitato più di una volta di scherzare anche nei momenti più difficili, per cui è stata veramente una bella storia la nostra».

Se dovesse scegliere uno dei momenti più belli della carriera, per Alessandro non ci sono dubbi: la sfilata a Parigi dopo la vittoria del Tour de France 2014 con Nibali. Da una parte l’idea di riportare una vittoria nella Grande Boucle a sedici anni da Marco Pantani, dall’altra un contesto che nessun altro successo può esser comparato. «Ho vinto tantissimo, tre Giri d’Italia, una Vuelta di Spagna, due Giri della Svizzera, la Tirreno-Adriatico, il Giro del Trentino, ma nulla è paragonabile dal tagliare la linea d’arrivo a Parigi al fianco del vincitore. Ho fatto imprese uniche con la squadra, ma vincere il Tour de France è stato simbolico».

Se si dovesse trovare una pecca in una carriera così brillante, c’è forse l’impossibilità di ottenere più successi in proprio. Perché è vero che i successi con la squadra sono bellissimi, ma salire in solitaria sul gradino più alto del podio è una soddisfazione immensa: «Avevo le capacità e la forza di farlo, anche nei Grandi Giri. Magari vincere una tappa al Tour sarebbe stato più complicato, ma al Giro e alla Vuelta ci sono andato vicino. In Spagna nel 2007 ho brillato in alcuni tapponi, mentre nella Corsa Rosa sono arrivato terzo nella Lissone – Varazze del 2004. Avevo scollinato da solo, ma poi non sono riuscito a chiudere – conclude Vanotti – La vittoria alla Settimana Ciclistica Lombarda a Bergamo, nella mia città, mi ha sicuramente ripagato così come i successi nelle cronosquadre e la possibilità di alzare trofei al fianco dei miei compagni. Mi è mancata la vittoria in un Grande Giro da dedicare a genitori e tifosi: non è che mi sia mancata la capacità, semplicemente nella vita non si può avere tutto».

Approfondimenti