Riprendiamo la descrizione del cammino partendo dalla fine del tracciato della ferrovia. Il sentiero 259 abbandona il greto del fiume ed inizia pazientemente a salire la costa meridionale del monte Ortighera. Non si ode più lo scroscio dell’acqua, ma il silenzio e l’ombra del bosco diventano nostri compagni di viaggio. Sono condizioni ideali per l’avvistamento di qualche animale selvatico, ma ancora nulla. Dopo poche decine di minuti giungiamo a un bivio: sulla destra si diparte il sentiero CAI 599 che scende ad attraversare il torrente Parina per risalire l’altro versante vallivo fino a Lavaggio e Dossena. P.S. la seconda parte dell’itinerario è consigliata ad escursionisti allenati. Il giro completo (I e II parte) risulta lungo 21km con 1350m di dislivello positivo. Calcolare sette/otto totali ore di cammino. Portarsi una buona scorta d’acqua. Considerare che per buona parte del percorso il cellulare non prende. Chi desidera raggiungere il monte Ortighera senza passare dalla Val Parina può partire dal Cantone San Francesco e salire per il sentiero 273. In poco più di due ore si raggiunge la vetta (a/r 8km con 1100m disl.).
È interessante sapere che gran parte della val Parina e del monte Ortighera cadono in territorio di Dossena. Orograficamente tale appartenenza sembra piuttosto anomala infatti normalmente una valle così lunga e profonda costituisce un confine geografico, ma storicamente le cose sono andate in modo diverso: nel Medioevo la florida comunità di Dossena, centro minerario in forte espansione, aveva messo gli occhi sulla zona dell’Ortighera che poteva garantire sia lo sfruttamento di nuove miniere che l’insediamento di nuovi terreni d’alpeggio. Un atto notarile del XIII secolo conferma l’acquisizione di quei territori e con esso l’inizio dello sfruttamento delle miniere e dei pascoli. Fino alla metà degli anni ’90 i pastori di Dossena conducevano le mucche in alpeggio sull’Ortighera e sui prati di Menna utilizzando proprio il sentiero appena citato.
Noi continuiamo lungo il sentiero 259 che di lì a poco arriva a lambire un’evidente fascia rocciosa di conglomerato. Giovanni, che ben conosce la zona, ci invita alla deviazione verso la falesia. Un sentierino ci porta alla base della parete dove si aprono alcune grandi cavità: erano una sorta di rifugio utilizzato da pastori e cacciatori in caso di maltempo. Sulle pareti si nota ancora la fuliggine dei fuochi accesi per scaldarsi e cibarsi. All’interno di una di queste noto un quadernetto piuttosto sgualcito e senza copertina su cui sono riportati le testimonianze dei frequentatori della zona. Do un’occhiata e apprendo con stupore che alcune asserzioni portano la data del 1996 … non gira molta gente da queste parti! Provo a suggellare anche il nostro passaggio ma la biro, o meglio la cannuccia della biro, esaurisce l’inchiostro sul più bello…
Torniamo sulla via maestra e, poco oltre la grotta, giungiamo a un bivio segnalato sia dai cartelli metallici che da alcune scritte dipinte su un masso (840m): proseguendo dritti si sale a Zorzone, indicato sul masso da una freccia con la lettera Z, mentre noi deviamo a sinistra per il monte Ortighera (sentiero CAI 273), indicato con una grande lettera O…impossibile sbagliare!
Inizia l’ascesa vera e propria all’Ortighera. Le pendenze si fanno più sostenute ma sempre agevoli e regolari. Ci addentriamo nella valle dei Rossi immersi nell’ombra del bosco. È una selva giovane, prevalentemente di carpino nero, con un sottobosco assai vitale. Giunge legittima una domanda: «Come mai in un’area protetta wilderness troviamo un bosco giovane e con poca varietà di specie arboree?». La risposta me la darà il sig. Mario di Lenna che fino a vent’anni fa anni saliva quotidianamente alla baita in località Mus: «Era il mese di gennaio del 2002. Una sera all’improvviso un violentissimo incendio si propaga in tutta la valle. Le fiamme salivano da ogni parte. È iniziato un viavai di elicotteri e Canadair, ma il fuoco continuava a bruciare come se salisse dagli inferi. Ci vollero 11 giorni per domare l’incendio e alla fine qualcosa come 850 ettari di bosco andarono in fumo. Già negli anni ’60 c’era stato un altro incendio ma non così disastroso!». È difficile credere che nel mese di gennaio sui nostri monti possa scatenarsi un incendio di tali proporzioni per cause naturali…
Proseguiamo il cammino e notiamo sul sentiero tracce recenti del passaggio di moto, ecco svelato il motivo del mancato avvistamento di animali selvatici!
La salita è un po’ monotona e fortunatamente l’estroso Giovanni sforna un buon numero di argomenti da mettere sul piatto così la salita fila via quasi senza accorgersi. Giungiamo presso un’ampia radura ai cui margini si alzano maestosi alcuni splendidi faggi secolari. La traccia tende a svanire nel prato ma basta alzare lo sguardo per intravedere la casera dell’Ortighera (1634m).
È una grande baita recentemente ristrutturata con a fianco un’altra costruzione minore dove fino a trent’anni fa si produceva e conservava il formaggio. Oggi la casera è utilizzata solo qualche settimana d’estate dai pastori che salgono quassù con pochi capi di bestiame. Siamo fuori dal mondo, non intravediamo nemmeno in lontananza paesi o insediamenti umani. A lato della casera spicca la bella fontana dove sgorga acqua freschissima: un vero piacere! È l’unica possibilità di rifornimento d’acqua in tutto l’itinerario, ma occorre sapere che nelle estati più siccitose la fontana rimane a bocca asciutta. Guardandosi intorno un’altra domanda giunge legittima: «Come mai tutta la valle è ricoperta da un bosco giovane mentre qui abbiamo alberi centenari?» Ebbene, il taglio massivo delle piante avvenuto nel secolo scorso ha volutamente risparmiato questo alpeggio per garantire ombreggiatura e riparo ai pastori e agli animali. Fortunatamente l’incendio del 2002 ha risparmiato questa zona.
Nei prati intorno alla casera si notano alcuni depositi di materiale di scavo testimonianza dell’antica attività mineraria. Poco sopra la fontana un sentiero si spinge fino al passo di Menna. Tutta l’ampia costa prativa sopra la casera fino al monte Valbona e al passo del Menna è un susseguirsi di baite d’alpeggio utilizzate dai pastori di Dossena. In caso di temporali è opportuno mettersi subito al riparo perché è una zona frequentemente colpita da fulmini.
Il nome Ortighera deriva dal termine latino urticarium, terreno incolto e pieno di ortiche. Sicuramente i pastori dossenesi hanno dovuto tribolare per dissodare e trasformare in pascolo questo lembo di terra.
Dalla casera ci muoviamo verso il passo dell’Ortighera abbassandoci leggermente di quota lungo il sentiero 273 che procede in direzione Nordovest. Al valico (1432m) si diparte il sentiero che scende verso Lenna: la tentazione di ripiegare verso valle è forte ma rinunciare alla cima sarebbe imperdonabile. Così proseguiamo diretti alla cima del monte Ortighera. Il sentiero è il 273A che corre lungo lo spartiacque fino al roccolo Jonny e, poco oltre, alla baita del Ghiro.
Il sentiero lambisce la baita verso sinistra e procede dolcemente in un bel bosco di faggi. Si perviene a una pozza nel bosco (pozza del Mus) e, poco più avanti, si fuoriesce dal bosco in un grande prato con due baite, una delle quali in rovina. Siamo al bucolico alpeggio del Mus (o Moss, 1530m) termine che pare derivare dalla voce di origine celtica mus, maiale. Vale la pena spingersi oltre la baita verso una pozza fino alla collinetta soprastante dove ci si può affacciare con vista a sbalzo sulla val Parina. Per salire in cima al collinone dell’Ortighera basta tornare alla baita e seguire la dorsale in direzione Nord. A guidarci è una traccia abbastanza visibile con alcuni bolli sugli alberi. Si guadagna così l’erbosa sommità del monte fino alla croce (1632 m), installata di recente in sostituzione di una piccola targa di metallo. Una trentina d’anni fa salii sull’Ortighera partendo dal Cantone San Francesco e ricordo che dalla vetta si godeva di un bel panorama. Oggi i pascoli stanno progressivamente cedendo il passo al bosco e il panorama bisogna andarselo a cercare sbirciando qua e là tra le fronde.
Facciamo dietro-front fino al passo dell’Ortighera. Nel punto in cui il sentiero (CAI 273) inizia la discesa verso Lenna è stato posizionato un cartello che segnala l’inizio dell’area wilderness della val Parina. Il problema è che tale cartello è collocato ai piedi di un mastodontico traliccio dell’alta tensione … il contrasto è assai stridente!
Il percorso di discesa è piuttosto lungo e antipatico perché il bel tracciato dell’antica mulattiera è stato rovinato dal passaggio delle moto e dalle intemperie: si cammina su sassi smossi, solo brevi tratti si sono conservati agevoli.
Anche per affrontare questi 900m di dislivello negativo occorre sfoderare buoni argomenti di conversazione…giungiamo così al Cantone Francesco (540m), in territorio di Lenna, un bel nucleo di case immerse nel verde che strizza l’occhio al lago del Bernigolo. Presso la graziosa chiesetta di San Francesco che spesso ho trovato aperta c’è una fontana d’acqua deliziosa. Scendiamo per un breve tratto lungo la strada fino al ponte sul torrente dove imbocchiamo il sentiero (in basso a sinistra prima di attraversare il ponte) che ci conduce alla chiesa della Madonna della Coltura (488m). È domenica e in riva al Brembo si contano numerose persone fare pic-nic e godere della frescura del luogo.
È curiosa la tradizione orale tramandata nei secoli riguardo al Santuario: sul finire del XVI secolo in questo luogo sorgeva una grande fucina chiamata «la fucina da Gromo». Vicini alla costruzione erano quattro magazzini. Su un muro risaltava un bell’affresco della Beata Vergine Addolorata. Si narra che nella fucina lavorasse come garzone un ragazzo quattordicenne che ogni qual volta si recava nel magazzino a prendere il carbone soleva attardarsi in contemplazione del dipinto. Un giorno il ragazzo vide che il dipinto emanava una luce intensa che irradiava in tutta la fucina. Il fatto suscitò la commozione nella popolazione e l’immagine venne subito venerata dagli abitanti della zona. In seguito si decise di trasformare la fucina in una chiesa in onore della Vergine Addolorata. L’immagine della Madonna è custodita e venerata da oltre quattro secoli nell’ancona dell’altare maggiore e riporta la scritta: «Octobri 1580».
Per chiudere l’anello escursionistico consiglio di portarsi appena oltre il nucleo di case di fronte alla chiesa e salire ad intercettare la pista ciclabile della Valle Brembana. La seguiamo per un paio di chilometri (in direzione Bergamo) fino al ponte delle Capre.
P.S. la seconda parte dell’itinerario è consigliata ad escursionisti allenati. Il giro completo (I e II parte) risulta lungo 21km con 1350m di dislivello positivo. Calcolare sette/otto totali ore di cammino. Portarsi una buona scorta d’acqua. Considerare che per buona parte del percorso il cellulare non prende. Chi desidera raggiungere il monte Ortighera senza passare dalla Val Parina può partire dal Cantone San Francesco e salire per il sentiero 273. In poco più di due ore si raggiunge la vetta (a/r 8km con 1100m disl.).