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«de Bello»: grazie alle donne andiamo «lontano dalla guerra»

Articolo. Ad accompagnare l’esposizione, la prima mostra collettiva di gres art 671 visitabile fino al 12 ottobre, ci sarà un ciclo di conferenze con attiviste e sostenitori per i diritti dell’infanzia che hanno vinto il «Premio Nobel per la Pace»

Lettura 3 min.
Maja Bajevic, Women at Work - Under Construction, 2001 (Courtesy of the artist e Galerie Kilchmann, Zurich Paris)

«L e donne, che ben conoscono il prezzo di una guerra, sono anche più equipaggiate degli uomini per prevenirla o risolverla. Per generazioni le donne sono state educatrici di pace sia nelle loro famiglie che nelle società. Esse sono state un valido aiuto nel costruire ponti più che muri».
Kofi Annan

Ormai lo abbiamo capito, la guerra imperversa. E noi abbiamo cominciato a chiederci come sia possibile costruire la pace e come sia possibile ricostruire là dove i conflitti hanno distrutto ogni cosa e lacerato intere comunità. Si intitola «de bello. notes on war and peace», la mostra collettiva in corso nei suggestivi spazi di gres art 671, il polo culturale e artistico sorto nell’ex area industriale di via San Bernardino dall’ambizioso progetto di rigenerazione urbana promosso dal Gruppo Italmobiliare con Fondazione Pesenti.

L’obiettivo dichiarato della mostra è di «raccontare la guerra come fenomeno sociale e culturale universale, esplorando in particolare lo stato animo dell’essere umano di fronte ai conflitti, con un approccio del tutto multidisciplinare, sia cronologicamente che geograficamente che, infine, tecnicamente». Pittura, scultura, fotografia, arte tessile, immagini in movimento, suoni, ambienti digitali e nuovi media: in mostra negli oltre 2000 metri quadrati dell’ex spazio industriale, 37 sceltissime opere dal 1496 ad oggi – da Alberto Burri a Claire Fontaine, da Anselm Kiefer a Joseph Beuys, da Arcangelo Sassolino a Marina Abramović – sono accompagnate da un allestimento monocromatico, firmato da 2050+, in mattoni prefabbricati di cemento che evocano città distrutte o forse in via di ricostruzione.

La mostra è organizzata intorno a cinque gruppi tematici – pace apparente, allarme, guerra, macerie, resistenza –articolando un ideale crescendo di risposte emotive che dovrebbero definire universalmente l’esperienza della guerra. Non è la prima e non sarà l’ultima mostra che indaga il tema della guerra, ma nel percorso proposto da gres art la differenza sta nell’esperienza dei due ideatori del progetto: Salvatore Garzillo, cronista e disegnatore che incrocia parole e immagini per raccontare i conflitti nelle zone calde del mondo, dall’Iraq all’Ucraina; e il fotoreporter Gabriele Micalizzi, ferito nel 2019 in Siria da schegge di granata, mentre documentava l’ultima offensiva delle truppe curde contro l’Isis.

Un possibile sottotesto

Ci pare che la mostra, che in nessuna opera cade nella trappola del banale, non debba necessariamente essere vissuta dal visitatore come un angosciante cammino dentro la catastrofe, ma può rivelarsi un sorprendente documento della capacità di resistenza e resilienza dell’animo umano. Soprattutto se, tra i tanti percorsi possibili, scegliamo di seguire quello tracciato dalle opere delle artiste, che ci accompagnano a giocare con la grammatica latina per interpretare il titolo della mostra «de bello» non come un complemento di argomento ma come un moto da luogo che ci porta via, lontano dalla guerra. Ad attirare, infatti, l’attenzione dei media è solitamente l’impegno delle donne nella guerra mentre l’immaginario collettivo tende a “catalogarle” come vittime passive. Ancora poco visibile è il loro ruolo insostituibile nella negoziazione e nella formazione di una duratura cultura della pace, oltre che nella ricucitura e ricostruzione dei tessuti delle società dilaniate dai conflitti.

In mostra, il video «Women at work – Under construction» documenta una performance in cui l’artista franco-bosniaca Maja Bajevic, tre anni dopo il famigerato assedio di Sarajevo (1992-1996) ha lavorato con cinque donne rifugiate di guerra, le quali, per cinque giorni, hanno ricamato motivi tradizionali sulle impalcature della Galleria Nazionale della Bosnia Erzegovina, in fase di restauro post-bellico. L’artista ucraina Masha Shubina, invece, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, realizza il suo sottile atto di resistenza decorando una serie di oggetti domestici, come tovaglioli e tende, con miniature ad olio di quei carri armati, cacciabombardieri ed elicotteri che hanno portato la violenza dentro la sfera intima e famigliare della quotidianità.

In «The Sound of the Border», l’architetta e designer irachena Maees Hadi sposta l’attenzione, all’interno della dimensione dei conflitti, dall’uomo alla natura, mappando i cambiamenti ecologici innescati dalla guerra del Golfo attraverso i dati raccolti sul cinguettio degli uccelli migratori. Cristina Lucas, nella serie «Tufting» (Taftatura), trasforma i dati relativi ai siti di violenza contro i bersagli civili, in cartografie ricamate a macchina. Marina Abramovic (nata a Belgrado nel 1946) “esorcizza” la ferita profonda della guerra in ex Jugoslavia, stravolgendo il tradizionale ritratto di famiglia, facendo sedere sulle sue ginocchia una bambina vestita da soldato, che imbraccia un fucile.

Quattro «Premi Nobel per la Pace»

Non è un caso, forse, che il ciclo di conferenze che accompagna la mostra «De bello» veda protagoniste un gruppo di donne attive nella costruzione di una cultura della pac e che sono diventate simboli universali di resilienza e di speranza.

Dopo l’incontro del 23 maggio con la giornalista yemenita e attivista per i diritti umani, Tawakkul Karman, la prima donna araba a ricevere il «Premio Nobel per la Pace» nel 2011 per il suo ruolo nella rivoluzione yemenita, e con Samia Nkrumah, figura di spicco dell’unità panafricana e voce influente nel movimento globale per l’unità africana, la democrazia e i diritti umani, il prossimo appuntamento è in programma per il 22 giugno, quando sarà a Bergamo Nadia Murad , attivista yazidi e sopravvissuta alla prigionia dell’ISIS, «Premio Nobel per la Pace» nel 2018 per il suo lavoro di difesa dei diritti degli yazidi e di altre minoranze e per il suo instancabile impegno contro il traffico di esseri umani, la violenza sessuale e le persecuzioni.

Il 14 settembre incontreremo Jody Williams , attivista americana per i diritti umani e «Premio Nobel per la Pace» 1997 per la sua leadership nella campagna internazionale per la messa al bando delle mine antiuomo, e, unico uomo in programma, Kailash Satyarthi, sostenitore indiano dei diritti dell’infanzia e «Premio Nobel per la Pace» 2014 per i suoi sforzi volti a porre fine al lavoro minorile.

Informazioni e dettagli sui biglietti e sulle conferenze sono disponibili sul sito ufficiale.

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