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Il borgo di Arnosto, dove il tempo si è fermato al cospetto delle montagne

Articolo. Oggi vi portiamo alla scoperta di un luogo simbolo dell’architettura rurale in Valle Imagna, immerso nella quiete e in un intreccio di storia, tradizioni e leggende

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Panorama dai Tre Faggi

Fuipiano ha poco più di duecento abitanti ed è uno dei Comuni più lontani della Valle Imagna, per chi la risale dal suo imbocco. L’antico borgo di Arnosto è solo un gruppetto di case di questo Comune, e si colloca ancora più in alto rispetto al paese: per la precisione, a poco più di 1.000 metri sul livello del mare. Eppure, vale la pena arrivare fin lì, fino a quello che in molti amano definire «il tetto della Valle Imagna», per scoprire un mondo che ci sembra lontanissimo e che rischiamo di dimenticare. E anche perché da un tetto si può guardare giù e godersi il panorama migliore.

Anche se viene comunemente chiamato borgo, in realtà Arnosto è una contrada, e appare ai miei occhi come un piccolo gruppo di case radunate intorno a una stradina acciottolata. Le abitazioni sono in pietra, le porte di legno e i gerani fioriti colorano i davanzali delle finestre. Quando arrivo ad Arnosto è una giornata un po’ grigia, le nuvole si sono raccolte allontanando i visitatori e il silenzio attorno a me è rotto solo dai campanacci delle mucche e dallo scorrere dell’acqua nel lavatoio. Qui il tempo non esiste più, si è fermato al XIV secolo. Se chiudo gli occhi riesco a immaginare una piccola folla di mercanti e avventurieri intorno a me, in fila per versare il tributo alla dogana veneta, di cui Arnosto è stato sede fino al 1797, e per attraversare un importante confine. Un cippo di pietra in fondo alla via mi ricorda che non lontano da qui un tempo correva la linea di demarcazione tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia.

Una pietra incisa dal gruppo «Amici di Arnosto» mi fa notare che gli edifici, esempi conservati benissimo di architettura rurale, sono stati costruiti aggiungendo bellezza al mondo e non togliendola, come spesso succede. La contrada ha infatti saputo trasmettere fino ad oggi la testimonianza di una vita rurale dove uomo e natura erano perfettamente integrate. Ciò si nota in alcune particolarità architettoniche, come le curiose porte la cui forma ricorda la lettera «T». Tali porte hanno infatti una stretta apertura in basso, che impediva agli animali di uscire, ma sono ampie nella parte superiore in modo che contadini e allevatori riuscissero a passare con le gerle colme o le fascine di fieno sulle spalle, legate alla sdirna.

Un’altra caratteristica tipica di Arnosto e che non si trova altrove se non in qualche valle limitrofa, sono i tetti a piöde, fatti di pietra calcarea della Valle Imagna che vengono tagliati in lastre. Le piöde vengono utilizzate come tegole, e resto per qualche istante ad osservarne la disposizione, affascinata: sono sovrapposte in modo che in caso di rottura o danneggiamento possano essere sostituite facilmente. Tutti questi accorgimenti nelle costruzioni della contrada di Arnosto sono testimonianza di un modo di vivere sicuramente frugale e spartano, ma anche molto ingegnoso e funzionale alla vita di montagna.

Arnosto è suddiviso in tre agglomerati, e ognuno di essi si compone di alcuni edifici e del terreno agricolo. Ad eccezione di quello a verso Nord Ovest, dove rimangono scarse tracce del passato, i gruppi di case raccontano ancora molto della storia che hanno osservato per secoli. Nell’abitato a Nord, che ha le abitazioni più curate, pare vivessero i veneziani. Ciò dimostrerebbe un livello di benessere più alto e di conseguenza la presenza di affreschi all’interno della Casa della Dogana di Venezia. L’abitato a Sud è invece quello in cui abitavano le famiglie di contadini: le case avevano la cucina al piano terra e le camere da letto al piano superiore.

Percorro la contrada di Arnosto su e giù sui viottoli acciottolati: forse perché è un piccolo abitato silenzioso, ma qualcosa in questa atmosfera richiama alla calma, alla lentezza. Ed è un grosso vantaggio: la fretta avrebbe distolto la mia attenzione dai dettagli, dagli stemmi sopra le porte, dalle tracce di antichi affreschi sui muri e dagli angoli colmi di bellezza e semplicità che scovo addentrandomi tra le casette curate.

Un piccolo portico colmo di gerani cattura il mio sguardo e mi porta a scoprire la Cappella dedicata a San Filippo Neri e San Francesco da Paola, entrambe figure legate a Venezia piuttosto che al territorio di Arnosto. L’interno della chiesina è uno spazio piccolo, può ospitare non più di una ventina di persone, ma è molto curato. La Cappella venne costruita nel 1664, su richiesta dell’allora parroco di Fuipiano Don Carlo Bisoni, ed è tuttora una chiesa sussidiaria. Resto sorpresa quando scopro che la pala dipinta a olio posta sopra l’altare, che riporta la data del 1665 e raffigura la Vergine insieme ai Santi a cui è intitolata la chiesa, viene attribuita all’artista Francesco Quarenghi, nientemeno che il nonno del ben più noto Giacomo.

Se anche fosse una leggenda, non è certo l’unica che si tramanda da queste parti! Mentre esploro la contrada di Arnosto ricordo infatti di aver sentito parlare della strega Spadona, che nel Seicento abitava alle sue porte. Donna temuta per via delle sue presunte competenze nell’ambito della magia nera, pare che la sua morte fu preceduta da un boato e il cielo si oscurò. Probabilmente si trattava solo di un temporale estivo, ma mentre i miei passi risuonano nel borgo deserto e silenzioso, non è così difficile fantasticare sul fatto che qui, tra le montagne, possa davvero accadere qualcosa di magico e soprannaturale. Qualcuno dice che nelle notti di luglio le sue urla si sentano ancora, portate dalla brezza.

Il borgo di Arnosto ha anche un piccolo museo etnografico, realizzato e curato dal gruppo «Amici di Arnosto», che ospita una collezione di antichi strumenti di lavoro di contadini, artigiani e allevatori, oltre a un’esposizione fotografica. Il museo è visitabile ogni sabato e domenica fino al 30 giugno e tutti i giorni dal primo luglio fino al 14 settembre. Ulteriori informazioni sulle visite sono disponibili sul sito della Pro Loco di Fuipiano.

Il borgo di Arnosto si visita in poco tempo, ma nella zona di Fuipiano di certo non ci si annoia. Un’idea vincente per passare una giornata splendida senza fare troppa fatica è quella di abbinare la visita della contrada all’escursione fino ai Tre Faggi. Questa località si raggiunge con il sentiero 579A del Cai, un percorso piuttosto semplice che si compie in un’oretta, con circa 300 metri di dislivello. Imbocco il sentiero nei pressi dell’acquedotto di Fuipiano, attraverso un bellissimo faggeto e mi ritrovo davanti a un panorama indimenticabile che spazia su tutta la Valle Imagna e fino al Resegone. Purtroppo, dei tre eleganti faggi secolari che danno il nome a questo luogo, quello centrale è stato distrutto da una tempesta la scorsa estate, mentre già qualche mese prima alcuni rami di uno degli altri due alberi erano stati danneggiati.

Il luogo non perde però di fascino ai miei occhi, e anzi percepisco una sorta di misticismo che lo pervade. Di fronte agli alberi infatti si trova un altare dedicato alla Madonna e circondato da pietre che ricordano i dolmen celtici e che ha donato a questo luogo il soprannome di «Stonehenge della bergamasca».

Anche se il soprannome non mi convince molto perché credo che ogni luogo sia unico, senza bisogno di paragoni, riconosco che qui sul tetto della Valle Imagna sicuramente un po’ di magia c’è, ai Tre Faggi come al Borgo di Arnosto.

È la magia di un tempo antico ma non dimenticato, di montagne immutabili e di una valle in movimento. È la magia del paesaggio, di tutto questo cielo a disposizione, delle mille leggende e dei secoli di storia che i faggi raccontano quando il vento muove le loro fronde.

Tutte le foto sono di Lisa Egman.

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