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Oltre la diga del Gleno. La Val di Scalve tra lavoro e tradizione

Articolo. Non solo passeggiate tra pascoli e boschi ai piedi della Presolana: tra Schilpario, Vilminore, Colere e Azzone si snoda anche un affascinante itinerario che, dalle profondità delle miniere da scoprire a bordo di un trenino, arriva a un’antica segheria ad acqua immersa nel silenzio tra formicai e abeti rossi e prosegue tra ecomusei e spazi espositivi in alta quota

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Miniera Gaffione (sito minieraschilpario.net)

Nell’anno appena concluso, la Val di Scalve è stata protagonista di una lunga serie di appuntamenti in occasione del centenario del disastro del Gleno. Il primo dicembre di un secolo fa, la diga che avrebbe dovuto produrre energia elettrica per le centrali di Valbona e Bueggio non ha più retto, e sei milioni di metri cubi di acqua, fango e pietre hanno invaso la vallata sottostante, spazzando via case, chiese e causando centinaia di morti, di cui 356 accertati.

L’immagine della diga squarciata e dello specchio d’acqua a picco sullo strapiombo sottostante è rimbalzata su giornali, televisioni e social media durante gli scorsi mesi. Accanto a questa visione della valle, il territorio scalvino ospita anche molte altre importanti tracce di un passato di storia, economia e lavoro, immerse in un’area di grande pregio paesaggistico.

Oltre a una fitta rete di sentieri per escursionisti ed escursioniste più o meno esperti, in zona si trovano anche le Miniere di Schilpario, con un percorso che porta al centro della Terra, l’Ecomuseo Zanalbert di Colere che racconta la tradizione estrattiva della zona e un’affascinante ricostruzione di una segheria ad acqua, immersa nella riserva naturale dei «Boschi del Giovetto di Paline».

Diga del Gleno, un fascino che continua oltre il centenario

Oggi il lago del Gleno e quel che resta della diga si possono raggiungere facilmente partendo da Vilminore, dove in Piazza Giustizia è visitabile lo spazio espositivo dedicato al disastro, in cui si può ripercorrerne l’intera storia tra parole e immagini: dalla costruzione voluta dall’imprenditore Galeazzo Viganò alla cattiva gestione dei lavori, alla tragedia finale.

Tra i percorsi piĂą frequentati per raggiungere la diga quello piĂą semplice è il 411, percorribile in poco meno di un’ora di cammino, adatto a ogni livello di preparazione, con inizio dalla frazione di Pianezza. Per chi vuole allungare la passeggiata è possibile partire a piedi direttamente da Vilminore, seguendo il sentiero delle Cappellette. In alternativa si può salire dal lato opposto della valle del Gleno, scegliendo il sentiero CAI 410, che presenta diverse varianti. Per verificare la sicurezza del percorso, da ottobre a maggio è consigliabile prima dell’escursione contattare l’Ufficio ARS allo 0346.51605 o scrivendo a [email protected].

Alla scoperta delle miniere, tra ecomusei e cunicoli

Da quella diga che avrebbe dovuto essere motivo di benessere per la valle, ma che si è rivelata causa di una grande tragedia, alle miniere che per secoli hanno caratterizzato l’economia degli scalvini ci sono circa 15 chilometri, passando per i centri abitati di Vilminore, Vilmaggiore, Barzesto, Ronco e Schilpario.

Da quest’ultimo paese, in 50 minuti di cammino si raggiunge la miniera Gaffione, che dagli anni Settanta ha definitivamente interrotto la sua attività e oggi è il cuore del Parco Minerario Ingegner Bonicelli. Un ecomuseo dedicato alla storia e alla cultura mineraria della Val di Scalve e che comprende anche una visita alle gallerie nel ventre della montagna: un percorso attrezzato percorribile in parte a bordo di un trenino lungo il tracciato ferroviario originale e in parte a piedi, accompagnati da una guida che, tra fotografie d’epoca, utensili da lavoro usati in miniera e oggetti di vita quotidiana, ricostruisce un passato di fatica e orgoglio (ingresso con biglietto e prenotazione obbligatoria: minieraschilpario.net).

«La vita nei cunicoli per estrarre il ferro era dura e chi ci lavorava era fiero di essere un minatore: l’attività era molto pesante, ma il salario era sicuro, cosa che faceva preferire questo impiego ad attività artigianali – spiega Gianmario Bendotti, presidente del Museo Etnografico e Assessore alla Cultura di Schilpario – Prima dell’avvento dell’energia elettrica, si scavava immersi nel buio nella profondità della montagna, facendo luce solo con delle lampade ad olio. I minatori vivevano in baite poco distanti dai tunnel e rientravano in paese dalle loro famiglie solo il sabato. La vita era semplice: otto ore di lavoro e qualche straordinario, della polenta calda da condividere con gli altri lavoratori la sera, del formaggio e per i più fortunati un pezzo di carne portata da casa. Ci si addormentava su pagliericci messi su letti di ferro o in legno e in base ai turni, come nelle fabbriche, si riprendeva il lavoro il giorno successivo».

Come riporta ancora Bendotti, nei testi antichi si trovano indicazioni sull’escavazione del ferro nella zona di Schilpario già dall’epoca romana e in valle questa attività è stata fonte di occupazione per un grande numero di persone; la miniera di Schilpario non è l’unica, infatti, a pochi chilometri di distanza a Colere si trovano altre gallerie oggi tutelate dall’Ecomuseo della Presolana e Museo delle Miniere Z analbert, che si possono visitare in località Carbonera.

Questo spazio museale comprende un’area didattica interattiva, una collezione di minerali, un carrello da miniera e installazioni con antichi attrezzi da lavoro, a cui si aggiunge una laveria con una spettacolare cascata d’acqua che si getta nella grande vasca in cui veniva pulita la fluorite estratta nei giacimenti scalvini. Dopo aver visitato il museo, ci si può fermare all’esterno per un panino nell’area pic-nic o scegliere di andare a visitare le miniere.

Dalla segheria di Azzone alla riserva del Giovetto

Accanto alle miniere, anche il bosco era fonte di economia e sostentamento per la valle: dalla produzione di carbone, alla legna da ardere, al legname da costruzione. L’itinerario dedicato ai luoghi del lavoro e delle tradizioni locali non poteva quindi non fare tappa all’antica segheria Furfì di Azzone, non lontano dal torrente Giogna, che attivava la ruota necessaria per muovere i meccanismi che azionavano la lama, ancora oggi visibile. In questo spazio recuperato oggi si può scoprire anche una fedele riproduzione dell’impianto ad acqua realizzato da un appassionato valligiano.

Costruita lungo la strada che collega la Val di Scalve e la Valle Camonica, la segheria Furfì si trova all’interno della Riserva Naturale Regionale «Boschi del Giovetto di Paline», 597 ettari di area protetta tra il comune bergamasco di Azzone e quello bresciano di Borno. Qui si possono ammirare splendidi esemplari di abete rosso, peccio, abete bianco, larice e faggio, oltre ai caratteristici formicai della formica rufa, riconoscibile per il caratteristico colore rosso ed essenziale per la pulizia del bosco, la diffusione di semi e il contenimento di alcune specie di insetti.

Proprio da Azzone comincia anche il «Percorso dei mestieri nel bosco», un itinerario tematico che dalla località Segherie prosegue toccando la malga Creisa e il roccolo del Pianès, dove scoprire le tecniche di cattura degli uccelli. Lungo la via si incontra anche la ricostruzione di un caratteristico pojàt, che ospitava i carbonai impegnati a seguire la cottura del legname, un’altra importante attività per l’economia della Val di Scalve.

Attività realizzata dalla Comunità Montana Valle di Scalve con il contributo di Regione Lombardia nell’ambito del bando OgniGiorno inLombardia, progetto Campagna “VAL DI SCALVE: UNA PERLA INCASTONATA TRA BERGAMO E BRESCIA”.

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