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Un itinerario oltre i «giganti delle Orobie» per scoprire il Monte Pomnolo

Racconto. Da Lizzola si può raggiungere dopo 12 chilometri di cammino il Monte Pomnolo, una cima dal nome curioso sconosciuta alla maggior parte degli escursionisti

Lettura 6 min.
Dal Colle delle Miniere verso il Monte Pomnolo

Sulle Orobie esistono montagne minori che, trovandosi nelle vicinanze di cime più prestigiose, risultano poco frequentate e, in molti casi, suonano sconosciute alla maggior parte degli escursionisti. Eppure la loro posizione spesso regala prospettive eccezionali proprio su quei monti che le guardano dall’alto in basso con alterigia. Alle volte queste cime hanno anche un nome bizzarro che suscita simpatia e curiosità. È il caso del Monte Pomnolo, in terra di Bondione (Alta Valle Seriana), che quest’oggi andiamo ad esplorare.

Ammetto che la prima volta che lessi questo nome lo travisai in «Pommolo», con quella doppia «emme» che subito mi proiettò nella dimensione fiabesca dei sette nani di Biancaneve. Fu un pastore della zona a mettermi sulla retta via quando mi sentì pronunciare il nome sbagliato. Senza enfasi ma semplicemente scandendo bene la parola disse: «Pomnol».

Ci rechiamo a Lizzola, frazione di Valbondione, e lasciamo l’auto nell’ampio posteggio presso la stazione di partenza degli impianti sciistici (1225 metri). L’origine del nome Lizzola si rifà alla voce preistorica lis, per flusso, acqua. Alcune interpretazioni vanno a scomodare i nomi personali latini di Alletius e Liccius, altre la pianta del leccio. Propendo per la prima ipotesi anche se va ricordato che lo sfruttamento delle miniere in zona ebbe un significativo impulso proprio nel periodo romano.

In merito a Lizzola e al suo territorio vale la pena riferire le parole del Maironi da Ponte che nel 1819 asseriva: «Il territorio di questa villetta è attraversato dal fiumicello Bondione, che nasce superiormente nel monte Sasina (Sasna, ndr), e vi si vede tutto a prato ed a pascolo, eccettuati alcuni tratti coltivati a patate, le quali vi prosperano assai; ed impedirono ne’ trascorsi ultimi due anni, che nessuno vi perisse di fame, caso terribile occorsovi antecedentemente più di una fiata». E ancora: «Nella valletta di Lizzola, e nelle vicinanze si trova in grande copia la Genziana, la cui radice messa quivi praticamente a distillazione dà una buona acquavite». Andremo alla ricerca della patata di Lizzola e della grappa alla genziana…

I prati delle Stalle di Tüf
I prati delle Stalle di Tüf
La conca della baita di Passevra
La conca della baita di Passevra
Presso la baita di Passevra
Presso la baita di Passevra

La giornata è tersa e l’aria frizzante, oserei dire insolitamente fredda per il periodo (ultimi giorni di luglio), così non tergiversiamo e iniziamo lesti il cammino. Oltrepassiamo il torrente Bondione per addentrarci tra le case di Lizzola. Seguiamo via Manina e superiamo il civico 18 dove, sulla sinistra, si diparte la bella mulattiera (non segnalata) diretta alla baita Passevra.

Avendo come primo obiettivo il Colle delle Miniere si potrebbe anche seguire un tratto del sentiero CAI 322 che percorre tutta la piana di Lizzola e risale la valle del Bondione. È tuttavia un sentiero poco soleggiato al mattino e preferiamo evitarlo.

Verso il Colle delle Miniere
Verso il Colle delle Miniere
Il Colle delle Miniere (con Coca e Redorta sullo sfondo)
Il Colle delle Miniere (con Coca e Redorta sullo sfondo)
Il crinale erboso del Pomnolo
Il crinale erboso del Pomnolo

Con pendenze agevoli dapprima si lambiscono i rigogliosi prati delle «stalle di Tüf» per poi addentrarsi in una bella faggeta. È un traverso piuttosto lungo ma divertente. L’ultima parte di sentiero nel bosco si raddrizza per superare un dosso roccioso oltre il quale si raggiungono i pascoli di Passevra (1600 metri). Una bella mandria di mucche è intenta a pascolare. Incontriamo i pastori con cui intratteniamo una piacevole conversazione. Non sono dei volti nuovi, li abbiamo conosciuti due estati fa alla baita di Sasna: tre generazioni di mandriani (nonno, papà e il pastorello). Hanno l’azienda a Clusone e d’estate conducono le mucche in alpeggio. Il ragazzino ha ancora in mano la zangola per la produzione del burro.

Chiedo informazioni sui loro prodotti d’alpeggio: «Formaggio ne facciamo poco, non conviene in questi alpeggi. Non esistono strade, qui si arriva solo a piedi e il materiale lo trasportiamo con i cavalli. Quassù portiamo soprattutto le mucche giovani che non producono ancora latte. Tra qualche giorno saliamo alla baita di Sasna». Si parla di meteo, di impianti fotovoltaici, di lupi… Vedendo il ragazzino così solerte e motivato nel ruolo di mandriano provo a suggerirgli la frequentazione della scuola agraria il prossimo anno. Il più anziano si inserisce nel discorso dicendo: «A lui piace seguire le mucche in alpeggio. E pensare che quando ero piccolo invece mi hanno mandato a famèi!» «Famèi? E cos’è?» domando incuriosito. Il pastore mi spalanca gli occhi su un mondo di povertà e sofferenza a me sconosciuto.

I massi ferrosi all’ingresso delle antiche miniere del Pomnolo
I massi ferrosi all’ingresso delle antiche miniere del Pomnolo
Verso il Pomnolo
Verso il Pomnolo
Ultimo tratto di salita al Pomnolo al cospetto del Monte Cimone
Ultimo tratto di salita al Pomnolo al cospetto del Monte Cimone

Famèi è un termine dialettale traducibile con famiglio, ossia servo di famiglia, e identifica una figura tipica della società contadina della Val Padana e delle valli Prealpine bresciane e bergamasche del Novecento. Le famiglie più povere, ricche solo di figli, mandavano uno di questi ancora in tenera età (7/8 anni) a fare l’aiutante nei lavori agricoli, in particolare nelle stalle, presso contadini più benestanti, per alleggerire di una bocca i magri pasti. Molte volte questo destino era per sempre e i bambini non facevano più ritorno a casa. Una delle minacce più temibili fatte dai genitori ai ragazzi che si mostravano svogliati a scuola era: «Se te ghet mia oia de ‘nda a scöla ta dò ’l tò fagotì e ta mande a fa ’l famèi» («se non hai voglia di andare a scuola ti do il tuo fagottino e ti mando a fare il famèi»). Possedeva di solito un fagotto di abiti logori e viveva nella casa del contadino o, nei casi meno fortunati, nella stalla. Il fenomeno dei famèi è continuato in forme sempre più discrete fino agli anni Sessanta del secolo scorso. Storie impensabili ai giorni nostri.

Salutiamo i mandriani e riprendiamo il cammino per il sentiero reso meno evidente dal calpestio delle mucche. Si rimontano i pascoli alle spalle della baita fino a un piccolo poggio (1680 metri) dove si interseca il sentiero CAI 304 (alias «Sentiero delle Orobie orientali»). Lo seguiamo in salita in direzione del soprastante Colle delle Miniere. Con percorso più erto transitiamo in prossimità della ex miniera del Collo, una delle più importanti della zona, parzialmente ostruita dai detriti e dalla vegetazione, e raggiungiamo il Colle delle Miniere (1920 metri). Bisogna sapere che per molti secoli il territorio di Valbondione (Lizzola compresa) faceva parte della Comunità Grande di Scalve con cui condivideva l’attività mineraria (le miniere della Manina sono sul confine tra le due vallate) e la lavorazione del materiale estratto. L’appartenenza alla comunità scalvina, testimoniata da documenti del XII secolo, è proseguita fino ai primi anni dell’Ottocento. L’abbondanza di miniere fece convergere a Lizzola numerosi abitanti rendendola la contrada più popolosa della vallata.

La croce del Pomnolo
La croce del Pomnolo
L’immancabile foto di vetta
L’immancabile foto di vetta
I Giganti delle Orobie
I Giganti delle Orobie

Come sbuchiamo al valico veniamo assaliti da folate di vento gelido che ci obbligano ad estrarre le giacche a vento. Rimpiangiamo di non aver portato i guanti!

Al colle abbandoniamo il «Sentiero delle Orobie» che corre verso il rifugio Curò e rimontiamo l’erboso crinale sudoccidentale del Pomnolo seguendo una traccia piuttosto evidente, aiutati anche da alcuni ometti. In questo tratto le rocce sono di un color ruggine intenso e ci si imbatte nei ruderi di alcune ricoveri dei minatori presso le cavità dove un tempo si aprivano le gallerie di escavazione dei minerali di ferro. Superato questo primo tratto di crinale, il sentiero procede nel prato all’interno di uno scavo (una sorta di piccola trincea) realizzato dai minatori per accedere più agevolmente alle miniere superiori. La particolarità di questo monte è la comoda cresta erbosa contrapposta al suo cocuzzolo roccioso. Giungiamo così alla base del Pomnolo. Anche qui si notano i materiali di scarto delle miniere e alcuni buchi di ingresso. La forma tondeggiante della sommità lascia intuire che probabilmente il nome Pomnolo racchiude in sé il termine latino pomulum, ovvero di forma tondeggiante. La vetta è appena sopra di noi, un ultimo sforzo e siamo alla croce (2257m). La cima regala una vista privilegiata a Nord Ovest sulla conca dei «Giganti delle Orobie» (dal Redorta al Coca), verso Nord spicca il Monte Cimone con la sua mole imponente mentre ad Est le cime della valle del Bondione. Verso Sud risaltano la Presolana, il Ferrante e le altre cime seriane. In questa giornata particolarmente tersa lo sguardo si spinge fino in pianura.

Prospettiva su Valbondione dalla cima del Pomnolo
Prospettiva su Valbondione dalla cima del Pomnolo
Presolana e Ferrante dal crinale del Pomnolo
Presolana e Ferrante dal crinale del Pomnolo
Zoom sulle Cascate del Serio
Zoom sulle Cascate del Serio

Il vento teso ci impone di ripiegare velocemente a valle. Torniamo sui nostri passi fino al Colle delle Miniere. Amo gli itinerari ad anello e questa cima consente di effettuare un percorso circolare che ora mi presto a descrivere con una sottolineatura importante: il «Sentiero delle Orobie» è il sentiero più importante della bergamasca, ma in questo tratto tra il rifugio Curò e il Colle delle Miniere è decisamente malmesso. La vegetazione bassa obbliga a dribbling forzati e le numerose piccole frane hanno rimpicciolito il sedime alla larghezza di un piede. Si procede con frequenti difficoltà, un pessimo biglietto da visita per un territorio che fa dell’escursionismo il proprio fiore all’occhiello: auspico che presto si possa ridare la giusta dignità a questo sentiero. A chi non vuole tribulare, consiglio di ripiegare sul percorso dell’andata magari spingendosi fino al passo della Manina prima di rientrare a Lizzola.

Noi abbiamo seguito il sentiero 304 verso il Curò fino all’intersezione con il sentiero 306 (1805 metri) che seguiamo in direzione di Lizzola. Prima del bivio si apre una bella prospettiva sulle cascate del Serio che oggi regalano un piccolo ma suggestivo getto d’acqua. La zona è particolarmente selvaggia e vi abbondano camosci che non lesinano nel mostrarsi.

Verso Lizzola (sent. 306)
Verso Lizzola (sent. 306)
Cuccuruccucù Paloma
Cuccuruccucù Paloma
La vista di Lizzola (sent. 306)
La vista di Lizzola (sent. 306)

Una volta rientrati nel bosco si procede più disinvolti e l’umore torna sorridente. Dopo un lungo traverso in discesa nel bosco approdiamo su un dosso erboso (1305m) accolti dalle note a tutto volume di «Cuccurucucù Paloma»: nella baita sotto il sentiero si è appena concluso un happening musicale con tanto di batteria, chitarre elettriche e amplificatori ed ora un dj propone un repertorio anni ‘80. Il ritmo incalzante risveglia i nostri animi e le gambe si ritrovano a trottare spedite verso Lizzola.

P.S. l’itinerario qui descritto è lungo 12 chilometri con 1100 metri di dislivello positivo. L’andata e ritorno per il medesimo percorso partendo da Lizzola è lunga 11 chilometri con 1000 metri di dislivello. Non esistono passaggi esposti o pericolosi ma occorre un po’ di destrezza nel tratto che dal Colle delle Miniere conduce in vetta al Pomnolo e molta pazienza percorrendo il «Sentiero delle Orobie».

Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli.

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