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Le donne invisibili di Bergamo: chi decide l’odonomastica delle città?

Articolo. In Italia lo spazio pubblico è ancora di stampo patriarcale. I monumenti dedicati alle donne sono solo 171 su migliaia in tutto il territorio nazionale di cui solamente uno a Bergamo. Approfondiamo la questione con lo storico Tomaso Montanari

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Immaginate di passeggiare in una città storica, tra piazze e strade che portano il nome di uomini che hanno lasciato un segno indelebile nel tempo. Le loro statue erette e solenni vi osservano dall’alto. Ora, fate un respiro profondo e chiedetevi: dove sono le donne? Dove sono le loro voci? La verità è che il nostro paesaggio urbano è ancora una “terra di conquista” maschile, laddove il ricordo delle figure femminili, tanto straordinarie quanto invisibili, è quasi del tutto assente. Non solo l’arte figurativa ma anche l’odonomastica è di stampo patriarcale. Se ogni città racconta una storia, quella che si riflette oggi è a senso unico: un percorso tracciato da uomini e per uomini.

Lo storico dell’arte e rettore dell’Università per stranieri di Siena, Tomaso Montanari, nel suo saggio «Le statue giuste» presenta alcuni dati che fanno riflettere. In Italia è stato calcolato che su circa cento strade intitolate a uomini, solamente otto recano tributo alle donne e, sulla base della ricerca effettuata dall’associazione «Mi Riconosci?», su migliaia di monumenti del territorio italiano, solamente 171 rendono omaggio a figure femminili. Sono numeri dinnanzi ai quali non si riesce a restare indifferenti, soprattutto quando emerge come queste poche rappresentazioni incarnino i tipici stereotipi della società e inoltre siano poste in luoghi più periferici. Se non ci credete, potete osservare con i vostri occhi. L’associazione, sul proprio sito, dispone di una mappa dove sono indicate le coordinate precise di ogni riproduzione scultorea femminile, categorizzate in precisi gruppi.

Il collettivo «Mi Riconosci?», nel censimento sui monumenti e le statue dedicate a donne svolto nel 2021, afferma «Dei 171 monumenti e statue […] solo il 36% è collocato in una piazza; il restante si trova in posizioni assai più defilate: agli incroci o ai lati di strade, nonché in parchi. Di queste 171 opere, il 13% sono busti collocati su basamenti, il 4% fontane […] Dai dati raccolti si deduce che molto poche sono le donne ricordate per meriti che non includano il sacrificio o la cura. I monumenti dedicati a donne realmente vissute in Italia sono pochissimi e mancano figure come Elsa Morante o Ada Rossi, Gaetana Agnesi o Trotula de Ruggiero, Nilde lotti o Tina Anselmi. Il totale di opere pubbliche censite dedicate a donne realmente esistite è 94, di queste il 7,5% le vede celebrate con personaggi maschili, mentre il 3% vede più donne rappresentate insieme».

Bergamo sotto la lente

Ma quale è la situazione nella nostra provincia? Di fronte a questi dati, la mia curiosità è stata inevitabilmente stimolata, portandomi a investire un po’ di tempo nell’analizzare la mappatura delle statue nel nostro territorio. Quello che ho scoperto è stato davvero sorprendente. I monumenti femminili a Bergamo sono così limitati che si contano su una mano e forse nemmeno su tutta. Difatti, dalla cartina, risulta come in tutta la bergamasca sia presente una sola statua. E se pensate che si trovi nel cuore pulsante del capoluogo, siete in errore. È Pontida la città in cui sorge l’unico tributo scultoreo a una figura femminile ma non a una donna sulla cui storicità ancora si discute, bensì a Santa Barbara.

Un omaggio alla padrona d’Arma dedicatogli, dagli Artiglieri di Pontida, nel 1966. Per trovare altre rappresentazioni figurali bisogna recarsi fuori provincia. Infatti, a Monza – Brianza si trova la seconda opera più vicina alla nostra città e, anche in questo caso, non sorprende che non sia dedicata a una persona storica ma a un mestiere: quello della «lavandaia».

Solo ora, riflettendo su quelle passeggiate nel centro di Bergamo e nei paesi bergamaschi, mi rendo conto di non aver mai prestato attenzione, erroneamente, al fatto che le vie e le statue sono tutte intitolate a uomini, senza un solo richiamo al femminile. Ma, quale è la condizione invece dell’odonomastica? Il gruppo di ricerca e associazione «Toponomastica femminile» ha effettuato, nel corso del tempo, diversi censimenti, consultabili sul loro sito, suddiviso per regioni, provincie e comuni. Prendendo in analisi alcuni comuni della bergamasca, la situazione di disparità non è tanto diversa rispetto alla statuaria cittadina.

A Bergamo città, su 1055 strade e piazze, ben 623 sono intitolate a uomini, mentre solo 40 sono dedicate a donne. Di queste ultime, sei portano il nome di madonne, quattordici a sante, una ad una benefattrice, una ad un’artista, una ad una donna dello spettacolo, sei a umaniste, cinque a figure storiche e sei a gruppi femminili. Questo significa che, su un totale di 663 strade dedicate sia al genere maschile che femminile, solo il 6,03% sono intitolate a donne.

Di fronte all’evidenza, è doveroso chiedersi cosa si può fare per affrontare l’androcentrismo di odonomastica e delle statue, garantendo un equilibrio di genere tramite l’arte monumentale. «Bisogna prendere atto che la rappresentazione delle donne è un centesimo su circa 140.000 statue – dichiara Tomaso Montanari – i monumenti in Italia dedicati alle donne sono forse 200 se ci arrivano quindi c’è una sproporzione colossale, questo vale anche per l’odonomastica. La media nazionale è bassissima quindi diciamo che si potrebbe innanzitutto chiedersi se tutti i nomi delle strade ci stanno ancora bene – prosegue – poi è necessario avere una massiccia campagna di inclusione degli individui. Questo è puramente un fatto di disequilibrio a meno che non pensiamo che tutti i modelli sociali, morali e culturali, siano solo archivio».

Il riflesso sul tessuto socioculturale

Il divario nella rappresentazione di genere nella storia contribuisce a formare la memoria e la psicologia delle giovani, in particolare sulla percezione del loro ruolo nel mondo, sulle potenzialità e sul valore delle donne nella società. «Se le ragazze di oggi vedono che i volti delle donne nelle piazze, ci sono ma sono nudi e nei cartelloni pubblicitari dell’intimo mentre i corpi degli uomini sono vestiti e in statue da bronzo – dichiara Montanari – mi pare che sia evidente come il corpo della donna sia un oggetto. Questa è un’idea di una parte importante della società difficilmente negabile e forse cominciare ad agire sui simboli comuni e sullo spazio pubblico non sarebbe una cattiva idea».

Questa disparità incarna una tipologia di violenza simbolica dove gli uomini sono posti in posizione di potere ed esso contribuisce in parte a plasmare la mentalità, basata sul dominio, dei giovani che sfocia nel tragico fenomeno sociale della violenza sulle donne. «C’è una certa mentalità – afferma lo storico – se la donna è un oggetto, se la donna è una cosa, la si può anche rompere perché le cose si rompono. Credo che su questo non ci sia un rapporto di causa effetto ma c’è una continuità culturale da cambiare».

Intervenire partendo dal ramo dell’istruzione è fondamentale e, forse, sarebbe necessario affrontare la questione iniziando dal contesto scolastico, riflettendo sull’urgenza della risemantizzazione dello spazio pubblico. Un esempio viene fornito direttamente da Tomaso Montanari nel suo saggio, analizzando la celebre opera «Apollo e Dafne» di Bernini, tanto ammirata e celebrata da tutti. Al di là della sua bellezza estetica e artistica, quanti sono consapevoli che ciò che viene rappresentato è un vero episodio di stupro? «Bisognerà pur notare che una parte rilevante di opere d’arte che noi amiamo della nostra storia culturale rappresentano lo stupro, gli stessi stupri di gruppo come il “Ratto delle Sabine” il “Ratto di Proserpina” – prosegue il rettore – Queste cose non vanno nascoste e neanche censurate ma vanno viste proprio, non vanno nemmeno rimosse». Come è sempre più urgente presentare una corretta significazione delle opere d’arte, così evidenziare il disequilibro nel patrimonio monumentale e nella toponomastica è fondamentale per costituire le future generazioni.

Le statue fungono da modelli per la società e oltre a creare monumenti tributo a figure storiche, oggi sarebbe utile dedicare opere e strade pubbliche a donne contemporanee che siano d’ispirazione. Ma chi deve prendere questa decisione? «Credo che debbano decidere le comunità, in ogni contesto ci sono delle figure importanti, alcune sono universali, alcune sono specificatamente locali – sostiene Montanari – Naturalmente le statue si fanno delle persone che non sono più in vita. A scegliere chi merita dovrebbero essere le comunità locali».

Arricchire gli spazi urbani con strade e statue dedicate alle donne va oltre una semplice scelta estetica. Si tratta di un atto che riflette un impegno concreto per la parità di genere, per il riconoscimento del loro ruolo nella storia ed inoltre permette di formare le donne di domani.

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