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Sulle tracce di Pagafone, tra Locatello e Fuipiano

Articolo. Un itinerario ad anello in valle Imagna alla scoperta di un territorio dai molteplici risvolti storico-naturalistici di grande interesse. Per praticità narrativa, il racconto è stato suddiviso in due parti. Oggi vi proponiamo la prima

Lettura 6 min.
Il Resegone visto dai Curù

Ci rechiamo a Locatello per raggiungere la contrada Coegia (555m), dove posteggiamo l’auto. Non esistono cartelli che indichino la deviazione per Coegia, pertanto alla seconda curva nel cuore di Locatello occorre imboccare la «passeggiata dei francesi», nome che riporta alle storie di emigrazione dei nostri paesi montani. La si percorre interamente fino a raggiungere Coegia.

Il territorio di Locatello vanta origini millenarie: nelle vicine grotte di Corna Coegia sono stati ritrovati utensili antecedenti l’Età del Bronzo, mentre la prima testimonianza scritta dell’esistenza del paese risalirebbe all’anno 975 con una concessione feudale da parte degli imperatori del Sacro Romano Impero a favore del vescovo di Bergamo. Nel XIV secolo, gran parte della vallata fu teatro di scontri efferati tra guelfi valdimagnini e ghibellini brembillesi. Sorsero in tutta la zona numerose fortificazioni, alcune giunte fino a noi, mentre altre distrutte a causa di quelle lotte.

È altresì interessante scoprire che nel medesimo periodo la valle Imagna, oltre alla tradizionale vocazione agricola e pastorale, vantava una fervida attività di produzione e lavorazione della lana. In particolare, il secolo XIV corrisponde alla commercializzazione di un prodotto tipico della valle, il drapum valdemagnum, un grande panno di lana. Benché non fosse considerato un prodotto di alta qualità, possedeva grandi doti di resistenza e un apprezzabile valore economico: infatti figura nei tariffari dei pedaggi doganali nel nord Italia di quel periodo. Dagli estimi del 1476 Locatello vantava: «5 scartatori de lana, 2 ferulatori de lana, 5 tessitori, 3 follatori (e apparatori), 5 lavorant de lana, 7 pexor (pettinatori) lana». Si suppone che il nome Locatello tragga origine dal diminutivo di locate, riferibile al termine celtico leukos cioè «campo circondato da bosco». Sempre a proposito di questo paese, il Maironi da Ponte nel 1819 scriveva: «villaggio della valle Imagna, il quale diede il nome ad una famiglia, che molto si diffuse nella nostra, e nelle vicine provincie, e di cui qualche ramo si nobilitò non men fuori che in Patria […] i suoi abitanti si esercitano nell’agricoltura, e se alcuni si dedicano alla mercatura o ad altre arti, emigrano dalla patria».

Iniziamo il cammino percorrendo la strada agrosilvopastorale che risale la valle fino a un bivio posto in corrispondenza di un tornante. Un cartello bianco-rosso guida fino all’imbocco del sentiero per «Corna Coegia-Pagafone». Il percorso si addentra in un bosco piuttosto incolto e intricato, e in una decina di minuti si giunge al cospetto della Corna Coegia (690m), un’imponente falesia calcarea che sbuca improvvisa dagli alberi in tutta la sua verticalità. Alla base della Corna, al di sopra di un terrazzino, si trova, protetto da una parete in muratura, l’ingresso della prima grotta: ai nostri occhi pare una sorta di vecchio deposito o cantina. Alcuni gradini danno accesso a un piccolo antro superiore, mentre un buco, opportunamente rimpicciolito da alcune pietre, lascia intendere l’esistenza di una sala appena oltre. Sbirciando dal buco si intravede un raggio di luce naturale che presuppone l’esistenza di un’apertura verso l’esterno. Ebbene, abbiamo provato a guardare da ogni parte, in alto e in basso, all’interno e all’esterno della grotta e persino nella grotta adiacente, ma non siamo riusciti a trovare nessuna apertura… un mistero!

A fianco della prima grotta si apre una seconda spelonca, corredata da una panca e alcuni altarini. Nella prima cavità gli studiosi hanno trovato diversi resti umani attribuiti a un uomo in giovane età. L’alloggiamento delle ossa in una nicchia ha fatto ipotizzare una sepoltura intenzionale. Nella seconda cavità sono venuti alla luce alcuni utensili di pietra e di ferro, nonché il cranio e i denti di un orso.

La falesia ha un notevole sviluppo lineare lungo l’erto pendio boscoso. Decido di risalirne il fianco: alla base della roccia si aprono una serie di piccole e grandi cavità, tutte con poco sviluppo in profondità. Un paio di corde calate dall’alto segnalano alcune moderne vie di arrampicata ben attrezzate con spit. Dagli alberi scendono numerose liane penzolanti che invitano all’aggrappo, ma sono secche e si spezzano facilmente. Mentre sono ancora con un frammento di liana in mano, scorgo poco lontano Sabri che si libra nell’aria a mo’ di Tarzan dondolandosi ad una di queste. Non faccio in tempo ad ammonirle che … trac! Sabri si ritrova a ruzzolare per il pendio… «Fatta niente!» L’istinto da ex ginnasta le ha consentito di dribblare i numerosi sassi presenti nel bosco. Una risata generale e si riparte.

Proseguiamo il cammino mantenendoci sul sentiero principale che corre in piano oltre la Corna. Guardando nella valle, oltre gli alberi spogli, si intravedono le case della contrada Chignolo, completamente illuminate dal sole. L’occhio artistico di Giovanni riesce a coglierne la bellezza: «Pare un borgo interessante, prima o poi un giro da quelle parti lo dobbiamo fare».

Dopo un quarto d’ora di passo lesto sbuchiamo nei pascoli bassi di Pagafone (760m). La storia di Pagafone, contrada di Fuipiano, si è fermata al 9 novembre 1976. Era una bella contrada di fine Seicento con case, stalle e fienili, la chiesetta e un mulino. Tutte costruzioni molto compatte tra loro e con il tipico tetto a piode. Otto persone avevano resistito al richiamo dell’emigrazione e vivevano secondo i ritmi scanditi dalla natura. Quello del ’76 fu un autunno di grandi piogge al punto che nella soprastante piana erbosa di Fuipiano si era creato un piccolo laghetto.

Nei giorni precedenti gli abitanti della contrada, allarmati da alcuni strani movimenti del terreno, decisero di evacuare le abitazioni. Il 9 novembre una gigantesca massa di detriti, un milione di metri cubi, scivolò a valle per un fronte di 500 metri trascinando con sé tutto ciò che incontrò: strade, boschi e abitazioni cancellando per sempre Pagafone. Una tragedia immane che ha per sempre segnato la valle e i suoi abitanti. Mentre racconto la vicenda ai compagni di escursione mi accorgo, con non poca sorpresa, che nessuno ricorda e nemmeno ha mai sentito parlare di questo evento. Il fatto che non ci siano state vittime ha relegato Pagafone nel dimenticatoio. In questo video Marzio Mazzoleni rende un commovente omaggio a Pagafone.

Il sentiero costeggia il prato aggirandolo, per rituffarsi, poco dopo, nel bosco in corrispondenza dei primi depositi detritici della frana. È sorprendente notare come madre Natura abbia fatto ripartire il proprio ciclo vitale: sono trascorsi 47 anni e la vegetazione ha ricoperto tutto! Camminiamo tra montagnette di terra e sassi fino a giungere dinnanzi a un casottino diroccato, probabilmente un pollaio, sventrato da un masso fermatosi proprio lì.

Il sentiero procede addentrandosi nella valle Androli, dove sono ancora evidenti i lavori di consolidamento del terreno. Risaliamo il brullo declivio franoso fino a intercettare una pista forestale. Qui pieghiamo a destra seguendo la strada. Sopra i nostri capi si notano i ripidi pendii da cui si è staccata la frana. Il tracciato procede pianeggiante e, quando rientra nel bosco, qua e là si possono notare i resti della vecchia strada provinciale trascinati via dalla frana: una pietra miliare (il km 30 della strada provinciale 18), alcuni paracarri, i vecchi muretti di sostegno e brevi tratti di asfalto totalmente deformati. Solo attraversando passo a passo il territorio ci si rende conto della reale portata dell’evento.

La strada sterrata sbuca in prossimità del tornante della provinciale “nuova” in corrispondenza della foresteria Botton d’oro. Risaliamo la strada asfaltata che costeggia la struttura ricettiva, una via chiusa al traffico veicolare realizzata poco tempo dopo la frana per togliere Fuipiano dall’isolamento. Le foglie cadute dagli alberi ricoprono totalmente il sedime creando un effetto cromatico e sonoro quasi fiabesco.

La strada culmina in prossimità della chiesa di Fuipiano (998m). Vale la pena affacciarsi alla terrazza e godere del meraviglioso panorama sulla vallata. La chiesa, visibile da ogni angolo della valle, conserva il tetto in piode e al suo interno custodisce pregevoli affreschi e dipinti del XVI-XVIII secolo. Pur essendo domenica mattina, la troviamo chiusa, peccato!

La splendida giornata di sole e l’allegra compagnia suggeriscono di concederci alcune deviazioni. Perciò suggerisco di portarci sui dossi pratosi detti Curù, collinette che fan da contorno al grande pianoro pascolivo di Fuipiano, per andare a osservare il bordo più alto della frana di Pagafone. Siamo ormai in inverno e calpestare i prati non reca danno, ma per scrupolo chiedo il permesso al proprietario, intento a tagliare legna. Permesso accordato!

In prossimità del limite del dirupo nel prato si notano alcune prisme di cemento e paletti di metallo che contengono i sensori per il monitoraggio della frana. Bisogna sapere che il terreno è in continuo movimento ed ogni spostamento, anche di minima entità, viene registrato e segnalato. Dal 2003 il monitoraggio è curato da ARPA Regione Lombardia, è costante 24 ore su 24, per garantire una repentina evacuazione delle abitazioni in caso di eventi anomali. Attualmente si registrano movimenti di pochi millimetri/un centimetro l’anno a seconda dell’entità degli eventi piovosi.

Mi porto sul bordo estremo del baratro e provo a guardare in basso. Il contrasto tra la soave armonia del prato appena attraversato e l’inquietudine dell’affaccio sul precipizio è struggente. Un senso di profonda precarietà pervade l’animo. La vegetazione ostacola un poco la visuale ma laggiù si intravedono i prati di Pagafone e si riesce ad intuire il percorso della frana. Rimango colpito alla vista di un casolare che si erge orgoglioso a pochi metri dal bordo del precipizio e sorprende ancor di più notare che è abitato. Fortunatamente il monitoraggio costante della zona consente una vita tranquilla a tutte le famiglie che abitano questo pianoro. Mentre torniamo sui nostri passi, in direzione della chiesa, rimaniamo colpiti dalla bella prospettiva su Fuipiano. Se ne coglie la vastità e la splendida cornice di pascoli, boschi e montagne.

…Continua… Arrivederci a presto!

(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli eccetto dove diversamente indicato)

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