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Il giro delle cinque cime di Parzanica

Articolo. Continuiamo l’esplorazione della sponda bergamasca del Sebino, lungo un percorso ad anello che promette panorami interessanti sul lago d’Iseo e i monti circostanti, soprattutto con le luci e i colori della stagione autunnale

Lettura 7 min.

L’autunno è la stagione migliore per girovagare sui monti che sovrastano i nostri laghi. La limpidezza dei panorami, le temperature gradevoli e i meravigliosi giochi di luce e colore rendono questi percorsi particolarmente affascinanti. Dopo l’avvincente esperienza dello scorso inverno sui colli di Fonteno proseguiamo l’esplorazione della sponda bergamasca del Sebino concentrandoci sul territorio di Parzanica.

Punto di osservazione privilegiato sul lago, Parzanica è un piccolo borgo che ha mantenuto il tipico aspetto rurale grazie all’isolamento dai principali centri abitati lacustri. Basti pensare che fino al 1957 l’accesso al paese avveniva esclusivamente per mulattiere e che il collegamento stradale diretto con Tavernola fu completato solo nel 1999 (prima si era obbligati a passare da Vigolo). Il nome Parzanica segue la toponomastica di paesi come Mozzanica o Viadanica: è da far risalire al gentilizio latino Precius, con l’aggiunta del suffisso anicus/a che indica appartenenza o proprietà. Un tempo questa località poteva chiamarsi villa, silva o più probabilmente, prata precianica, cioè pascoli di Precio.

La toponomastica denota origini antiche, ma le prime testimonianze storiche risalgono al XIII secolo, ai tempi delle lotte fratricide tra guelfi e ghibellini. In quegli anni buona parte dei paesi della Valcavallina e della sponda bergamasca del Sebino era di fede ghibellina. La costruzione del borgo si deve alla nobile famiglia Fenaroli, residente a Tavernola Bergamasca fin dall’XI secolo, che lo volle per esercitare il controllo sulla vicina Valle di Adrara, roccaforte guelfa. Tuttavia, nel 1393 i guelfi di Giovanni Fermo di Adrara misero a ferro e fuoco Parzanica devastando buona parte del paese. Per questo motivo oggi si conservano pochi resti di epoca medievale. Di Parzanica, nel 1819, il Maironi da Ponte raccontava: «il suo territorio è quasi tutto a vigna ed a pascolo, ed i suoi abitanti, che di poco superano i quattrocento cinquanta, sono quasi tutti vignaiuoli, pescatori o mandriani». È altresì interessante notare che esiste una varietà di vite che i latini introdussero nel Nord Italia e che chiamavano precia… ma non oso spingermi oltre in congetture toponomastiche!

È piacevole aggirarsi per le anguste vie del borgo che conservano ancora l’atmosfera di un tempo, ben testimoniata dalla torre di pietra del XIV secolo, affacciata sulla via centrale. L’itinerario di oggi si spinge sui colli soprastanti Parzanica con un percorso ad anello che promette panorami interessanti. Prima di iniziare il cammino ci concediamo un caffè presso il bar Alpino, l’unico di Parzanica. Notiamo che è tutto un brulicare di gente, fatto piuttosto insolito per un paesello di montagna. Scopriamo così che oggi si festeggia San Colombano, il santo patrono.

Il nostro abbigliamento sportivo non lascia equivoci e subito un signore si avvicina e chiede: «Fate il giro delle cinque cime?». Rispondo affermativamente, intuendo che poteva trattarsi dell’itinerario progettato per oggi anche se non avevo mai sentito parlare delle “cinque cime di Parzanica”. In effetti, appena ci si allontana dalle strette viuzze del centro e si guarda intorno, si può notare che il paese è circondato da cinque piccole montagne, tutte di modesta elevazione altimetrica, ma ciascuna con la propria fisionomia e il suo nome. Facendo una rapida carrellata in senso antiorario troviamo nell’ordine: il monte Creò, la punta del Bert, i monti Mandolino, Cremona e Soresano.

Mentre Stefano, amico di lunga data, è intento a inzuppare la brioche nel cappuccino, mi avvicino a un tavolino dove siedono tre signore dalla spiccata vivacità. Con tono assai discreto chiedo: «Scusate, sapete dirmi dove inizia il sentiero per il santuario sopra il paese?». Risponde la più pimpante delle tre: «La Santissima, certo, bella chiesa … c’è anche un bel panorama lassù! Lo sa che è una delle Tre Sorelle, vero?». Per la seconda volta in pochi minuti mi trovo spiazzato. E vengo sopraffatto dal medesimo stato d’animo di quando ero interrogato in greco al liceo. Con un sorriso imbarazzato chiedo lumi a riguardo. «Sono tre santuari affacciati sul lago d’Iseo, tutti e tre visibili uno dall’altro: la Santissima di Parzanica, Santa Maria della Rota sopra Marone e la Madonna della Ceriola, il punto più alto di Montisola». Molto interessante!

Cavalcando quella loquacità naturale chiedo consiglio su una trattoria dove pranzare e, senza esitazione, la signora mi suggerisce: «Se vuole anche qui fanno da mangiare, cucina semplice, buona e genuina». A convincermi il tono di voce sicuro e gli occhi sinceri. La conversazione prosegue a ruota libera parlando della festa di San Colombano, della tradizione della Santissima e persino della cementeria di Tavernola che nei decenni passati ha dato lavoro a molta gente di Parzanica (ogni mattina partivano due pullman dal paese verso la cementeria). Starei a lungo a parlare con le tre signore, ma vengo richiamato all’ordine dai compagni di escursione. Solo a questo punto riesco a carpire le giuste dritte per raggiungere la Santissima.

Ci rechiamo così nella parte alta del paese (750m) lungo la strada che proviene da Tavernola fino alla deviazione per il Santuario, ben indicata da un cartello (segnavia CAI n° 721). Una strada cementata si inerpica con decisione su per i pendii del mùt dei Pagà, addentrandosi nel bosco. La salita è breve ma è ripida e guadagna velocemente quota fino a scollinare nei pressi del poggio che accoglie il santuario della Santissima Trinità (969m). Nel punto in cui il sentiero sbuca dal bosco, in corrispondenza del cancelletto di accesso alla chiesa, ci appare all’improvviso uno splendido scorcio su Lovere, l’alto Sebino e la valle Camonica: un quadro di inaspettata bellezza!

Entriamo nel recinto della chiesa per ammirarne dall’esterno l’origine romanica, che tuttavia risulta difficile cogliere a causa dei numerosi rifacimenti. Intorno alla chiesa sono visibili resti di murature, indizio di un utilizzo dell’altura con funzioni difensive, suggerito anche dal nome della località: castel dei Pagà (castello dei Pagani). A tale proposito alcuni studiosi citano un documento del 1050 che ricorda come sul mùt dei Pagà si fossero ritirati gli ultimi ariani che contestavano l’invasione da parte delle autorità cattoliche, che con la conquista dell’Italia ad opera di Carlo Magno s’imposero sulle popolazioni locali, trasformando i centri religiosi “pagani” in chiese. Nella parte bassa della chiesa si trovano vestigia di un romitorio di epoca tardomedievale, che costituiscono la parte più antica dell’edificio oggi visibile. Il santuario apre una sola volta l’anno, la domenica successiva la Pentecoste, e al suo interno custodisce alcuni preziosi dipinti del XV secolo. La vegetazione rigogliosa presente sul lato sud della chiesa limita la vista su Montisola e il basso Sebino, tuttavia riusciamo ad intercettare le altre due “Sorelle”: la Madonna della Ceriola e Santa Maria della Rota.

Riprendiamo il cammino e con un ultimo strappo usciamo dal bosco in corrispondenza di una sella pascoliva dove corre la strada che conduce alle antenne installate sulla cima del monte Creò (1106m). Non è un bel biglietto da visita, ma data la vicinanza della cima, decidiamo di raggiungerla ugualmente. Le antenne e la vegetazione limitano parecchio l’orizzonte, tuttavia si riescono ad individuare bene i monti Bronzone, Torrezzo, Guglielmo, la Corna dei Trentapassi e il lago d’Iseo con Montisola, mentre in direzione nord si scorge la Presolana e più lontano ancora l’Adamello.

Torniamo sui nostri passi e seguiamo la strada asfaltata sul crinale, mentre di fronte a noi si presenta la punta del Bert (1105m), la seconda cima di giornata. È un colle la cui sommità è completamente ricoperta dal bosco. Forse inconsciamente, tra una chiacchiera e l’altra, ci manteniamo sulla strada perdendo la deviazione sentieristica che conduce in cima. Tornare indietro? Le gambe poco allenate di Stefano suggeriscono di proseguire. La strada taglia i pendii orientali della punta del Bert perdendo quota fino a un tornante, dove riprendiamo a salire per una cementata che lambisce una baita in posizione eccellente, chiamata Lo Chalet. Appena sopra la baita la strada scollina nei pressi di una dolce sella pratosa (1050m).

Qui abbandoniamo la strada e imbocchiamo, a sinistra, il sentiero che seguendo il crinale attraversa un amabile pascolo fino a pochi giorni orsono occupato dal bestiame. Dinnanzi a noi il profilo triangolare del monte Mandolino (1106m) con il sentiero che punta dritto alla cima. Ci interroghiamo sull’insolito nome di questo monte e sulla strana abbinata con il monte vicino, Cremona, che richiama la città patria dei liutai. Neppure i locali hanno saputo darmi spiegazione. L’unica ipotesi la trovo in internet dove mondul starebbe per «manzetta». La salita è ripida, ma breve e divertente, e regala scorci intriganti sul lago e la valle di Adrara. La cima del Mandolino è evitabile percorrendo la traccia sulla sinistra (ce n’è una anche a destra che compie il periplo del monte). La sommità è ricoperta di alberi e la traccia si perde proprio sulla cima.

Intuitivamente seguiamo l’istinto orientistico che ci porta a percorrere il crinale sud est serpeggiando tra gli abeti fino a sbucare nei prati sopra il col de Rù (1009m). Da un lato si domina la valle di Parzanica, dall’altro quella di Vigolo, sormontata dal monte Bronzone. Qualche clic di rito al cospetto di un coloratissimo faggio e poi ripartiamo ancora seguendo il crinale in direzione del monte Cremona (1078m). La breve ascesa culmina in corrispondenza di una splendida cascina, posta sul cocuzzolo, con un panorama sull’alto lago – un panorama invidiabile perché la dimora è inavvicinabile a causa di una evidente recinzione.

Proseguiamo lungo la dorsale e, al termine della radura a destra, entrando nel bosco ritroviamo il sentiero, che prosegue in discesa verso la sottostante sella che ospita la cascina Soresano (931 m). Dal paletto segnavia tralasciamo momentaneamente l’indicazione a sinistra per Parzanica e attraverso i prati raggiungiamo l’ultima cima, il Monte Soresano (965 m). L’illusione di riuscire a sbirciare Montisola da una posizione privilegiata è subito smorzata dalla presenza di numerosi alberi. Tuttavia da qui si può vedere ogni dettaglio del percorso finora compiuto.

Ritornati alla sella ci portiamo alla cascina Soresano. Un recentissimo taglio di bosco intralcia il primo tratto di discesa nascondendo il sentiero che, dopo un breve slalom tra gli alberi abbattuti, ritroviamo evidente trenta metri più a valle. Lo seguiamo guidati dai classici bolli bianco-rossi (segnavia CAI n° 723). Attraversiamo un bosco ombroso che sfoggia alcuni splendidi castagni secolari, per arrivare a incrociare la strada asfalta in località Conghino. Non ci rimane che seguire la strada verso sinistra, per tornare in pochi minuti a Parzanica.

Le campane del mezzodì hanno suonato i rintocchi da parecchio tempo e decidiamo di entrare al bar Alpino confidando in un piatto caldo. La cordiale accoglienza, l’ambiente familiare e i gustosi manicaretti della tradizione bergamasca sono stati il degno coronamento di una piacevolissima camminata. Ben rifocillati e sorridenti ci rechiamo a piedi, sopra il paese, in località Belvedere, dove una strada ancora in fase di ultimazione conduce a un terrazzino con vista superlativa sul lago e Montisola. Rimaniamo letteralmente ammutoliti in contemplazione del meraviglioso panorama. Rientriamo in città con il desiderio di tornare quassù ad ammirare le luci del lago in una sera di luna piena.

P.S. L’escursione qui descritta è lunga 11km con 650m di dislivello positivo. Un percorso facile che tuttavia non offre punti d’appoggio né sorgenti d’acqua. Calcolare tre ore e mezza di comodo cammino.

(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli)

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